Già in un
precedente articolo (Renzi, ovvero la notte della politica)
avevamo formulato la tesi secondo cui la nostra è un'epoca in cui si
assiste al passaggio da un sistema di tipo rappresentativo a un
sistema di tipo autocratico. Cerchiamo ora di darne una formulazione
più compiuta.
Innanzitutto cosa
si intende con sistema rappresentativo e con sistema
autocratico?
Con la prima
espressione si vuol designare un'organizzazione politica, sociale,
economica, in cui il gruppo che comanda riceve l'incarico da
individui o organismi esterni al gruppo stesso; ovvero in cui il
potere si legittima attraverso un'istituzione esterna rispetto
al potere stesso. L'esempio che ci balza subito alla mente è quello
delle cosiddette democrazie liberali occidentali, in cui i
governi sorgono in seguito a (e in ragione di) un'elezione a
suffragio universale. Spesso, infatti, nella vulgata politica
corrente, si è soliti contrapporre democrazia (ovvero
il sistema di governo occidentale) e dittatura
(tutti i regimi non liberali e privi di meccanismi elettivi a
suffragio universale). Chi scrive non condivide l'assunzione di
questa presunta dicotomia. Innanzitutto non è corretto definire il
sistema di governo occidentale come democratico. La democrazia, se
l'etimologia ha un senso, è il governo del popolo. Mentre i sistemi
occidentali sono governi in nome
del popolo, ovvero legittimati da forme istituzionalizzate di
partecipazione del popolo alla vita pubblica. Le moltitudini, quelle
che legittimano il potere in Occidente, non governano. Semplicemente
vengono riconosciuti loro determinati diritti politici, come
esprimere il proprio voto per eleggere un'assemblea legislativa e
farsi promotrici, attraverso vari canali istituzionali, di
determinate istanze. Chiamare tutto ciò democrazia ci sembra
improprio. La democrazia nel senso pieno del termine in effetti non è
sinora mai esistita nella storia, se non in piccole comunità
autogestite. Anche nella Atene Antica, considerata la culla di
questo sistema, in realtà, alla stragrande maggioranza della
popolazione (donne e schiavi) era interdetto qualsiasi diritto
politico.
Si
tratta, invece, più propriamente, di un sistema
rappresentativo tribunizio,
quindi più accostabile a quello dell'Antica Roma Repubblicana, ma in
cui alle masse popolari è concesso il diritto di eleggere
l'assemblea legislativa.
Altra caratteristica del sistema rappresentativo è quella di
riconoscere diversi centri di potere, formali (nel caso degli stati
rappresentativi occidentali potere esecutivo, legislativo,
giudiziario, costituzionale, economico-finanziario come nel caso di
banche centrali indipendenti, ecc.) e informali (organizzazioni
politiche ed economiche, gruppi di pressione, associazioni
corporative e sindacali ecc.). Il processo decisionale non è dato da
un indirizzo univoco, ma dall'interazione dei diversi centri in cui
la decisione scaturisce dal riconoscimento e dal confronto delle
diverse istanze. Ciascun potere cerca nell'altro il proprio
riconoscimento attraverso una strategia di conflitti e alleanze, e
nello stesso tempo è costretto a riconoscerne questi altri (e le
relative istanze). Il compromesso applicativo è la risultante di
questa prassi decisionale.
Possiamo quindi definire il sistema rappresentativo come una forma di
legittimazione dall'esterno del potere e di equilibrio tra i diversi
centri riconosciuti.
Il
sistema autocratico, invece, si legittima da sé stesso, ovvero
l'elemento egemone non ricerca un potere esterno che lo riconosca, e
che a sua volta esso riconosce, ma delegittima qualsiasi autorità
che non sia sua propria emanazione, entrando con essa in conflitto
fino ad annientarla o a cooptarla. Il meccanismo non funziona tanto
sulla divisione dei poteri e la loro interazione strategica, quanto
sulla delega delle
funzioni (ovvero l'intermediazione tra la precisa e inalterabile
volontà del governo e la fedele esecuzione di questa volontà) e sul
controllo dell'esecuzione. Tanto più l'esecuzione corrisponde alla
decisione e alla volontà del governo, tanto più il sistema è
funzionale. Il processo decisionale avviene nella selezione delle
migliori tecniche applicative per raffinare l'efficienza del sistema.
Una volta stabiliti gli strumenti tecnici della prassi esecutiva il
momento decisionale è esaurito.
Se nel sistema rappresentativo, dunque, il fine non è conosciuto
prima, ma soltanto dopo, il processo decisionale, nel sistema
autocratico esso è già noto in anticipo (e risiede nella volontà
di chi governa) e il processo serve solo a stabilire la tecnica più
efficiente per la sua realizzazione.
La
razionalità che muove il sistema rappresentativo è di tipo
poli-strategico,
ovvero ogni centro, con proprie finalità, individua autonomamente la
propria strategia di conflitto e di alleanze, e la decisione emerge
come risultante dell'interazione pratica tra i diversi agenti e le
rispettive strategie. Un sistema di questo tipo, dunque, tende a
favorire un sapere di tipo dialettico-escatologico, che studia le
strategie migliori per il riconoscimento delle proprie istanze e la
realizzazione delle proprie finalità. Esempi di discipline fiorenti
in questo contesto sono la retorica, la filosofia, la sociologia, la
psicanalisi.
La
razionalità, invece, dell'autocrazia è mono-funzionale,
ovvero presuppone un'unica finalità già implicita e riconosciuta,
che deve essere realizzata dalla ricerca degli strumenti pratici più
idonei. Le discipline da esso favorite sono quelle
tecnico-scientifiche, come la logica, la matematica, la fisica,
l'economia.
Un
sistema rappresentativo tende a essere instabile per sua natura,
perché si basa su un equilibrio tra i diversi agenti di volta in
volta ridefinibile e soggetto a oscillazioni. Per questo, esso può
ribaltarsi nella sua antitesi, ovvero nell'autocrazia, quando si crea
un squilibrio nei rapporti di forza tale per cui un centro prevalga
nettamente sugli altri. In questo caso il potere egemone non ha più
bisogno di riconoscere gli altri per essere riconosciuto a sua volta.
Di conseguenza gli altri centri vengono o cooptati, mutandosi in
funzioni e consolati
del potere egemone, oppure, se sono in conflitto, combattuti e infine
distrutti. Il sistema autocratico così sorto dallo squilibrio di
quello rappresentativo, diventa invece stabile, perché non si fonda
sulla dialettica tra poteri eterogenei, ma sulla propria
autoaffermazione. Se infatti nel sistema rappresentativo ogni agente
per affermare le proprie istanze deve, dialetticamente, affermare
quelle del proprio concorrente (nemico o alleato) l'autocrazia si
afferma nella negazione dell'altro da sé. Al contrario quello
autocratico è un meccanismo meno flessibile, e una volta soggetto a
squilibri, anche piccoli, come la resistenza prolungata di un
oppositore in conflitto, rischia di crollare o di evolversi
nuovamente in rappresentativo (oppure in una nuova autocrazia).
Tuttavia,
bisogna precisare a scanso di equivoci, un sistema non è mai
perfetto, ovvero mai completamente autocratico e mai completamente
rappresentativo. Anche in un sistema rappresentativo esistono
meccanismi autocratici, come per la nomina del dictator
dell'Antica Roma, oppure, senza andare tanto lontano, nel
commissariamento di organismi elettivi in casi particolari. In regime
rappresentativo, ovviamente, il dispositivo autocratico ha una durata
limitata nel tempo e generalmente breve ed è circoscritto a casi
eccezionali.
Viceversa,
anche nelle autocrazie esistono meccanismi rappresentativi. Anche
durante il fascismo Mussolini non poteva fare a meno di una certa
rappresentatività informale dovendo tenere in qualche conto la
gerarchia fascista o riconoscere la Chiesa, né poteva del tutto
ignorare la Monarchia. Un esempio di meccanismo formale invece è
l'elezione ad opera dei Cardinali del Pontefice della Chiesa
Cattolica, un apparato assolutamente autocratico, e che tuttavia
ammette una pratica elettiva. Generalmente, infatti, l'elezione
è il meccanismo di investimento di una carica di ogni sistema
rappresentativo, mentre la nomina
è tipica dell'autocrazia (o di un dispositivo autocratico).
Un'altra
precisazione necessaria riguarda la distinzione tra sistema
rappresentativo e sistema tribunizio (o
democratico come spesso viene impropriamente chiamato). Un sistema
rappresentativo non è necessariamente tribunizio. Può escludere una
gran parte della popolazione da qualsiasi diritto politico ma questo
non lo rende per forza autocratico. Lo Stato Liberale basato sul
censo del Secondo Ottocento ne è un tipico esempio. Naturalmente
però non è vero il contrario; un sistema tribunizio, con diritto
elettivo per tutti i governati, non può non essere rappresentativo.
Ma allora la democrazia (quella autentica, non il tribunato odierno)
è rappresentativa? Non esattamente. Se il popolo governa
direttamente non ha bisogno di essere rappresentato. Esso governa a
nome proprio e non a nome di qualcun altro né lascia governarsi da
altri e le sue istanze sono perciò realizzate da esso stesso. In
questo, dunque, è autocratica, per quanto egualitaria. Tuttavia, se
consideriamo il popolo non come un unico sovrano, ma come un insieme
di individui distinti, allora ciascuno si limita a promuovere le
proprie istanze cercandone il riconoscimento di altri individui con
una strategia di conflitti/alleanze. E in questo senso la democrazia
è la forma più compiuta di rappresentatività, perché ciascuno
rappresenta direttamente le proprie istanze, senza dover demandare a
qualcun altro. Quindi, la democrazia autentica non è un'autocrazia
né un sistema rappresentativo, ma la sintesi e il superamento
dialettico di entrambi.
La democrazia autentica è la forma più alta di rappresentatività
perché ogni singolo individuo della comunità viene riconosciuto
dagli altri, e, nello stesso tempo, la massima forma di autocrazia,
perché il sovrano (inteso come il popolo nel suo complesso) non ha
bisogno di alcun tipo di riconoscimento, né in una fase iniziale
(Anche Cesare dovette farsi eleggere dictator perpetuus dal
Senato) né durante il suo governo. Anzi, qualunque riconoscimento
esterno al monarca popolare è vietato, perché esso assomma
su di sé tutti i poteri.
Il sistema rappresentativo occidentale, quale si è formato dal
dopoguerra fino al finire degli anni '80, era improntato dal punto di
vista formale sull'estensione alle masse dei diritti dello Stato
liberale, e dal punto di vista informale sull'interazione di tre
settori autonomi, quello economico (formato dai gruppi industriali e
finanziari, ma anche associazioni di categoria e sindacati) quello
culturale (la stampa, i media, le università, l'intellighenzia) quello
politico (i partiti di massa e i movimenti spontanei). In ciascun
settore ovviamente vi si trovavano diverse fazioni, e una fazione di
un settore si alleava con quella di un altro per combatterne una
terza.
In un capitalismo avanzato come quello della seconda metà del
Novecento, tuttavia, il settore economico assume una preminenza
particolare. Accade così che i centri di potere economici tendono a
inglobare quelli degli altri due tipi. Una volta che questo accade si
crea un squilibrio per cui sono le fazioni legate ai centri economici
più forti (finanziari e industriali) a prevalere. Il risultato di
una simile mutazione può essere così riassunto:
- I centri economici, industriali e finanziari in particolare, tendono ad adottare strategie simili e coincidenti, quelli legati al grande Capitale sopratutto, divengono consapevoli della loro influenza sugli altri settori e tendono ad istituire alleanze tra di loro
- I centri politici si adeguano presto a questa mutazione, ma avendo perduto autonomia finiscono per replicare le strategie dei primi, finendo per esserne inglobati
- I centri culturali, in alcuni casi, resistono inizialmente a questa tendenza, conservando in parte, in alcune enclavi, una certa autonomia, ma infine finiscono o per soccombere, oppure per omologarsi ai centri politici e a farsi anch'essi cooptare.
Il risultato di ciò è l'egemonia completa dei grandi centri
economici e la fine del sistema rappresentativo. Le istituzioni
rappresentative formali rimangono inalterate, ma sul piano informale
i centri economici esercitano un governo autocratico sulla società.
Successivamente anche sul piano informale si assisterà a una
dissoluzione dei meccanismi rappresentativi (leggi e carte
costituzionali) e a uno svuotamento progressivo degli organi che
assicurano la rappresentatività (parlamenti, governi nazionali e
tutte le cariche elettive) in favore di istituzioni formali
autocratiche (quelle sovranazionali come il Fondo Monetario, la Banca
Centrale Europea e i Trattati commerciali internazionali). La natura
tecnico-economica di queste istituzioni autocratiche testimonia del
progressivo inglobamento dei centri politici nelle strategie e nei
fini di quelli economici.
Se prima i centri economici avevano bisogno di istituire alleanze e
conflitti con quelli politici e culturali per ottenere riconoscimento
e mirare a estendere la loro egemonia, con la transizione dell'ultimo ventennio questi ultimi sono diventati mere funzioni dei primi. I
centri economici hanno così finito di spogliarli di ogni autonomia,
e quindi sostanzialmente di annientarne la vera essenza. Questo non
poteva portare che ha un declino dei meccanismi rappresentativi
formali e all'affermazione di istituzioni sempre più autocratiche.
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