Poche cose
sembrano mettere d'accordo tutti gli esponenti del ceto politico e di
quello accademico come l'invincibile luogo comune sulla presunta
necessità del taglio della spesa pubblica.
Trasversalmente
agli schieramenti politici è in voga indicare la spesa pubblica come
causa di tutti i mali economici dell'Italia. Questo malgrado i dati
mostrino come in realtà quella italiana sia tutt'altro che elevata
(Fig. 1) e negli ultimi anni essa sia costantemente diminuita fino a
scendere al di sotto della media dell'Eurozona (Fig. 2).
Ma queste
drastiche cure “dimagranti” non hanno sortito gli effetti
annunciati, anzi, hanno ancor più depresso la domanda e spinto
sempre più la Penisola nel baratro che essa stessa si sta scavando.
Dire che il taglio
della spesa pubblica in un periodo di crisi galoppante e
disoccupazione ai massimi livelli rappresenta un suicidio non è
eterodossia ma l'alfabeto della macroeconomia.
Fig. 1 |
La riduzione della
spesa viene presentata come premessa per permettere la crescita
economica.
La scuola
neoliberista classica caldeggia una parallela riduzione della
pressione fiscale in modo da incentivare i consumi e quindi la
produzione. In realtà questa è soltanto un'ipotesi irrealistica.
Durante una fase depressiva una riduzione delle tasse non
rappresenterebbe, di per sé, un incentivo alla domanda aggregata.
Aumenterebbe, semmai, il tasso di risparmio, e sarebbe liquidità
sottratta al circuito economico e perciò stagnante. Ma lo stesso
concetto che è implicito in una simile proposta è qualcosa di
profondamente errato. Che una semplice ridefinizione del bilancio
dello stato, lasciandolo però quantitativamente immutato, possa
comportare una crescita del Pil è aritmeticamente impossibile. Solo
a una crescita del deficit dello stato, come propugna la Modern Money
Theory, può corrispondere un saldo positivo del settore privato.
Pertanto spostare le uscite dello stato dalla spesa verso
alleggerimenti fiscali dal punto di vista contabile non aggiunge un
centesimo. Esso si rivela, anzi controproducente, perché è provato
che il moltiplicatore della spesa sia superiore a quello delle tasse.
Le fasce più deboli sono esenti da imposte e per quelle più ricche
si tratterebbe di un aumento di capitali finanziari che non
intaccherebbe il livello dei consumi. Per la stessa ragione, anche
pensare di aumentare il deficit usando la sola leva fiscale potrebbe
non dare risultati. Certo, è innegabile che il livello di
imposizione fiscale in Italia sia eccessivamente elevato e vada
ridotto. Ma ciò può essere efficace solo in concomitanza con un
quantomeno identico incremento della spesa dello stato.
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Fig. 2 |
Esiste, tuttavia,
un'altra versione di questa retorica che chiede di ridurre le
cosiddette “spese inutili” ovvero quelle per il funzionamento
dell'apparato burocratico statale e per la retribuzione degli
amministratori. Peccato, però, che che i cosiddetti “costi della
politica” siano soltanto una parte insignificante dell'intera spesa
che lo stato è costretto a sostenere (Fig. 3). E del resto neanche
in questo caso ci si può sottrarre alla logica della contabilità
che asserisce come uno spostamento di risorse non può essere mai
un'aggiunta.
L'unica vera
crescita può derivare, in un periodo di crisi, da un solo fattore,
lo Stato.
Non è riducendone
il peso che si consente ai mercati di espandersi come vorrebbe la
propaganda neoliberista. È, al contrario, soltanto la spesa pubblica
che può interrompere il ciclo depressivo instauratosi.
Un aumento delle
assunzioni nella pubblica amministrazione (in direzione, dunque,
diametralmente opposta rispetto alla linea seguita dell'attuale
governo) un piano nazionale di opere pubbliche, il miglioramento dei
trasporti e della rete viaria (al di là del clamore di isolate e
inutili opere faraoniche) il miglioramento dei servizi, la
nazionalizzazione dei comparti industriali strategici, sarebbero i
provvedimenti che potrebbero mettere fine alla spirale recessiva.
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Fig. 3 |
Ma contro tutto
questo, oltre che una tanto diffusa quanto annosa retorica, vi è
l'ostacolo dei trattati europei e della moneta unica che impediscono
qualsiasi aumento di deficit e una politica anticiclica.
Bisogna mettere in
guardia dai falsi profeti. Se ripresa ci sarà potrà venire soltanto
da un innalzamento significativo del disavanzo pubblico e da un
aumento della spesa pubblica oggi ridotta ai minimi termini.
Immagine e grafici tratti da:
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