Non si può dire
che oggi la gloriosa tradizione dell'antifascismo non sia screditata,
per colpa, soprattutto, degli stessi antifascisti.
In passato
l'antifascismo ha svolto un ruolo importante, non solo
nell'opposizione ai regimi fascisti tradizionali come si sono venuti
a creare in seguito al primo conflitto bellico mondiale – ovvero al
nazi-fascismo mussoliniano e hitleriano – culminata nella
Resistenza; ma anche come risposta all'estrema destra golpistica e
terroristica sviluppatasi nella seconda metà del Novecento.
All'antifascismo
sono state mosse diverse critiche, anche da parte di alcuni pensatori
marxisti e anticapitalisti. Ne sono un esempio quelle di Costanzo
Preve e di Diego Fusaro, che vedono nell'antifascismo una strategia
del Capitale finalizzata a dividere le masse popolari in uno scontro
ideologico per allontanarle da un'opposizione al capitalismo. Questa
tesi vede nell'antifascismo un retaggio ideologico ormai inservibile
per gli anticapitalisti che viene usato per fini egemonici dalle
élite. Una simile critica si estende anche alla sinistra nel suo
complesso, come principale forza antifascista divenuta completamente
organica al Capitale. Occorre abolire, dicono, le divisioni tra
fascisti e antifascisti, come tra destra e sinistra, perché superate
e utili solo a perpetuare divisioni dell'unico fronte che dovrebbe
combattere unitamente il capitalismo.
Una simile lettura
non deve essere demonizzata né superbamente ignorata dalla sinistra.
Essa coglie un punto fondamentale: la degenerazione che
l'antifascismo (e con esso tutta la sinistra) ha subito; questo ha
finito per diventare una mera discriminante ideologica senza nessuna
prospettiva critica dell'esistente, ma nel migliore dei casi acritica
e nel peggiore apologetica. Questa deriva si inscrive in quella più
ampia della sinistra di cui si è parlato su questo blog (v. La parabola discendente della sinistra. Da Marx a Tsipras).
Da una parte vi è
chi usa la discriminante antifascista per portare l'acqua al mulino
del neoliberismo, ovvero per giustificare l'erosione della sovranità
nazionale operata dal globalismo economico. In questa narrazione gli
stati sono ridotti ad apparato dei nazionalismi e dunque portatori di
conflitti e di pratiche oppressive. Dall'altra vi è
invece la sinistra odierna che, rigettato Marx, l'anticapitalismo e
l'antimperialismo, ha abbracciato un progressismo astratto costruito
su un'“etica dei diritti” astorica e disarticolata, sganciata dal
reale contesto socio-economico. Questa specie di sinistra motiva le
sue rivendicazioni affermando dei diritti generici, con una
ragionamento di tipo circolare. Così tutti i soggetti vengono
astrattamente equiparati, asserendone le libertà individuali, ma
senza includerli in un progetto di emancipazione collettiva.
Immagine tratta da:
http://en.wikipedia.org/wiki/National_Liberation_Committee
Venuto
a mancare l'anticapitalismo, questa sinistra ha sentito il bisogno di
individuare un discrimine con la destra che potesse motivare ancora
la propria esistenza. E questo è stato appunto l'antifascismo.
Ma tale antifascismo è stato del tutto sottratto alla dialettica
storica, per diventare una opposizione ideologica a un fascismo
altrettanto ideologico. Più che porsi sul piano del reale divenire
storico e contestare il fascismo alla radice, la sinistra è rimasta
al livello della sovrastruttura superficiale, in un'opposizione
frontale alle “parole d'ordine” dell'estrema destra. Così al
militarismo ha opposto il pacifismo, al tradizionalismo religioso il
laicismo, all'autoritarismo un individualismo libertario, al
nazionalismo un generico multiculturalismo.
Non ha saputo, questa sinistra,
comprendere le mutate condizioni storico-sociali, e il diverso ruolo
che ha assunto il fascismo nel corso del tempo. Così, essa si è
armata contro quei reperti archeologici del tutto superati e ridotti
al ruolo di mera testimonianza simbolica. Il risultato è stato, di
conseguenza, che essa stessa è diventata un reperto archeologico.
Ma, paradossalmente, ha resuscitato un cadavere; essa, infatti,
doveva tenere in vita quel nemico per tenere in vita se stessa. Senza
comprendere, e non volendo comprendere, quanto quel nemico
rappresentasse un fascismo ormai superato ed esposto nei musei. Non
si poteva, non si può andare oltre, perché ciò vorrebbe dire
andare oltre quell'astratto progressismo che si è assunto alla base
della propria rappresentazione. È stato pertanto facile per il
neoliberalismo globalista reclutare questa sinistra nelle proprie
guerre. Qualsiasi opposizione al globalismo dei mercati è stata
presentata come reazionaria. Qualsiasi difesa della sovranità degli
stati è stata descritta come nazionalistica. Qualsiasi stato che si
opponesse all'imperialismo occidentale come fascista o dispotico.
E non è un caso se spesso la sinistra
(anche se non senza voci di dissenso interno, bisogna dirlo) ha
marciato al fianco del neoliberismo, come nel sostegno alle
“rivoluzioni colorate” ovvero al tentativo di penetrazione degli
Usa nell'est europeo; o nella mistificante esaltazione dei neonazisti
ucraini (paradosso dell'antifascismo astratto) presentati come dei
partigiani in lotta contro il tiranno Putin; nella glorificazione dei
monaci tibetani anticinesi in nome di un candido irenismo come sempre
a senso unico (ovvero quello dei piani imperialistici
dell'Occidente); nell'avversione ai regimi arabo-isalmici, in nome
della difesa della dignità femminile. Non che la Russia, la Cina,
l'Iran, siano nazioni prive di contraddizioni e dotate di un assetto
interno desiderabile. Ma il risveglio delle coscienze che giunge
puntuale sempre quando fa comodo ai padroni americani, e mai,
ovviamente, contro di essi (per lo meno quando alla Casa Bianca c'è
un Obama o un Clinton) dovrebbe come minimo destare sospetto. Invece
la sinistra, essendo diventata antistoricista, non comprende il
particolare contesto nel quale maturano e si evolvono i conflitti su
scala mondiale, finendo per ridursi al servizio, in nome dei
“diritti”, del Capitale.
Quale più vivido esempio può essere
portato a sostegno di questa analisi se non il modo in cui la
sinistra, italiana in particolare, ha difeso a oltranza l'Euro e
l'Unione Europea, ovvero i principali strumenti del capitalismo
finanziario e del neoliberismo dominante? Limitata dal suo
universalismo antistorico e individualista ha creduto all'ideologia
del cosmopolitismo europeista. La sinistra si è così resa complice
della “globalizzazione” (parola anch'essa mistificatoria) che a
parole contestava.
In questo la critica di Preve e Fusaro
è corretta. L'antifascismo della sinistra è oggi un mero gingillo
ideologico che serve a ravvivare un conflitto puramente immaginario,
il quale finisce per essere funzionale alle strategie delle élite
dominanti.
Ma riconoscere questo, non significa
che si debba gettare il bambino con l'acqua sporca, e rinunciare del
tutto a una connotazione antifascista. La tesi di Preve e Fusaro
trascura un evidente fatto storico. Ovvero il ruolo che hanno giocato
i fascismi nella difesa dell'ordine capitalistico. Il loro compito è
stato quello di fermare l'avanzata del proletariato, del socialismo e
del comunismo in Occidente. Nel momento in cui il Capitale si è
sentito minacciato da queste forze popolari non ha esitato a
ricorrere a metodi duramente repressivi e tirannici. Il fascismo è
stato il “sicario” del capitalismo in questa fase. Il quale non
ha esitato nemmeno a sbarazzarsene una volta raggiunti i suoi scopi e
quando il fascismo ha cominciato a diventare un alleato un po' troppo
ingombrante. Questo è soltanto il primo fascismo. Esso ha una
connotazione nazionalistica, statalista e colonialista.
Il secondo stadio del fascismo, che si
afferma nel secondo Dopoguerra, si salda con l'imperialismo americano
e il neoliberismo (l'uno o l'altro o entrambi). La sua più esemplare
manifestazione è il Cile di Pinochet, teatro degli “esperimenti
sociali” della Scuola di Chicago. Esso è stato lo strumento con
cui gli apparati americani hanno ribaltato regimi o contrastato
movimenti e partiti politici ad essi non graditi, al fine di
conservare la propria egemonia geopolitica e militare, oltreché
economica, in Occidente, inserendosi nel contesto del conflitto con
l'Unione Sovietica.
Vi è, poi, un terzo stadio di
fascismo, il quale si afferma in seguito al crollo del Muro di
Berlino, ed è per certi versi la continuazione del secondo. É
caratterizzato da una ancor più spiccata saldatura con il
neoliberismo e un ormai dichiarato atlantismo. In Sud America è
sostenuto dalle élite locali in funzione anticastrista e
antichavista, in opposizione ai governi di socialismo “ibrido”
dell'America latina. Nell'Europa dell'Est, in particolare in Ucraina,
è invece antirusso e rappresenta il tentativo dell'imperialismo di
conquistare i territori oltre l'ex cortina di ferro e di
ridimensionare il peso geopolitico della Russia.
Vi è infine un quarto stadio, il quale
non è più tanto funzionale agli interessi dell'Impero nordamericano, quanto ai disegni dell'aristocrazia finanziaria che domina l'Europa. Esso ha
una impronta fortemente neomercantilista, antinazionale, antistatale,
economicista. Ha lo scopo di demolire gli stati nazionali europei,
abolire qualunque limite ai movimenti di merci e di capitali e
concentrare il potere politico in istituzioni sovranazionali e
oligarchiche. Gli strumenti di questo fascismo sono l'Euro e l'Unione
Europea. Si rivela in un'ideologia segreta delle classi dominanti
europee che è elitista, moralistica, antipopolare, anticonsumistica
e contraria alla democrazia sotto qualsiasi forma. Gli ideologi e gli
individui di questa aristocrazia sono a volte legati al vecchio
nazi-fascismo e ad apparati massonici.
Quest'ultimo stadio del fascismo si
caratterizza per il fatto che non si avvale di un consenso popolare
diretto, non è dichiarato, e non ha un ruolo oppositivo, cioè
puramente antimarxista, anticomunista e antioperaio, ma mira a
piegare qualsiasi resistenza all'egemonia capitalistica e a
sottomettere del tutto l'autorità politica ai suoi progetti
economici. Esso si identifica del tutto con le élite, senza nessuna
mediazione politica (come il vecchio fascismo).
Il fascismo oggi, dunque, non è
soltanto un fossile, ma è un fenomeno reale, capace di riciclarsi e
di adattarsi alle mutate condizioni storiche. Perciò tentare di
liquidare l'antifascismo sarebbe un errore.
È necessario, semmai, attualizzarlo.
Per far questo però la sinistra deve prima recuperare la sua
tradizione anticapitalista e marxista, magari avvalendosi degli
orizzonti aperti dalle teorie economiche antiliberiste degli ultimi
decenni, in particolare keynesiane e post-keynesiane. In seconda
istanza ha bisogno di comprendere come l'attuale fascismo si innesti
nella odierna struttura socio-economica e il suo ruolo nel difendere
ed estendere il dominio capitalistico. Infine, deve trovare un modo
efficace di contrastarlo, che parta quindi da un'analisi della realtà
sociale ed economica, invece che da un'“etica dei diritti”.
Da questo punto di vista, quindi, la
tesi “post-antifascista” e “post-sinistra” di Fusaro e Preve
presenta gli stessi limiti di coloro che accusano: ovvero di
concepire il fascismo come una mera patologia avulsa dal contesto
storico, senza vedere il suo ruolo di supporto del capitalismo, nelle
diverse epoche. Essa, anzi, presta il fianco al travisamento della
storia operato del post-modernismo da loro stessi criticato, il quale
proclama la fine delle “grandi narrazioni” e dei “pensieri
forti”. La tesi della fine della dicotomia destra/sinistra, come di
quella fascismo/antifascismo, viene usata proprio da coloro che
decretano frettolosamente la “morte delle ideologie” e con essa
di qualsiasi pensiero anticapitalista e realmente emancipativo, e che
infatti sono i più incalliti sostenitori dell'ordinamento economico
attuale, al più perfezionato da qualche miglioria estemporanea. Non
è un caso che la principale manifestazione politica del presunto
superamento di questa dicotomia è un partito, il Movimento Cinque
Stelle, che più che porsi entro un orizzonte “altro” ha
accatastato in modo poco coerente proposte di destra e proposte di
sinistra, dichiarandosi a favore, nello stesso tempo, ad esempio,
della campagna a favore dell'acqua pubblica, come della drastica
riduzione della spesa dello stato (v. I finti keynesiani). Un
miscuglio poco coerente di chi è vittima di un astrattismo non meno
nocivo di quello della sinistra odierna. Questo movimento, con la sua
protesta pulsionale e disarticolata, è ben lontano dall'incarnare
una critica al capitalismo.
Vanno allora distinti quei fenomeni di
“folclore” fascista esclusivamente dediti all'esercizio di una
memoria rituale e del tutto marginali, dal fascismo vero e proprio
che opera attivamente e che è funzionale al Capitale e alle
strategie delle élite. In questo senso si può e si deve tenere in
vita una sinistra antifascista, ma solo a condizione che essa sia una
declinazione di un maturo e consapevole anticapitalismo e non una
mero momento autocelebrativo.Immagine tratta da:
http://en.wikipedia.org/wiki/National_Liberation_Committee
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