Il sogno
dell'occidentaliz-
zazione del globo, con la caduta del Muro di Berlino divenuta lo slogan del neoliberalismo, che doveva inaugurare un'era di pace e prosperità in tutto il Mondo da ovest a est, si è infranto contro un altro muro ben più invalicabile, quello della storia.
zazione del globo, con la caduta del Muro di Berlino divenuta lo slogan del neoliberalismo, che doveva inaugurare un'era di pace e prosperità in tutto il Mondo da ovest a est, si è infranto contro un altro muro ben più invalicabile, quello della storia.
Come tutti gli
imperi che crollano, anche l'Unione Sovietica con la sua scomparsa ha
comportato una serie di catastrofi sociali, demografiche e politiche.
Accadde con la fine dell'Impero Romano, con quella dell'Impero
Ottomano, e non di meno con il crollo dell'URSS.
La potenza
socialista non è stata sostituita da qualcosa di eticamente e
politicamente preferibile. Ha creato soltanto dei popoli sradicati,
in balia dei mercati e delle mire espansionistiche occidentali, ma
anche in Occidente ha segnato la fine di ciò che rimaneva di un'idea
di società alternativa.
Coloro che hanno
gioito nel 1989 dovrebbero oggi ricredersi: non è stata garantita
una vita migliore a quei popoli dell'ex Unione Sovietica, svegliatisi
improvvisamente un giorno senza patria e senza governo; non c'è
stato quell'avvenire di pace prospettato dai cultori delle presunti
virtù democratiche dell'Impero Occidentale. Al contrario, dal quel
1989 è iniziata una serie infinita di conflitti bellici: 1991,
Guerra del Golfo; 1992, guerra in Bosnia; 1996, guerra in Kosovo;
2001, guerra in Afghanistan; 2003, guerra in Iraq, fino ad arrivare
alla guerra civile in Ucraina attualmente in corso.
Il crollo della
potenza sovietica ha spianato la strada ai piani imperialistici
americani oramai senza più alcun freno. Gli Usa hanno cercato, quasi
sempre riuscendoci, di portare il conflitto in tutte le aree del
pianeta non ancora sotto il loro controllo: nell'Europa dell'est, in
Medio Oriente, in Nord Africa, in Estremo Oriente (soprattutto in
Cina e in Corea del Nord, in questo caso però con scarsi risultati).
Hanno cercato di
farlo per via diplomatica, creando e finanziando quei movimenti che
miravano a rovesciare governi poco filo-americani (è il caso delle
cosiddette “rivoluzioni colorate”) e, dove questo non era
possibile, per via militare.
Ma la “fine
della storia” profetizzata da Francis Fukuyama era solo un'utopia.
L'egemonia mondiale statunitense durò poco più di una decade. Il
ricostituirsi di uno stato russo e l'irrompere della Cina sarebbero
state le “dure repliche della storia” alla tesi
“post-storicista”.
Il
“post-storicismo”, come il post-modernismo in ambito filosofico,
proclama il dissolversi della modernità in nome di uno scetticismo
totale che in realtà nasconde l'accettazione di una determinata
visione del mondo: quella coincidente con l'ordine capitalistico
occidentale ultra-liberista. Gli Stati Uniti hanno rappresentato la
concretizzazione di questa ideologia sul piano politico-militare,
mentre l'Unione Europea lo è stata su quello economico. Gli Usa
avrebbero dovuto imporre la loro egemonia per via militare e
strategica su tutto il globo; l'Unione Europea, fedele alleata,
rappresenta il tentativo di spogliare gli stati dei loro poteri e di
sottrarre l'economia al controllo della politica per imporre la
concezione neoliberale nel Vecchio Continente, funzionale ovviamente
agli interessi americani.
La speranza di chi
crede che l'Unione Europea possa possa servire a contrastare
l'egemonia americana si è rivelata una pia illusione. Gli Usa sono
ben felici dell'unificazione europea, che ha annullato quel po' che
rimaneva dell'autonomia delle nazioni europee. Lo scopo della UE è
abolire le frontiere nazionali in nome della guerra ai nazionalismi
per facilitare la mobilità dei capitali e favorire la penetrazione
delle multinazionali americane.
Ma la supremazia
statunitense sta volgendo al termine. Essa ha manifestato le prime
crepe già alla fine degli anni Novanta, con l'emancipazione di
alcune nazioni del Sud America, cioè proprio quel continente
considerato il “cortile di casa” di Washington. Venezuela,
Bolivia, e potenze emergenti come Argentina e Brasile, stanno
portando avanti una politica estera di indipendenza quando non
apertamente anti-Usa.
Sul versante
orientale le cose non vanno meglio. Il fronte russo-cinese sembra
destinato a sancire la fine dell'egemonia del dollaro. Il
consolidamento del nuovo stato russo sotto la guida intelligente di
Vladimir Putin ha arrestato, o quantomeno rallentato, la penetrazione
euro-americana nelle repubbliche ex sovietiche.
Anche l'Unione
Europea, la cui esistenza sembrava non discutibile fino a pochi anni
fa, oggi si trova a dover fronteggiare una forte opposizione interna.
L'Ucraina
rappresentava la frontiera della guerra imperialistica totale degli
occidentali; l'obiettivo doveva essere quello di inglobarla nella
NATO e renderla una postazione avanzata della scacchiera bellica del
Pentagono e di includerla nella zona Euro, rendendola così ostaggio
della finanza occidentale, in modo da stringere la Russia in una
morsa . Ma Putin si sta opponendo tenacemente a questo tentativo e
tutta la popolazione russa dell'Ucraina lo sostiene.
Si sono ricreati
due blocchi, l'uno contro l'altro armati, con buona pace dei cantori
di un disarmo unilaterale che in realtà rappresenterebbe la
subalternità più totale agli Usa. Da una parte vi è l'Euramerica,
fondata sull'asse Berlino-Washington, dall'altra l'Eurasia, costruita
sull'asse Mosca-Pechino. Il ricostituirsi di un fronte anti-americano
è utile ad arginare l'offensiva del capitalismo ultra-liberista. Il
blocco euramericano si caratterizza per un'elevata finanziarizzazione
del settore privato, antistatalista sul versante interno,
mercantilista e imperialista su quello esterno. Quello eurasiatico
invece è industrialista, statalista e protezionista. Quest'ultimo, pur presentando un assetto socio-politico criticabile, costituisce
un fattore di stabilizzazione rispetto all'esplosione incontrollata
dei conflitti dell'ultimo decennio su scala planetaria e di contrasto
all'invasione imperialistica.
Le opposizioni
europee, tuttavia, non sembrano ancora in grado di cogliere la
portata di questa divisione. In particolare in Italia, si assiste a
una sinistra, del tutto fagocitata ormai dalla linea euramericana,
europeista e atlantista che ha ormai accettato supinamente la
permanenza dell'Italia nella UE e nella NATO. Di contro, il Movimento
Cinque Stelle, il maggior partito “anti-sistema” dello scenario
italiano, si allea con un partito fortemente atlantista e
neo-liberista composto da nostalgici della Thatcher. Il progetto
dell'UKIP di Nigel Farage è semplicemente quello di costruire
un'Europa anti-tedesca ma filoamericana. Come dire: dalla padella
alla brace.
Una forza di
opposizione consapevole dovrebbe invece non solo rigettare la
burocrazia eurounionista, ma anche la NATO e le servitù militari.
Dovrebbe promuovere accordi strategici con stati come la Russia o la
Cina, ma anche con Brasile e Argentina, potenze emergenti in grado di
accelerare il declino dell'egemonia statunitense.
Un partito
filo-russo in Occidente, pur in modo critico e indipendente, potrebbe
mettere in crisi l'unità dell'asse Berlino-Washington . Ma purtroppo
questa forza non è ancora nata: dalla destra thatcheriana dell'UKIP
alla sinistra pro-euro di Syriza le opposizioni risultano ancora
incapaci di presentare una proposta coerentemente antimperialistica;
circostanza spiacevole perché affida all'Europa ancora un ruolo
secondario, al massimo coadiuvante, rispetto al conflitto, come
accade ormai dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
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