La struttura analitica isola il sostantivo dominante da quei contenuti che potrebbero invalidare o quantomeno disturbare l'uso accettato del sostantivo stesso nei programmi politici e nell'opinione pubblica. Il concetto ritualizzato è reso immune alla contraddizione.
Herbert Marcuse, L'uomo a una
dimensione
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Questa scelta viene concretizzandosi
sempre più verso la fine degli anni '70, ad opera di alcuni
dirigenti dei partiti socialisti e comunisti europei. I loro nomi, da
Mitterand a Napolitano sono noti.
In Italia i primi tentativi di
sganciamento del partito comunista dal marxismo e
dall'anti-imperialismo sono riconducibili alla corrente migliorista
del PCI. Lo scopo di questa corrente è non solo emancipare del tutto
il PCI rispetto all'Unione sovietica, ma anche ricondurlo sotto
l'egida della NATO. Rispetto alla linea dell'eurocomunismo
berlingueriano i miglioristi ne adottarono una atlantista, operando per tessere i rapporti con i funzionari
americani.
Lo scopo era quello di ricondurre il
PCI nella sfera di influenza americana, proponendolo come partito di
governo non avverso alle élite occidentali.
Il tentativo, si può dire sia riuscito
in pieno. Ma quella strategia va vista non solo in un'ottica
squisitamente geopolitica, ma anche in rapporto alla collocazione
socio-politica nazionale dell'apparato comunista. Il PCI non solo
finì per abbracciare del tutto l'atlantismo (cui anche Berlinguer
quando era in vita fece delle concessioni) ma per ristrutturarsi sul
piano della dialettica politica interna. Ovviamente i due aspetti
sono connessi tra di loro, poiché si doveva rendere accettabile
all'establishment americano il Partito Comunista Italiano che fino ad
allora era stato considerato dagli statunitensi una minaccia
all'ordine internazionale vigente.
Il PCI attraversò un processo di
trasformazione che lo avrebbe del tutto snaturato.
Sebbene infatti, da Togliatti in poi,
non fosse mai stato rivoluzionario, costituiva, con tutte le sue
inemendabili contraddizioni, un blocco politico a sostegno del
lavoro, per quanto all'interno di una prospettiva capitalistica.
Il PCI, con le organizzazioni
sindacali, contribuiva a porre un argine alle pretese egemoniche del
Capitale quantomeno entro i confini nazionali.
L'operazione dei miglioristi fu quella
di riposizionare il PCI rendendolo non più strumento di
legittimazione giuridica del lavoro e del compromesso di questo con
gli interessi del capitalismo nazionale, ma apparato burocratico
funzionale agli interessi del capitale non solo nazionale.
Questo apparato burocratico svolse il
compito storico di dirigere i lavoratori e le classi popolari verso
la resa, parziale prima e totale poi, a quegli interessi.
Per far questo dovette abiurare anche
dichiaratamente la dialettica marxiana. Il nuovo PDS (diventato poi
Ulivo e infine PD) non si posizionava più, come il vecchio PCI, su
un terreno di critica e di antitesi (seppure non rivoluzionaria)
rispetto al Capitale, ma diventava contiguo ad esso, ed anzi suo
strumento. In questo modo le élite capitalistiche riuscirono a far
accettare ai lavoratori e alle classi più ostili il loro disegno
egemonico, con una maschera progressista.
Il ceto dirigente (ex) comunista riuscì
in questa missione contribuendo a ridefinire alcuni concetti
politici. Uno è quello di “sinistra”.
Se prima la “sinistra” era
un'espressione linguistica per designare le forze anti-capitalistiche
e socialiste, ovvero quelle forze che credevano in una struttura
socialista dello stato, con la svolta anti-marxiana la “sinistra”
rappresenterà un'entità astratta priva di una connotazione
ideologica precisa, al più vagamente ispirata a un liberalismo
progressista. Anche la collocazione in ambito internazionale come
“socialdemocratico” non rende ragione della vera natura del
PDS-PD. Gli stessi concetti di “socialdemocrazia” o “socialismo”
hanno subito uno slittamento di significato che ha finito per
includerli all'interno dell'orizzonte capitalistico. Così, può
dirsi socialista chi non desidera lo stato socialista.
In questo senso l'opera compiuta
dall'ex PCI è soltanto una manifestazione di una strategia
comunicativa attuata a livello europeo.
Si può dire che in Italia abbia avuto
particolare successo, forse perché ha giovato della figura
catalizzatrice di Silvio Berlusconi, che ha finito per fungere da
“parafulmine” per il ceto dirigente “progressista”.
La ridefinizione della sinistra ha
permesso l'attuazione di tutte quelle riforme neoliberali che hanno
indebolito i lavoratori. Tuttavia qui bisogna fare un distinguo.
Perché se una parte della sinistra finirà per abbracciare
l'ideologia neoliberale, diventando, nei fatti, una “nuova destra”,
un'altra, cosiddetta nella vulgata mainstream, “radicale” o
“estrema” si è posta in modo critico rispetto a questa ideologia
e alle sue politiche. Tuttavia, anch'essa, in modo forse più
travagliato e lento, ha finito per abbandonare il marxismo e
collocarsi nella definizione astratta di sinistra.
Se la prima sinistra ha terminato il
suo percorso di mutazione negando se stessa e lo stesso concetto
astratto di sé che aveva elaborato, questa seconda specie vi si
identifica appieno, radicalizzandolo.
Ma accettando l'astratto progressismo
delle élite e la “diluizione” nel mare dell'indefinitezza del
nuovo concetto, si è autocondannata al fallimento
storico.
Così, questa sinistra, non può che
rivendicare lo stesso progressismo astratto di chi vorrebbe
criticare, magari radicalizzandolo per quanto possibile, ma sempre
restando all'interno dell'orizzonte descritto dalle élite. Smarrito
l'apparato teorico di interpretazione della realtà capitalistica e
gli strumenti pratici per cambiarlo, poiché dispersi
nell'astrattezza della sua nuova immagine, non poteva che far proprie
rivendicazioni particolari e isolate, del tutto avulse da qualsiasi
paradigma di comprensione del presente. Queste rivendicazioni,
scollegate tra loro, potevano avere come unico debole collante
quell'“etica dei diritti” propria di una sorta di nuovo
giusnaturalismo universalistico che è tanto in voga nel gergo
politico odierno. Questo giusnaturalismo non poggia su un solido
fondamento filosofico e razionale, ma si limita ad erigere allo
status di “diritti” determinate rivendicazioni, quasi come fossero un fatto naturale. Il fondamento non è però né storico né
politico, ma proprio di un moralismo incoerente.
Ma accettando e inscrivendosi
all'interno di questo progressismo astratto si accettava l'ordine
socio-economico vigente di cui è figlio. Non c'era spazio per la
lotta di classe, e quindi per la lotta per “l'abolizione dello
stato di cose presente” come diceva Marx, e nemmeno per pensarlo,
ma la permanenza nell'orizzonte del capitalismo diveniva
ineluttabile, al più si poteva pensare di migliorarlo un po', con
rivendicazioni “radicali” ma senza minare la struttura dei
rapporti sociali alla base. In questo senso questa sinistra può
giustamente essere definita “estrema” o “radicale” perché
non che è la propaggine periferica dello status quo.
Ed essendosi autoproclamata periferia
dello stato di cose attuale era quindi inevitabile che finisse per
diventare marginale come forza politica; abiurata la lotta di classe,
e qualsiasi tentativo di ribaltamento dell'ordinamento sociale
acquisito come dato ineluttabile, e quindi abbandonata la classe
lavoratrice in quanto soggetto storico potenzialmente rivoluzionario,
non restavano che proteste isolate come sui “diritti civili”
(degli omosessuali, delle donne, degli extracomunitari, ecc.)
proteste sicuramente condivisibili nei contenuti specifici, ma non
dialettizzate e non elaborate criticamente in funzione di uno scopo
emancipativo collettivo. Questa sinistra desidera soltanto assegnare
ad ognuno i suoi “diritti”, come se ciascuno debba usufruirne
individualmente ma sempre all'interno dello stato di cose acquisito.
In questo modo si è andati incontro a
una perdita di senso. Perché smarrendo gli strumenti critici
dell'esistente ogni avvenimento diviene incomprensibile in quanto
sganciato da una realtà che non si è più in grado di comprendere e
interpretare ma soltanto di elaborarla in modo pulsionale, reagendo
quindi in maniera disorganica e incoerente. Di fronte
all'incomprensibile, all'ineffabile, che in quanto tale diviene
ineluttabile e insuperabile, l'asserzione di “diritti” appare uno
sterile esercizio di intellettuali snob. Ed è questo,
nell'immaginario collettivo, che finisce per diventare la sinistra.
Laddove, invece, essa riesce a scavarsi delle nicchie, avrà
disinnescato una potenziale rivolta contro l'esistente,
riconducendola ai nidi sicuri e “politicamente corretti” della
protesta interna al sistema di dominio che essa non scalfisce.
Forse, questa, è la tragicomica
conclusione della parabola della sinistra, da strumento
rivoluzionario a strategia di controllo sociale. Da parte nostra
auspichiamo un ripensamento, invece, di essa, che non butti
via l'acqua sporca con tutto il bambino. Per quanto l'attuale
concetto di sinistra sia inutilizzabile, questo non significa che non
possa esserne ricostruito uno nuovo, purché sappia però,
emanciparsi dal progressismo astratto cui si è malauguratamente
approdati, e riesca a recuperare in modo originale il pensiero di
Marx e del marxismo, ritrovando una chiave di volta rivoluzionaria da
opporre allo strapotere dell'odierno ineluttabile.
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