Il Partito Radicale, come si sa, gode
di grande considerazione presso la stampa, in particolare tra quella
cosiddetta “moderata” (con evidente cortocircuito lessicale). È
stimato, in particolare per i suoi dirigenti storici, lo scomparso
Marco Pannella ed Emma Bonino, anche da molti di coloro che non ne
condividono tutte le posizioni ma lo considerano come un fattore
fondamentale dell'ammodernamento dei costumi italiani. Si pensa ai
radicali come la forza trainante della secolarizzazione dell'Italia a
cavallo tra anni Settanta e Ottanta, in particolare con le lotte in
favore del divorzio e dell'aborto. In realtà la loro influenza in
questo senso è di molto sopravvalutata. Il divorzio fu reso legale
da una legge del 1974 promossa da liberali e socialisti, e
successivamente convalidata in seguito al referendum abrogativo. Per
il no, e quindi a favore del divorzio, si schierarono non soltanto i
radicali, ma anche i socialisti, i comunisti, i repubblicani, i
liberali e i socialdemocratici più una parte dell'area cattolica. Il
maggior contributo, dunque, si deve ai primi due, che potevano
portare il maggior numero di consensi, senza dubbio molti di più di
quelli dei radicali. Sostennero il sì, invece, soltanto la DC e il
MSI. Per quanto riguarda l'aborto, la cui regolamentazione si deve
alla famosa legge 194 del 1978, i radicali promossero un referendum
nel 1981 per modificare la legge in senso meno restrittivo,
perdendolo. Per l'altro quesito promosso dal Movimento per la Vita,
che invece chiedeva maggiori restrizioni, anche in questo caso uno
schieramento variegato si oppose alla modifica. L'importanza dei
radicali nel processo di secolarizzazione è quindi di molto
sopravvalutata, a causa di letture che li considerano i fautori quasi
solitari di battaglie per i diritti civili in un'Italia bigotta. La
realtà è che ci fu un fronte comune e pressoché trasversale, ad
esclusione delle forze più conservatrici, di cui i radicali non
erano che una parte e per di più minoritaria.
La politica di Pannella e del suo
partito è stata improntata a una scaltrezza spregiudicata e a un
abile uso dei media, anche con azioni clamorose (scioperi della
fame, della sete, ecc., oggi in realtà decisamente inflazionati). Si
aggregarono alla sinistra negli anni Sessanta e Settanta, sfruttando
la scia dei movimenti di protesta, negli anni Novanta si allearono
con Berlusconi, ottenendo in questo modo un'ampia visibilità che gli
avrebbe permesso di raggiungere il loro massimo storico alle elezioni
europee del '99. Un altro mutamento è quello che li portò da
fautori del pacifismo che richiedevano persino l'abolizione degli
eserciti e rigorosamente anti-interventisti (contro la guerra in
Vietnam e la NATO) ad appoggiare le guerre americane. Nel 1992 la
Guerra del Golfo ne segnò una svolta verso posizioni interventiste.
Nel 2006 Emma Bonino dichiarava, a proposito dell'occupazione
dell'Afghanistan (cui il nostro paese partecipava): “Questa
è una missione delle Nazioni Unite, in cui un governo eletto
democraticamente ci chiede di restare e anzi di fare di più. Lo
stesso chiede la società civile. Quali sono allora le motivazioni
per cui dovremmo andarcene? Solo quelle ideologiche? Io credo che un
Paese che vuole crescere sulla scena internazionale deve prendersi la
responsabilità di non abbandonare a metà strada una nazione che sta
cambiando”.
La
politica camaleontica sulle alleanze e le questioni estere, si
affianca a certe costanti: il liberismo economico, l'opposizione alla
cosiddetta “partitocrazia”, il cosmopolitismo. Nel 1994 i
radicali promossero una serie di referendum. Chiesero in particolare
l'abrogazione della legge che disciplinava il commercio, la
liberalizzazione degli orari degli esercizi e la privatizzazione
della RAI. Furono anche da sempre fermamente contrari al
finanziamento ai partiti, per abolire il quale si fecero promotori di
due referendum, il primo lo persero nel 1978, il secondo lo vinsero,
nel 1993, sull'onda di Tangentopoli. Hanno sostenuto da sempre il
superamento delle nazioni; in un documento del 1960 chiedevano “la
federazione europea da perseguirsi immediatamente attraverso elezioni
dirette” anticipando così l'europeismo di alcuni decenni dopo. Nel
1989 cambiarono nome in “Partito Radicale Transnazionale”, per
sottolineare il loro carattere anti-nazionale.
I
radicali presentano il profilo esatto di un partito liberale
classico. Rispetto al PLI, da cui nacquero attraverso scissione, si
distinguono per l'attivismo, il dinamismo e la spregiudicatezza nelle
alleanze. Sarebbe sbagliato concepirli meramente come una forza
impegnata per i diritti civili. È grazie alle campagne per questi
ultimi e alla capacità di inserirsi nei movimenti di protesta degli
anni Sessanta e Settanta che spesso a sinistra si ha di loro un
giudizio positivo. In realtà il pacifismo di quell'epoca non fu mai
antimperialismo, e per questo poté rovesciarsi nel suo contrario,
cioè il sostegno alle offensive statunitensi degli anni Novanta e
Duemila. Seppero sfruttare il sentimento antipolitico che montava con
Tangentopoli: ma più che dal populismo ingenuo tipico del periodo
successivo, erano ispirati dal tentativo di indebolire la politica di
fronte all'economia.
Per
quanto questo partito sia ormai vicino all'estinzione e abbia
esaurito quasi del tutto la sua capacità attrattiva, ha anticipato
alcune tendenze che si sarebbero manifestate nella società italiana.
Soprattutto, una nuova forma di attivismo che avrebbe segnato lo
scarto tra la sinistra postmoderna e quella moderna: l'oblio della
questione sociale e l'assenza di una critica dell'ordine
socio-economico, l'allineamento all'egemonia degli Stati Uniti e
l'insistenza esclusiva sui diritti civili pur in presenza di una
restaurazione liberal-capitalistica che veniva accettata
integralmente.
*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
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