tag:blogger.com,1999:blog-79042815150856649412024-03-13T13:34:51.836+01:00Vecchio ConioMatteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.comBlogger82125tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-8296225654280814882017-09-30T22:38:00.001+02:002017-09-30T22:38:38.157+02:00Populisti opportunisti*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-rq_bX12TjXs/WdAAvjsQRqI/AAAAAAAAAfs/1XA8Q79gcaUWsS_bNcz6lFU85mklqi3XwCLcBGAs/s1600/di%2Bmaio%2Bsalvini.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="166" data-original-width="310" src="https://2.bp.blogspot.com/-rq_bX12TjXs/WdAAvjsQRqI/AAAAAAAAAfs/1XA8Q79gcaUWsS_bNcz6lFU85mklqi3XwCLcBGAs/s1600/di%2Bmaio%2Bsalvini.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Se qualcuno si è fatto illusioni sui partiti cosiddetti populisti in merito alla loro presunta opposizione ai dispositivi economici in vigore deve oggi fatalmente ricredersi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Molti, nell’euforia di alcuni esiti elettorali, si sono rappresentati una contrapposizione irriducibile e all’ultimo sangue tra due schieramenti, globalisti da una parte e populisti dall’altra. I primi sono espressi politicamente dai partiti, dalle correnti e dagli individui che tradizionalmente hanno gestito e gestiscono il potere politico in Occidente (da Bush a Clinton, da Holland a Macron, da Blair a Cameron, da Merkel a Schultz, da Monti a Renzi); questi sarebbero i rappresentanti del globalismo economico più spinto e i nemici giurati dei populisti, i quali invece formerebbero un fronte variegato e trasversale che però ha in comune l’opposizione intransigente al “mondialismo” dei primi; si va così dalla Le Pen a Salvini, da Farage a Trump, passando per Podemos e Grillo.</span></div>
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<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Questa narrazione – che è complementare a quella di chi vede nella globalizzazione un momento di progresso e non riesce a individuarne le dominanti istanze de-emancipative – ha una grande carica semplificatrice e come tutte le semplificazioni emana un enorme fascino. Peccato che è falsa.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">La storia, come sempre, fa giustizia di tutte queste frettolose e illusorie interpretazioni. La lotta anti-austerità della sinistra greca di Syriza si è dialetticamente mutata, con l’ascesa di Tsipras al governo, nel suo contrario, perché non costruita su una solida base teorica e su una analisi economica all’altezza. Trump, considerato il simbolo della “deep America” dimenticata dalla globalizzazione, appena eletto si è allineato alla politica estera aggressiva e imperialista dei suoi predecessori, minacciando Iran, Cina e Corea del Nord. Marine Le Pen, paladina della destra antimondialista, ha cominciato ad ammainare la bandiera della retorica anti-euro ben prima della netta sconfitta inflitta da Macron. Questa è la strada seguita anche dai populisti nostrani, Lega Nord e Movimento Cinque Stelle. Salvini, che deve la sua ascesa alla folata pseudo-sovranista e alla polemica contro l’Euro, ha cominciato a marginalizzare questi temi dalla sua agenda e ad attenuarne la iniziale intransigenza. Così scopriamo a un tratto che “Stare in Europa sì, ma da pari a pari, non con il cappello in mano” e che non si parla più di uscita dall’euro perché sarà l’euro che “cadrà”, quindi “o faccio finta di niente fino al giorno in cui cadrà, oppure mi preparo un attimo prima e penso a cosa fare il giorno dopo prima che il tetto mi crolli sulla testa”. Del resto la possibile alleanza con Berlusconi, che contro l’euro non lo è mai stato, è già una prova delle reali intenzioni del Carroccio. Nel partito esiste un’anima profonda di leghisti della prima ora per nulla soddisfatti degli ammiccamenti di Salvini a economisti come Borghi o Bagnai; quest’ala, composta da dirigenti di primo piano quali Maroni, Zaia e lo stesso Bossi, non vuole alienarsi il possibile appoggio di banche e industriali e non ha mai mostrato nessun interesse per l’anti-eurismo, che anzi sembra aver finora tollerato con fastidio. D’altro canto lo stesso programma economico leghista è tutt’altro che una dichiarazione di guerra alle oligarchie economiche, con la sua proposta di aliquota fiscale non progressiva a vantaggio dei ceti più ricchi. </span></div>
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<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Ma il Movimento Cinque Stelle non è da meno. Non si contano le volte in cui Grillo ha cambiato idea sull’euro, a seconda dell’occasione e delle indicazioni demoscopiche, ma, a parte questo, sembra lanciato Luigi Di Maio come candidato incontrastato del Movimento, ovvero uno dei dirigenti meno “antagonisti”, anche nella retorica. Sostenuto da Davide Casaleggio è il volto rassicurante dei Cinque Stelle quando questi devono presentarsi di fronte al potere economico. Di Maio sfruttando l’occasione propizia ha subito chiarito che l’uscita dell’euro resta un’eventualità improbabile, e ha ribadito l’adesione indiscussa all’Unione Europea[5], che comunque non è mai stata messa in dubbio. Al Forum Ambrosetti, di fronte quindi alla platea più globalista ed europeista che si possa immaginare, Di Maio ha avuto cura di specificare che “Non vogliamo un’Italia populista, estremista o anti-europeista” è ha dichiarato la sua ammirazione per il governo di Rajoy, i cui tagli alla spesa sociale e la cui aggressione ai diritti dei lavoratori sono abbastanza noti. Lo stesso programma dei Cinque Stelle, con la proposta del reddito di cittadinanza, sebbene possa apparire come progressiva, è in realtà un ricatto ai lavoratori.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Al Forum di Cernobbio c’erano le due promesse del populismo italiano, con Di Maio anche Salvini. La loro partecipazione non è certo casuale, ma serviva a tranquillizzare le oligarchie la cui egemonia i due demagoghi non sono intenzionati a porre in discussione. Tutti i demagoghi percorrono sempre la stessa parabola: un’iniziale opposizione rabbiosa al potere, più o meno radicale, ma irriflessa, che sfrutta l’insoddisfazione popolare senza chiarirla ed elevarla, che poi si muta progressivamente in piena legittimazione dello stesso man mano che quel potere si avvicina. Questo profilo è quello di Trump, della Le Pen, di Salvini, dei Cinque Stelle (ma anche, in un certo qual modo, di Renzi). Alcuni di questi populismi irriflessi, e La Lega e i Cinque Stelle sono i casi esemplari, toccano in realtà solo marginalmente questioni che potrebbero irritare le oligarchie e incidere sull’assetto socio-economico. Queste questioni, però, sono considerate in modo astratto e isolato, private quindi della loro carica potenzialmente sovversiva. È il caso della sovranità, che viene intesa in senso esclusivamente monetario, come semplice proprietà della moneta, dimenticando la sovranità economica, quella militare e quella popolare. Questi partiti populisti, infatti, possiedono al proprio interno gli anticorpi per disinnescare ogni possibile deviazione anti-oligarchica. Tali anticorpi sono dovuti in primo luogo alla totale assenza di una struttura teorica (e spesso anche burocratica, come nel caso dei Cinque Stelle) che permetta un’analisi adeguata della condizione attuale, e che costringe a puntare tutto sulla rabbia popolare mediatizzata e sul malcontento irriflesso; in secondo luogo alla centralità di questioni mediaticamente rilevanti ma del tutto irrilevanti sul piano dei rapporti economici e del dominio di classe, quali lo sbarco di immigrati o i vitalizi politici.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Dunque, lungi dall’essere un’arma antiglobalista e antioligarchica, tantomeno antiliberista e anticapitalista, il populismo non intende – e non ne sarebbe neanche in grado – modificare l’assetto socio-economico neoliberale, ma vuole soltanto contendere ai partiti attualmente al governo la gestione politica di quell’assetto. Si tratta perciò di una lotta tutta interna al “fronte” (se così si può chiamare) globalista e neoliberale. La vera opposizione a quest’ultimo a livello politico non è ancora nata, e nascerà soltanto quando si smetterà di inseguire la rappresentazione mediatica del popolo e si intraprenderà una vera analisi teorica della condizione attuale, affiancata da una struttura organizzativa solida.</span></div>
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<span style="font-family: times, "times new roman", serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: #641d94; text-decoration-line: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-18342642917418446792017-09-30T22:33:00.000+02:002017-09-30T22:33:01.311+02:00Tangentopoli venticinque anni dopo*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-tVbSa2vYsyc/Wc__TrXJg9I/AAAAAAAAAfg/TgJ9QLQIegoCLtUjOXHWHGw58jJ0Cfb5wCLcBGAs/s1600/gherardo-colombo-antonio-175509.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="519" data-original-width="800" height="207" src="https://2.bp.blogspot.com/-tVbSa2vYsyc/Wc__TrXJg9I/AAAAAAAAAfg/TgJ9QLQIegoCLtUjOXHWHGw58jJ0Cfb5wCLcBGAs/s320/gherardo-colombo-antonio-175509.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">“Credo sia molto importante ricordare che, nonostante un impegno durato 13 anni, la corruzione non è diminuita in questo Paese”. Queste parole di Gherardo Colombo, recentemente pronunciate, possono riassumere l’esito delle indagini di Mani Pulite. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Il 17 febbraio 1992, veniva arrestato il socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, per via di tangenti su un appalto. Era l’inizio ufficiale di quel fenomeno entrato nella storia italiana con il nome di “Tangentopoli”. Un pool di magistrati condusse l’inchiesta di Mani Pulite che rivelò un sistema di tangenti diffuso gestito dai partiti e che coinvolgeva tutti i settori della società civile.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Le speranze di molti furono concentrate sui magistrati inquirenti, osannati come gli eroi di una rigenerazione della società italiana, di una “rivoluzione civile” che avrebbe dovuto estirpare la corruzione considerata l’origine di tutti i mali che affliggevano l’Italia. A distanza di venticinque anni si può dire quanto queste fossero nient’altro che pie illusioni.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">“Forse la corruzione oggi” afferma Colombo “è meno organizzata di un tempo, perché in quel periodo esisteva proprio un sistema di corruzione legato al finanziamento illecito dei partiti politici. Oggi la corruzione è sempre agli stessi livelli di diffusione, ma è un pochino più anarchica, meno sistematica”. E questo è il cambiamento più rilevante del fenomeno corruttivo, mutato nella qualità, non nella quantità; nella Prima Repubblica esso era gestito dai partiti che se ne servivano per alimentare le costose macchine di propaganda di cui necessitavano nel periodo di un durissimo scontro ideologico manifestatosi in Italia con particolare virulenza. Con il crollo del Muro di Berlino, quel sistema di finanziamento diventava superfluo. Il capitalismo emergeva come unico sistema sociale e non aveva più bisogno di tenere in piedi enormi macchine da guerra ideologiche per fronteggiare un nemico oramai agonizzante. Ma veniva meno soltanto una particolare conformazione della corruzione, non la corruzione in quanto tale, che, come ha notato l’ex magistrato, oggi è decentrata ma non meno presente. Era possibile aggredire e sbarazzarsi, questo sì, dei pesanti apparati burocratici capaci di mobilitare una quantità considerevole di persone; tali apparati, non solo non servivano più, ma erano d’intralcio alla nuova epoca che esigeva la depoliticizzazione della società e un ripiegamento nella sfera privata (o, per meglio dire, un dispiegamento del privato a fronte dell’erosione del pubblico). E tale è stato il vero ruolo di Tangentopoli; si è trattato di una guerra contro i partiti e contro la politica, non di una guerra contro la corruzione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Quest’ultima è fenomeno strutturale alla società capitalistica, e pertanto in essa ineliminabile. L’espansione del capitalismo significa adeguamento alla forma merce e diffusione del denaro quale mezzo di scambio universale, ovvero introduzione dell’economia di mercato in tutti i meandri della società. Le cariche politiche, come qualsiasi altra carica, non sono immuni – perché dovrebbero? – dal processo di mercatizzazione, legale o illegale che sia (esiste anche una corruzione legalizzata: quella delle “donazioni” delle aziende ai politici, sistema da sempre diffusissimo negli Stati Uniti e ora approdato anche in Italia) e anch’esse diventano una merce.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Pertanto non sarà certo un’indagine dei magistrati, una campagna stampa o una serie di leggi, tutti interventi che restano a livello sovrastrutturale, che potranno debellare un fenomeno strutturale. Tali interventi potranno, nel migliore dei casi, contenerlo, mai sradicarlo. È, in realtà, faccenda molto più antropologica che politica o giudiziaria, come sembra intuisca vagamente anche Colombo. La rigenerazione sociale, pertanto, non potrà mai partire dalla lotta alla corruzione; all’opposto, sarà soltanto un’autentica rigenerazione sociale che condurrà all’estirpazione della corruzione da una realtà sulla quale non sarà più in grado di attecchire. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Le campagne moralistiche non potranno mai intaccare, se non superficialmente, il fenomeno. Ne è la prova Tangentopoli, che è stata il risultato di un miscuglio di diversi fattori, non soltanto giudiziari, ma anche politici, mediatici, geopolitici ed economici. Ma queste campagne potranno ottenere risultati diversi da quelli dichiarati. Il risultato ottenuto in Italia è stato la liquidazione della “vecchia politica”, cioè della politica che godeva ancora di un discreto livello di autonomia e di facoltà direttiva. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">L’autonomia della politica era necessaria in un contesto nel quale si fronteggiavano due attori, il lavoro e il capitale. Il ceto politico rappresentava un medium tra i due, che consentiva ai lavoratori da un lato di veder riconosciute alcune istanze, e ai capitalisti dall’altro di conservare il controllo sui processi di produzione. Con la destrutturazione e decentralizzazione degli apparati produttivi e la fine del modello fordista il lavoro smetteva di essere un blocco sociale omogeneo, mentre il capitale si finanziarizzava e si internazionalizzava. Questo mutamento fu intuito già da Berlinguer, che spostò il baricentro del PCI dalla questione sociale alla questione morale, inaugurando il moralismo della sinistra, con il quale, essa, più tardi, proprio a partire dallo scoppio di Tangentopoli, poté proporsi come elemento politico non più “progressivo”, ma di adeguamento alle mutate esigenze del capitalismo. Furono proprio le linee dirigenti post-PCI a essere risparmiate dalle inchieste, o soltanto sfiorate, dovendo esse assumere il ruolo del “liquidatore” dell’autonomia della politica. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Il crollo dell’Unione sovietica, poi, forniva una spinta ulteriore a questo processo, che altrimenti avrebbe rischiato di arenarsi. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Ciò che ha dimostrato Tangentopoli è che la “lotta alla corruzione” non colpisce in realtà la corruzione ma la politica. Alcuni recenti avvenimenti internazionali sembrano confermarlo, ad esempio la destituzione di un governo in Brasile attraverso un colpo di stato mediatico-giudiziario, che presenta molte somiglianze con il periodo di Mani Pulite, la protesta “popolare” in Romania contro un governo non proprio entusiasta delle direttive europee, l’uso della retorica moralista in molte campagne elettorali, come quella del banchiere Gulliermo Lasso in Ecuador contro l’avversario erede del governo progressista in carica, e infine si potrebbe citare l’esagerazione del fenomeno corruttivo in Grecia spacciato come causa della crisi economica per giustificare il commissariamento del Paese da parte della Troika.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">In tutti questi casi le oligarchie sembrano servirsi delle campagne moralistiche come mezzo per destabilizzare governi non graditi, colpire esponenti politici avversi o imporre la propria agenda politica. Le vicende di Tangentopoli, in ciò, hanno fatto “scuola”, hanno segnato l’elaborazione e la sperimentazione di una nuova strategia.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
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<span style="font-family: times, "times new roman", serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: #641d94;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-91606580691211373402017-08-31T18:05:00.001+02:002017-08-31T18:05:32.299+02:00Perché odiamo l’Islam?<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-KoJ6Wy0uWJ0/WagzpIUI1QI/AAAAAAAAAfM/rIkp2ReWFw8sNlw_dQxh-j_2JjXOOUi2wCLcBGAs/s1600/moschea%2Bmedina.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="424" data-original-width="672" height="201" src="https://4.bp.blogspot.com/-KoJ6Wy0uWJ0/WagzpIUI1QI/AAAAAAAAAfM/rIkp2ReWFw8sNlw_dQxh-j_2JjXOOUi2wCLcBGAs/s320/moschea%2Bmedina.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">È, senza alcun dubbio, la religione più odiata in Occidente. Se dovessimo fermare dei passanti per la strada e domandare loro che cos’è che induce a odiare l’Islam si otterrebbero diverse risposte: l’atteggiamento nei confronti delle donne, l’intolleranza per le altre fedi, il fondamentalismo; tutte risposte basate, per lo più, su resoconti semplicistici dei media, che tendono a identificare una religione estremamente complessa con alcune sette e frange minoritarie di essa, oppure a esagerare la portata di alcuni fenomeni realmente presenti nella cultura islamica. Ma se poi tentassimo di fare una cernita di tutte le risposte ottenute, probabilmente noteremmo una parola ricorrente sulla bocca degli intervistati: terrorismo. Sui giornali e nei notiziari televisivi, infatti, è abituale affiancare questa parola alla religione musulmana, contrariamente a quanto avviene con tutte le altre religioni – e non perché queste non abbiano espresso al loro interno tendenze terroristiche. In effetti, quando si pensa al terrorismo, la prima cosa che viene in mente è proprio l’Islam. È, questa, una novità assoluta nell’immaginario collettivo degli ultimi 15-20 anni. Basti pensare che, solo qualche anno prima, almeno in Italia, questa parola era affiancata alle stragi, a Piazza Fontana, oppure alle Brigate Rosse. In altre parole, il terrorismo era un fenomeno essenzialmente politico, con nessun tipo di collegamento (almeno nell’immaginario comune) con le religioni. Com’è possibile che, tutto ad un tratto, si è scoperto il “terrorismo islamico” e gli occidentali sono diventati improvvisamente islamofobi?</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Prima di rispondere a questa domanda soffermiamoci a considerare uno dei più diffusi luoghi comuni sull’Islam: il Corano conterrebbe già in sé la giustificazione di attentati come quello dell’11 settembre 2001 contro le Torri Gemelle oppure come quelli nel 2004 a Madrid, o come quello al “Bataclan” a Parigi, oppure come quello di Manchester, e così via. Il Corano, insomma, giustificherebbe ed esorterebbe alla violenza contro gli infedeli. I fedeli musulmani sarebbero incentivati a morire per la loro fede per ottenere la gloria eterna e divertirsi in paradiso con le vergini uri; questa credenza è stata diffusa soprattutto grazie ai libri e agli articoli di alcuni giornalisti di grido, tra i quali Oriana Fallaci è senza dubbio la più conosciuta presso il pubblico italiano. Si potranno trovare in rete, dopo una rapida ricerca, diversi versetti coranici che proverebbero la naturale tendenza dell’Islam al terrorismo. “Ognuno di voi si metta la spada al fianco; percorrete l'accampamento da una porta all'altra di esso, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno l'amico, ciascuno il vicino!”. “Or dunque uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che ha avuto rapporti sessuali con un uomo, ma conservate in vita per voi tutte le fanciulle che non hanno avuto rapporti sessuali con uomini”. “In quel tempo prendemmo tutte le sue città e le votammo allo sterminio: uomini, donne, bambini; non vi lasciammo nessuno in vita”. “Ecco mia figlia che è vergine, io ve la condurrò fuori, abusatene e fatele quello che vi pare; ma non commettete contro quell'uomo una simile infamia”. Senz’altro si tratta di versetti che urtano la sensibilità del lettore moderno. Tuttavia, quelli succitati, non si trovano nel Corano, bensì nella Bibbia, rispettivamente: Esodo 32:27, Numeri 31:17-18, Deuteronomio 2:34, Giudici 19:24. Ma non si fraintenda; non si tratta di accusare una religione invece che un’altra, o di giudicarla sulla base di alcuni estratti del suo libro sacro: bensì di capire che sia la Bibbia che il Corano sono un assemblaggio postumo di testi. Anche la trascrizione completa del Corano avvenne solo diversi anni dopo la morte di Maometto. Di conseguenza sarà arduo trovare una coerenza interna. Accanto a passi edificanti se ne potranno trovare altrettanti da cui il lettore odierno si sentirà distante. Le religioni non sono certo la mera applicazione dei testi sacri, la pura lettera di essi, ammesso che questa esista (ogni lettura di un testo è sempre una sua interpretazione). Esistono tante esegesi possibili quante sono le varie confessioni di ogni fede. Parlare di Islam, come parlare di Cristianesimo, è, in effetti, una semplificazione che non rende giustizia alle diversità interne. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Ma anziché addentrarci in uno studio comparato delle religioni – che lasciamo agli esperti del settore – sarà qui utile una nota storica: sebbene il Corano abbia una vita plurisecolare e millenaria, le correnti terroristiche dell’Islam esistono da non prima del secondo dopoguerra; tolte alcune eccezioni come la setta dei Nizariti (che comunque non ha, lo diciamo a scanso di equivoci, nulla a che spartire con l’Isis o Al Qaeda, e lo si evince già solo considerando il fatto che essa, al contrario di queste, era sciita e non sunnita) il terrorismo islamista assurge a fenomeno di rilievo appena nella seconda metà del Novecento, in particolare in concomitanza con l’emergere delle tensioni in Palestina. Anche il fondamentalismo cui si ispirano le attuali formazioni jihadiste originariamente non aveva nulla di terroristico. Vale per il wahabismo, ma vale anche e soprattutto per il salafismo, che in passato non era neanche fondamentalista ma persino “riformista” e tollerante nei confronti dei non musulmani. La “radicalizzazione” di alcune correnti dell’Islam si ha solo in seguito all’incontro-scontro di esso con l’Occidente: o come reazione antimodernista rispetto all’occidentalizzazione dei paesi musulmani, o come risultato dell’influenza colonialista e imperialista delle potenze occidentali. Sotto quest’ultimo aspetto si considerino due esempi; il primo, che riguarda l’arco di tempo compreso tra gli ultimi anni del XIX secolo e gli anni Venti del XX, durante il quale si ha la costituzione dell’Arabia Saudita come stato: in questo periodo l’impero britannico favorisce l’espansione del wahabismo, che così si diffonde rapidamente in tutta l’area, per arginare l’impero ottomano suo rivale; il secondo esempio, invece, riguarda la storia più recente e nota, ovvero l’appoggio logistico, miliare e finanziario che gli Stati Uniti danno ai mujaheddin in Afghanistan per contrastare i sovietici. È a questa circostanza che si deve la nascita di Al Qaeda e, quindi, in seguito, dell’Isis.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Abbiamo dunque mostrato che l’Islam non è una religione intrinsecamente terroristica ma che alcune correnti (minoritarie) di esso lo sono diventate solo nel corso della storia più recente per reazione all’occidentalizzazione e come risultato dell’influenza dell’espansionismo delle potenze occidentali in Medio Oriente. A questo proposito occorre ricordare come l’immagine dell’Islam sia profondamente mutata negli ultimi decenni: da positiva, in virtù dei guerriglieri afghani che combattevano contro i sovietici, presentati in Occidente come paladini della libertà, a fortemente negativa e associata quasi sempre al terrorismo di ispirazione salafita o wahabita.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Perché questo mutamento di rappresentazione e perché questo scarto tra l’Islam reale, con tutte le sue contraddizioni e complessità, e l’Islam “mediatico”? Abbiamo già accennato al ruolo dei paesi occidentali nel determinare la diffusione del fondamentalismo e del jihadismo. Pensare, quindi, che questi ultimi siano qualcosa di prettamente ed esclusivamente musulmano sarebbe un errore grave: invece essi sono la risultante dell’incontro-scontro tra la cultura islamica e la tendenza espansionistica degli stati occidentali. Questi si sono serviti delle correnti più radicali del mondo musulmano per contrastare i propri nemici e rinsaldare il proprio dominio, ma così facendo ne hanno provocato una crescita e una diffusione che esse fino a quel punto non avevano mai avuto. Quando questa crescita si è spinta al punto da minacciare le popolazioni occidentali i media hanno dato una rappresentazione edulcorata dell’Islam, che poi è servita a giustificare interventi militari come quello in Afghanistan. Una simile rappresentazione è stata costruita su un’informazione unilaterale e approssimativa (falsamente considerata “approfondimento”). Solo per dare un’idea di ciò si consideri la tendenza dei media a ignorare lo sforzo di molti paesi musulmani nel combattere il terrorismo – uno sforzo di gran lunga maggiore di quello degli Stati Uniti e dei suoi alleati – primo fra tutti la Siria (paese “scomodo” perché estremamente laico e perciò lontano dallo stereotipo della donna col burqua) poi l’Iran, senza dimenticare una formazione come Hezbollah, nonostante che gli Stati Uniti abbiano scandalosamente costretto l’Unione Europea, dopo insistenti pressioni, a inserirla nella lista delle organizzazioni terroristiche. I media, per di più, continuano a ignorare il prezzo che i musulmani stanno pagando a causa dei continui attentati, seguiti con assai minor attenzione rispetto a quelli che colpiscono l’Occidente.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Si sottovaluta, infine, l’impatto che gli interventi militari degli ultimi due decenni hanno avuto sul mondo musulmano. Dall’Afghanistan, all’Iraq, dalla Libia, alla Siria, non solo hanno contribuito a far crescere il sentimento anti-occidentale presso strati sempre più ampi di fedeli islamici, creando il terreno ideale per la proliferazione del fondamentalismo (che rimane comunque un fenomeno largamente minoritario anche nell’Islam odierno) ma hanno anche permesso ai gruppi terroristici di prosperare, potendo questi contare sul rifornimento di armi favorito proprio dagli interessi occidentali.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Ignorando, sottovalutando o minimizzando tutto ciò stampa e televisioni hanno scaricato tutti gli oneri sul mondo musulmano, descrivendo il terrorismo come generato esclusivamente da esso e dai suoi stessi presupposti ideologici, tacendo le responsabilità, tutt’altro che lievi, dell’Occidente nella nascita e nell’evoluzione del fenomeno.</span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-63410328012942776502017-08-31T17:59:00.001+02:002017-08-31T17:59:45.787+02:00Limiti e degenerazioni del nominalismo femminista<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-ZmfnjkmnDVU/WagyTIyLNEI/AAAAAAAAAfA/gM7ZYnjzUbgodjO0jGaqUFeyvTLcF1oHwCLcBGAs/s1600/nominalismo%2Bfemminista.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="275" src="https://2.bp.blogspot.com/-ZmfnjkmnDVU/WagyTIyLNEI/AAAAAAAAAfA/gM7ZYnjzUbgodjO0jGaqUFeyvTLcF1oHwCLcBGAs/s1600/nominalismo%2Bfemminista.jpg" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; color: #1d2129;"><span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Con "nominalismo femminista" intenderemo la tendenza ricorrente tra le femministe contemporanee, a intervenire al livello dei segni per condizionare la percezione e la rappresentazione dei soggetti in modo non discriminatorio. Questa è la ragione dell'insistenza sulla vocale femminile da usare al posto di quella maschile, che servirebbe, a loro dire, a castrare le donne o a impedirne l'accesso a certi ruoli sociali (dire avvocato, dottore, presidente, ecc. soltanto al maschile significa pensare implicitamente questi ruoli di pertinenza esclusiva degli uomini).</span></span></div>
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #1d2129;"><div style="text-align: justify;">
Quest'idea nasce dal concetto di "politically correct", sviluppato nelle università statunitensi, il quale si basa su una tesi: la lingua non è neutra, non è indifferente rispetto alle visioni del mondo, ma è connotata ideologicamente. Di conseguenza, per evitare l'esclusione di alcuni gruppi sociali (le donne, i neri, gli omosessuali, i disabili, le minoranze religiose, ecc.) bisogna cambiare il lessico.</div>
</span><span style="background-color: white; color: #1d2129;"><div style="text-align: justify;">
L'idea non è cattiva di per sé e contiene un fondo di verità. Davvero la lingua non è neutra, davvero è un veicolo di ideologia e davvero i significanti determinano i significati. </div>
</span><span style="background-color: white; color: #1d2129;"><div style="text-align: justify;">
Tuttavia essa presenta un limite importante. Nella sua formulazione, infatti, non è stata storicizzata. Di conseguenza si tende a pensare che certi significanti veicolino SEMPRE certi significati e non altri. Questo perché i teorici del politically correct hanno finito per intendere la lingua come un fatto non ulteriormente determinato. Il "parlare", cioè, determina il "parlato" come, però, se non fosse a sua volta determinato. Eppure c'è una relazione inestricabile tra significante e significato, tra la forma e l'oggetto del discorso.</div>
</span><span style="background-color: white; color: #1d2129;"><div style="text-align: justify;">
In altre parole, hanno voluto analizzare la società a partire dalle strutture linguistiche, ma si sono dimenticati, poi, di fare l'inverso: analizzare le strutture linguistiche a partire dalla società. Il risultato è stato che la società è cambiata, e con essa la lingua, e loro non se ne sono accorti. </div>
</span><span style="background-color: white; color: #1d2129;"><div style="text-align: justify;">
Cosa c'è che non funziona nel "politically correct" (continuerò a scriverlo in inglese per non dimenticare la sua origine anglofona, che è tutt'altro che indifferente) e nel nominalismo femminista? Una mancata comprensione non a livello linguistico, ma al livello dei rapporti economici e sociali. Il lessico discriminatorio esisteva all'interno di un certo tipo di società, nella quale l'esclusione di alcuni gruppi sociali era un carattere primario e necessario alla struttura di classe. I neri degli Stati Uniti dovevano essere discriminati per poter essere prima sfruttati nelle piantagioni come schiavi e poi come manodopera a basso costo. Le donne, invece, dovevano essere escluse da alcuni ruoli sociali, in modo da conservare integra la proprietà delle classi egemoni nella successione e tramandarla interamente (o principalmente) al primogenito maschio. Ma lo sviluppo del capitalismo ha fatto sì che questa conformazione dovesse essere superata, perché le donne servivano. Per allargare la produzione, e creare quindi quadri intermedi, bisognava permetter loro di entrare nel circuito produttivo con la speranza di fare carriera fino ai massimi livelli. Ciò poneva, inoltre, come necessità imprescindibile, l'espansione dei consumi, e quindi il lavoro, anche ben retribuito, della donna. Tra l'altro un certo femminismo non liberale era fortemente critico rispetto all'inclusione della donna nell'organizzazione produttiva e nel perseguimento dell'eguaglianza attraverso l'imitazione e la riproduzione della società maschile. Purtroppo queste voci rimasero per lo più inascoltate. L'espansione capitalistica implicava sempre più il coinvolgimento della donna non solo nella produzione ma anche nei consumi. Perciò tutti quei limiti che fissavano la donna in un certo ruolo dovevano venire a cadere. Questi limiti riguardavano in particolare la sfera sessuale e dei costumi. La donna non doveva più essere castrata dal padre-marito, ma disinibita, non doveva celarsi, ma mostrarsi. </div>
</span><span style="background-color: white; color: #1d2129;"><div style="text-align: justify;">
Che relazione ha tutto questo con la lingua? la sua funzione discriminatoria viene a cadere e viene sostituita da una funzione inclusiva. Per questo oggi si cerca di ridefinire il lessico in modo da includere le donne (come anche omosessuali, trans, ecc., anch'essi categorie da sfruttare consumisticamente). La lingua non ha più una funzione discriminatoria, "sessista", nei confronti delle donne, seppure restano delle sedimentazioni. Anzi, queste sedimentazioni a livello simbolico servono proprio a legittimare la strategia inclusiva del capitalismo contemporaneo e a inserire le donne (e per loro tramite anche gli uomini) nei meccanismi di consumo: vi vogliono coprire? mostratevi! vi vogliono castrare? sessualizzate il vostro corpo! vi vogliono impedire di raggiungere i massimi gradi della gerarchia sociale? fate carriera!</div>
</span><span style="background-color: white; color: #1d2129;"><div style="text-align: justify;">
Il linguaggio maschilista non ha più una funzione di esclusione. Anzi, ne nasce uno nuovo che ha il preciso scopo di includere. Lo vediamo non solo nel lessico che ci impone di dire, contravvenendo perfino alla sintassi (con l'incredibile accordo da parte di molti linguisti, o forse non così incredibile) "avvocata", "presidenta", "dottora" (quando il suffisso femminile esiste già in -essa) ma anche in altre forme di comunicazione, nella pubblicità, nella moda; nella lingua, soprattutto quella giornalistica, fa un uso abnorme di neologismi e di anglicismi (l'utilità dell'inglese per il linguaggio inclusivo lo vediamo, ad esempio, nell'uso dell'espressione "sex worker" al posto di "prostituta", con il fine di liberalizzare il sesso a pagamento). </div>
</span><span style="background-color: white; color: #1d2129;"><div style="text-align: justify;">
I condizionamenti linguistici e simbolici esistono, eccome, ma oggi servono non per discriminare le donne, ma per includerle nel sistema di consumo e per sfruttarne il corpo come merce. Questo, ahimè, le femministe, salvo sparute eccezioni, tardano a capirlo, e collaborano esse stesse allo sfruttamento post-patriarcale e ultra-capitalistico della donna.</div>
</span></span>Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-59536456213743513872017-07-31T18:07:00.001+02:002017-07-31T18:07:33.670+02:00Un gioco truccato*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-0lbmFccKAqg/WX9Vr9TZstI/AAAAAAAAAeo/SR6nTSyCy4cMSTBm-JaiXJi-S1js2cYnwCLcBGAs/s1600/Berlusconi-e-Renzi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="351" data-original-width="672" height="167" src="https://4.bp.blogspot.com/-0lbmFccKAqg/WX9Vr9TZstI/AAAAAAAAAeo/SR6nTSyCy4cMSTBm-JaiXJi-S1js2cYnwCLcBGAs/s320/Berlusconi-e-Renzi.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Un cadavere è stato riesumato, quello del bipolarismo. Sepolto sotto le ceneri della Seconda Repubblica, l’archeologia politica ha deciso di riportarlo alla luce. Si cerca così di riassemblare i due blocchi dissolti. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Da una parte, Berlusconi tenta di ridare la scintilla vitale al centrodestra, cercando un accordo con Salvini. Il vecchio centrodestra era tenuto assieme dalla figura carismatica di Berlusconi; adesso che questa figura ha perduto forza sembra molto più difficile ritornare ai fasti del passato. Il progetto originario di Berlusconi, in più, è oggi definitivamente superato. Questo progetto, che vide l’imprenditore di Arcore affermarsi nella costellazione di partiti distrutti da Tangentopoli, si basava su una promessa di successo individuale che sarebbe arrivato dopo il ripudio del ceto dirigente statalista della Prima Repubblica (che veniva a torto identificato con i postcomunisti) e l’apertura al mercato e all’impresa privata; una sorta di “via italiana al reaganismo” che però si sarebbe rivelata presto nulla più che propaganda. La promessa di arricchimento individuale era incarnata dalla sua figura di imprenditore vincente e dall’affermazione delle reti Fininvest che interrompevano il monopolio televisivo di stato e portavano in Italia una televisione commerciale ed edonista, poco interessata alle preoccupazioni pedagogiche della vecchia RAI. Il progetto di “reaganismo italiano” sarebbe più tardi naufragato per un’essenziale ragione: l’evidenza che l’edonismo berlusconiano e la sua seduzione erano solo una finzione dietro cui si celava la realtà amara della stagnazione, della disoccupazione crescente e della cancellazione dei diritti. Da questo punto di vista il linguaggio del centrosinistra era molto più al passo con il tempi. Se il berlusconismo era reganiano, l’antiberlusconismo era thatcheriano[4], prometteva poco, ma esigeva implacabilmente “sacrifici” e “conti in ordine” come necessità improrogabili. Fu proprio di fronte a questa versione più aggiornata del neoliberismo – che sarà rappresentata poi dal “commissario” Monti incaricato dalla Troika – che l’imprenditore milanese, pur avendo resistito per molto grazie al suo plebiscitarismo, dovette capitolare. Il nuovo neoliberismo, avrebbe imparato Berlusconi a sue spese, non è plebiscitario e non cerca un rapporto entusiastico con le masse, che redarguisce invece di tentare di sedurre. Piuttosto si avvale di gruppi di pressione, di think tank, per penetrare in circoli ristretti e nelle università, ma assume un profilo sobrio e misurato sui grandi media.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Sull’altro fronte, invece, i fuoriusciti del PD, una parte del PD non renziano e figure a sinistra del PD tentano di ricostituire il centrosinistra. Anche qui si tratta di un processo difficilmente reversibile. La fine del centrosinistra, come quella del centrodestra, non è stata accidentale, frutto dell’incapacità o della litigiosità dei suoi capi, ma strutturale. Il progetto del centrosinistra consisteva nel raccogliere il bacino elettorale del vecchio PCI e di parte della DC per traghettarlo verso l’orientamento neoliberale che ormai soppiantava la socialdemocrazia presso tutti i maggiori partiti della sinistra europea. Questo progetto si basava sulla capacità di far accettare il mondo globalizzato e la modernità liquida, la flessibilità per ogni lavoratore e l’incertezza del futuro. Questa, che era la realtà che si stava delineando, veniva considerata come un dato immutabile cui tutti dovevano adeguarsi senza indugio. A tale scopo, il centrosinistra proponeva alcune parziali compensazioni – comunque inferiori al male da ingoiare – come, ad esempio, gli “ammortizzatori sociali”, ovvero sussidi per i lavoratori precarizzati e i disoccupati; ma soprattutto usava una retorica moralistica che si avvaleva di alcuni canovacci sperimentati e luoghi comuni: “non rubare il futuro alle prossime generazioni”, “ridurre il debito che pesa sulle spalle dei nostri figli”, “responsabilità e bilanci virtuosi”, ecc. e che faceva perno sull’idiosincrasia rispetto alla figura carismatica di Berlusconi. Ma presto ci si accorse che la cura era peggiore del male, per non dire che era essa stessa il male da cui avrebbe dovuto mettere in guardia. Ed è così che la narrazione neoliberista neo-thatcheriana, e con essa il centrosinistra che vi si era identificato, iniziava ad attraversare una crisi di consenso. Crisi che verrà trasferita direttamente al PD, erede e rinnovatore di quel progetto. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">La ricostruzione di centrodestra e centrosinistra si basa su su un tentativo di restaurare un momento della storia italiana non più ripetibile: non solo per la presenza di un terzo incomodo, il Movimento Cinque Stelle, che per sua natura non può essere piegato al gioco bipolare e non si presta ad alleanze; ma soprattutto perché questa resurrezione apparente, contrariamente all’operazione originale dei primi anni Novanta, si svolge nel deserto elettorale, come testimonia il livello inedito di astensionismo ad ogni elezione. Non esiste nessuna possibilità di coinvolgere le masse che sono ormai completamente disilluse circa la vera natura dei due blocchi. E non sarà certo una legge elettorale, nemmeno la più maggioritaria, ad arginare questo fenomeno.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Il dualismo destra/sinistra della Seconda Repubblica doveva essere il surrogato del conflitto capitalismo/socialismo, abbandonato dopo il crollo del Muro di Berlino, per la credenza fideistica dell’eternità del capitalismo, e il bipolarismo centrodestra/centrosinistra era il surrogato del surrogato. Ma a questo gioco oggi la gran massa del corpo elettorale rifiuta di giocare, perché ha scoperto che è un gioco truccato, che appena dietro la vernice del conflitto mediatico conclamato si cela la realtà delle leggi di mercato, dell’adesione incondizionata a esse, della capitolazione dello stato e della modernità liquida. Per questo l’antirenzismo non è che una nuova declinazione dell’antiberlusconismo: l’opposizione a una persona e alla forma del suo linguaggio, ma con la tacita approvazione della sostanza condivisa.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">L’ammiccamento di Renzi a Berlusconi, quindi, lungi dal rappresentare un qualche tradimento, è soltanto lo svelamento della essenziale complicità dei due poli opposti e simmetrici come due facce della stessa medaglia e dell’adesione acritica di tutti i maggiori partiti al capitalismo neoliberale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span><span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span><span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span><span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span><span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"></span><br /><div style="font-family: arial, tahoma, helvetica, freesans, sans-serif;">
<br /></div>
</div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: times, "times new roman", serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: times, "times new roman", serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration-line: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-81232000999463409602017-07-31T17:49:00.002+02:002017-07-31T18:02:04.026+02:00Sarà una scuola modello "Carrefour"*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-5RacLBp6olI/WX9RO1HJ4XI/AAAAAAAAAec/eXqOE-CBtUQGKeIgqSlfCclQv3npdnM7wCLcBGAs/s1600/scuole.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="320" data-original-width="620" height="165" src="https://2.bp.blogspot.com/-5RacLBp6olI/WX9RO1HJ4XI/AAAAAAAAAec/eXqOE-CBtUQGKeIgqSlfCclQv3npdnM7wCLcBGAs/s320/scuole.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">È l’ultima trovata dell’aziendalismo scolastico; la scuola aperta tutto il giorno, tutto l’anno. Lo propone oggi il Ministro Fedeli, ma lo proponeva ieri il suo predecessore Stefania Giannini, come altri prima di lei. Se ne parla da diversi anni, durante i quali si è più che altro preparato il terreno tra l’opinione pubblica, abituando all’idea di far rientrare i ragazzi dopo le lezioni, ad esempio per progetti didattici di vario tipo – già dal 1997, del resto, in virtù di una direttiva ministeriale, si prevedeva che le scuole restassero aperte – e infine, adesso, è venuta l’ora di mettere il piano realmente in pratica.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">La scuola sempre aperta non è solo un’ulteriore sovrapposizione di ruoli, per cui la sua funzione di formare persone e cittadini trascolora in una marea di altre funzioni (adattare lo studente alla società, integrare le lezioni mattutine con incontri pomeridiani – come se la scuola cercasse di supplire a se stessa – perseguire sperimentazioni pedagogiche continue, introdurre nel mondo del lavoro, accogliere e recepire le richieste dei genitori come anche quelle dei figli, permettere di “parcheggiare” questi ultimi quando non ci si può occupare di loro, ecc.). La scuola sempre aperta è una follia, perché è folle questa ybris della società postmoderna, questa pretesa sentita come impellente e irrefutabile necessità di non avere limiti; l’apertura eterna, un prodotto umano che non deve avere una fine, o anche solo una sosta, un punto terminale, nello spazio come nel tempo, con un presente che si espande indefinitamente fagocitando il passato e il futuro; “H 24” è diventata la sigla immancabile da apporre a ogni attività umana che si voglia efficiente e apprezzabile.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Nella scuola senza fine l’apprendimento, che predispone l’allievo alla maturazione individuale, viene sostituito dall’adattamento. Lo studente più che imparare a essere nella comunità acquisisce skills, competenze che gli consentano di adeguarsi alle esigenze produttive. Subisce subito lo sfruttamento lavorativo con “l’alternanza scuola-lavoro” introietta l’attivismo senza sosta e senza fine delle aperture festive dei supermercati, acquisisce il metodo delle soluzioni pratiche immediate a problemi complessi attraverso i test a risposta multipla, perché non avrà tempo per pensare e riflettere e del resto non glielo si chiede. Invece di imparare a pensare l’alterità, deve sviluppare strategie di sopravvivenza. Il sistema di debiti e crediti formativi, che ha introdotto una sorta pedagogia della contabilità, serve a questo scopo. Lo studente deve introiettare la tendenza alla monetizzazione e alla commercializzazione della sua esistenza.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Ma il piano per la scuola postmoderna non riguarda soltanto gli studenti. Ci sono anche i lavoratori della scuola, che già ora, in gran parte, sono costretti anch’essi a lavorare nei festivi, e, tra di essi, infine, gli insegnanti, di cui si dice che lavorino troppo poco e che abbiano troppe vacanze. Si aizzano contro di loro gli altri lavoratori, suscitandone l’invidia, nella classica strategia neoliberale di mettere gli ultimi contro i penultimi. Di far lavorare meno gli altri lavoratori, invece che far lavorare di più gli insegnanti (come se non lavorassero già abbastanza al di fuori dell’orario scolastico) è un’ipotesi che non sfiora neanche l’immaginazione di questi ferventi promotori dell’efficientismo insensato, nonostante numerosi studi mostrino che il rendimento peggiora e non migliora al prolungamento dell’orario di lavoro e che viceversa migliora al ridursi delle ore lavorate. Ma no; per gli aziendalisti il lavoro è un obbligo indipendentemente dai suoi effetti, e questo si chiama moralismo. Per le consorterie aziendali, invece, è lo sfruttamento svincolato dalla necessità di rispettare leggi che tutelino il lavoratore, e questo si chiama capitalismo neoliberale.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Non si tratta soltanto di un piano per l’istruzione. Si tratta di un piano che rientra in un programma più generale volto a plasmare la società secondo i comandamenti del neoliberismo. La scuola non deve insegnare a essere e a pensare, perché l’individuo non deve essere e pensare, ma consumare; la scuola deve essere solo una sorta di primo master aziendale, che introduca i giovani nella produzione, gli insegni le nozioni tecniche necessarie e le strategie pratiche di sopravvivenza, perché bisogna interiorizzare l’ubiquità dell’economia e del mercato; la scuola sottopone insegnanti e studenti a orari prolungati, perché accettino di essere flessibili, di modificare la propria vita personale in funzione del mercato e del profitto.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">In sostanza, la scuola postmoderna, preparata da decenni, costruita nel tempo e oggi infine attuata, deve far dimenticare l’esistenza dell’altro. “Non avrai altro dio all’infuori di me” recita il primo comandamento neoliberale: non c’è spazio per immaginare una diversa forma sociale, che si fondi su basi diverse. La scuola non è più il luogo dell’autonomia e dell’indipendenza della cultura dove costruire pensieri e pratiche dell’alterità, la scuola è diventata il luogo in cui si interiorizza la necessità del dato (abbiamo il culto di “dati” e “statistiche”, concepiti come fossero parti neutre e a-ideologiche) e la sua immutabilità. Così, la scuola, come e più di altre istituzioni, non può diversificarsi dalla società, ma deve il più possibile somigliargli. Deve essere un’azienda che produca individui adattabili e consumatori assuefatti, ma, ancora di più, un centro commerciale della cultura, attivo, come i centri commerciali dell’ultima generazione, tutti i giorni e a qualsiasi orario.</span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span><br />
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<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration-line: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-12463572642071108772017-06-30T22:51:00.000+02:002017-06-30T22:52:44.784+02:00La teologia delle privatizzazioni*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-s2T41w5iwF8/WVa5qpp8SWI/AAAAAAAAAeM/07p56ziy85wErY0yAntdXl0kJo8sfYW1gCLcBGAs/s1600/Privatizzatori.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="798" data-original-width="886" height="288" src="https://3.bp.blogspot.com/-s2T41w5iwF8/WVa5qpp8SWI/AAAAAAAAAeM/07p56ziy85wErY0yAntdXl0kJo8sfYW1gCLcBGAs/s320/Privatizzatori.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">La Prima Repubblica era fondata sulla partecipazione statale. Non era possibile altrimenti, perché lo sviluppo che si è avuto nel dopoguerra non era concepibile senza l’apporto decisivo dei finanziamenti pubblici. Era lo stesso capitalismo in embrione che, per crescere, aveva bisogno dell’intervento dello Stato. Ma quando il capitalismo è cambiato, quando non ha avuto più necessità di appoggiarsi alla mano pubblica, e anzi questa diventava un ostacolo all’ulteriore espansione dei profitti, ecco che ciò che fino a quel momento veniva considerato come necessario, diventava improvvisamente superato e “inefficiente”.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Così, dagli anni Novanta, nel nostro paese si è incominciato a parlare di privatizzazioni. Ciò è avvenuto anche a causa di una mutata cornice politica nazionale e internazionale: non c’era più il PCI, come tutti i partiti maggiori della Prima Repubblica, i quali erano, almeno in parte, statalisti (DC e PSI); non c’era più l’Unione Sovietica che serviva da monito e avvertimento per il capitalismo occidentale. La sinistra era diventata liberista e si trovava in prima fila nel promuovere la dismissione dei beni pubblici. Le ragioni della sua urgenza venivano individuate nella necessità di ridurre il debito pubblico, di rendere le aziende statali (“carrozzoni”, come venivano chiamate) più efficienti e competitive e, infine, di contrastare fenomeni di corruzione e clientelismo.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">A distanza di oltre vent’anni si può dire che nessuno di questi scopi è stato raggiunto. Il debito pubblico non è diminuito (se non di poco per un breve periodo, per poi tornare di nuovo a crescere più di prima) le aziende privatizzate non sono più efficienti, anzi, presentano numerosi disservizi e hanno rischiato il fallimento, l’illegalità esiste nel privato tanto quanto nel pubblico. Gli effetti delle privatizzazioni, senza il bisogno di scomodare dati tra l’altro inoppugnabili, sono evidenti empiricamente a chiunque. Se si prende il caso dell’Enel, i costi per l’utenza sono aumentati, a fronte di un peggioramento nella qualità del servizio. Subito dopo la privatizzazione dell’energia elettrica gli investimenti industriali impegnano solo il 30% dei fondi dal 59 del quinquennio precedente. Stesso discorso per le Autostrade, dove crollano i cavalcavia perché la società risparmia sulla manutenzione e le tariffe hanno raggiunto livelli inediti noti a qualsiasi automobilista, mentre i ricavi sono cresciuti in misura considerevole.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Ma ciò non è bastato e si è continuato ossessivamente a ripetere il mantra delle privatizzazioni, alimentato dai sacerdoti delle facoltà di economia (quelli che hanno sbagliato tutte le previsioni) che sono giunte all’ultima tranche con la quotazione in borsa delle Poste e di una parte delle Ferrovie (nessuno si domanda cos’altro ci si venderà quando si sarà venduto tutto).</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Che cos’è che non funziona nella privatizzazioni? Non si tratta del “modo” in cui si è privatizzato: gli stessi effetti si notano infatti in tutti i settori, anche in quelli maggiormente liberalizzati, come la telefonia (contrariamente alla filastrocca della liberalizzazione del mercato come passo successivo alla privatizzazione per renderla benefica). Non si tratta di una qualche tara nazionale, che come spesso avviene, nasconde le vere cause dietro un pregiudizio autorazzista. Gli stessi disagi, infatti, si possono osservare in molti altri paesi, anche quelli considerati dalla retorica autorazzista come “virtuosi” (basti pensare all’Olanda dove la privatizzazione delle poste ha causato la chiusura del 90% degli uffici). Il vero problema è strutturale, e riguarda la differenza tra utilità privata e aziendale e benessere pubblico e sociale. Le due cose non coincidono. Non si tratta affatto di un assunto banale, perché molti economisti hanno teorizzato il contrario. Secondo l’ideologia liberista se ogni individuo privato agisce per il proprio interesse personale, questo, per una sorta di congiunzione astrale, dovrebbe assicurare il benessere collettivo. L’individuo è l’unico a conoscere il proprio interesse e l’unico a sapere come soddisfarlo, ma così facendo, egli, collaborerebbe senza volerlo al benessere di tutti. Questa credenza religiosa (perché tale è) prima ancora che filosofica – e solo conseguentemente economica – è il vero fondamento del liberismo. Per questo i liberisti credono nelle virtù salvifiche del mercato, dove ogni operatore ricercando il proprio guadagno lavorerebbe per il bene collettivo. Questa teoria è stata sviluppata nel XVIII secolo per un’unica ragione: contrastare il potere dello Stato; lo Stato non sarebbe “per natura” in grado di assicurare il bene né per l’individuo, né (e questa è la vera innovazione del liberismo) per la società. L’unica possibilità è che lo Stato sia ridotto alle funzioni essenziali e il resto venga lasciato alla libera contrattazione dei privati (che in realtà, poi, tanto “libera” non è). Così per i liberisti privatizzare è un imperativo ideologico e religioso, non “tecnico” e scientifico. Per loro la gestione statale è sempre sbagliata e quella privata sempre corretta.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Fatta questa parentesi, torniamo alla distinzione tra interesse privato e interesse collettivo. Poiché per i liberisti le due cose coincidono – in quanto, come si è detto, agendo il soggetto privato per il proprio interesse agisce anche, involontariamente, per l’interesse di tutti – l’utile aziendale vuol dire sempre un beneficio per la società. Peccato però che i fatti, come diceva qualcuno, “hanno la testa dura” e non ne vogliono sapere delle teorie dei liberisti. Si possono aumentare i profitti, certo, investendo, assumendo nuovi lavoratori, ampliando la produzione, migliorando il prodotto, persino aumentando i salari. Ma questa non è la via comunemente scelta, soprattutto nell’attuale periodo storico nel quale si tende a tagliare investimenti, posti di lavoro, salari e a risparmiare sulla qualità del prodotto. Ciò assicura guadagni agli azionisti, ma non si può certo dire che comporti un bene per la società, poiché fa crescere la disoccupazione, rende beni e servizi più costosi e riduce i salari dei lavoratori. Il bene privato non coincide con il bene pubblico, e questa è una verità difficilmente contestabile.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Perché allora i liberisti si ostinano a sostenere il contrario? Sicuramente in parte lo fanno per fede: piuttosto che rimettere l’ideologia in discussione preferiscono negare la realtà: è una difesa psicologica abbastanza comune e diffusa. Ma questo non basta a spiegare la ragione per cui una teoria errata (e, in questo caso, palesemente e clamorosamente errata) continua a resistere. C’è un altro motivo, che va ricercato non nelle idee e nelle credenze, ma nel fatto materiale “nudo e crudo”. La domanda che bisognerebbe porsi ogni volta che si valuta la fondatezza di una teoria è: “a chi giova e a chi nuoce?” ovvero: “a quale gruppo sociale conviene e quale gruppo sociale penalizza?”. Rispondere a questa domanda significa aver fatto luce su buona parte dei fondamenti della teoria. Nel nostro caso, quindi, chiedendoci a chi giovino il liberismo e le privatizzazioni, la risposta non può che essere: ai grandi colossi industriali e finanziari. Le privatizzazioni sono state una irrinunciabile opportunità di guadagno per le multinazionali, che hanno potuto acquisire ex aziende pubbliche indebitate, ristrutturarle e rivenderle realizzando così immensi profitti. In una fase del capitalismo di saturazione dei mercati, le aziende pubbliche hanno rappresentato la “gallina dalle uova d’oro”. Questa e soltanto questa è la ragione del persistere delle privatizzazioni compulsive e delle mistiche che hanno il compito di giustificarle. L’elemento ideologico, come insegna Marx, è sempre unito all’elemento economico. Una certa visione del mondo può imporsi solo laddove si saldi con gli interessi materiali di un gruppo sociale abbastanza forte.</span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
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<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: xx-small;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration-line: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-30859621978534820072017-06-30T22:42:00.003+02:002017-06-30T22:53:17.874+02:00La squallida festività del centro commerciale*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-UYs5VVAjz8A/WVa3CTI4hbI/AAAAAAAAAeI/ZzYc-ni4ys8lhHDhVJRdJaANItUy_i9YACLcBGAs/s1600/serravalle-outlet.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1091" data-original-width="1600" height="218" src="https://2.bp.blogspot.com/-UYs5VVAjz8A/WVa3CTI4hbI/AAAAAAAAAeI/ZzYc-ni4ys8lhHDhVJRdJaANItUy_i9YACLcBGAs/s320/serravalle-outlet.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="background-color: white;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">“Aperto anche a Pasqua” è la scritta che molti hanno potuto leggere all’ingresso di molti negozi in tutta Italia, e che vedranno sempre più spesso negli anni a venire.</span></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ma i lavoratori dell’outlet di Serravalle Scrivia non erano d’accordo. Così due cortei hanno bloccato le entrate, per impedire l’accesso a imperterriti clienti decisi a trascorrere un giorno di festa, uno degli ultimi ancora liberi dallo sfruttamento, nel tempio del consumo. Ma a quanto pare ad alcuni irriducibili consumatori non sono bastati neanche i picchetti e gli insulti dei manifestanti per convincersi a desistere.</span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Molti lavoratori non hanno partecipato alla protesta, e perché costretti dai capi, e perché rassegnati a una vita sacrificata sull’altare del Dio Capitale. E la rassegnazione emerge dalle parole del sindaco del paese, che su di essa ha trovato motivo di lucro, economico ed elettorale: “Siamo in un’economia di mercato” dice “Io comunque non avrei potuto fare nessuna ordinanza per chiudere, anche perché siamo zona turistica”. Il centro commerciale porta soldi e turisti, e l’economia urbana non può che giovarne. “Siamo in un’economia di mercato”, è il capitalismo, bellezza!</span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Le liberalizzazioni degli orari hanno progressivamente ridotto il tempo libero (dove “libero” deve intendersi non soltanto come non occupato dal lavoro individuale ma nemmeno dal consumo). Prima si è cominciato ad aprire i supermercati saltuariamente di domenica, poi si è approdati all’apertura domenicale fissa, infine si è passati ad aperture eccezionali a Natale, a Pasqua, a Capodanno. Persino il 25 aprile, la Festa della Liberazione e il Primo Maggio, Festa dei Lavoratori, quasi con una triste e cinica ironia. Alcune grandi catene hanno addirittura pensato di introdurre l’apertura di ventiquattro ore, sull’esempio degli Stati Uniti, dove ormai è da tempo una prassi consolidata. L’Italia in questo campo, come direbbero i cantori del “progresso” neoliberale, non è “rimasta indietro”: siamo l’unico paese in Europa a non aver nessun tipo di restrizione sugli orari degli esercizi commerciali. E laddove esistono ancora lavoratori recalcitranti ci pensano i contratti flessibili e la minaccia dei licenziamenti “facili” a far loro cambiare idea.</span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il valore di scambio colonizza tempi e spazi. Lavora di più, chi può lavorare, perché chi non lavora abbassi le pretese e non sia troppo “choosy”, come diceva un ex ministro in lacrime; e tutti quanti, poi, consumano. E perché questo avvenga nuovi spazi devono essere strappati alla vita comunitaria, a ciò che ne rimane, o alle rare nicchie di ambiente non ancora urbanizzato, per essere messi a profitto dalla produzione-consumo. Supermercati, grandi catene, negozi che contengono altri negozi al loro interno come scatole cinesi, vere e proprie città consumistiche, l’ultima frontiera della grande distribuzione.</span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L’outlet di Serravalle Scrivia è una delle tante cittadine commerciali – la più grande d’Europa – dove la gente può passeggiare, girando per i negozi attaccati l’uno all’altro, scorrendo di vetrina in vetrina, arrivando a mani vuote e andandosene, al calar del sole, carica di buste gonfie di merce acquistata in saldo. È l’esemplificazione perfetta di come il capitalismo abbia colonizzato tutti gli spazi e tutti i tempi di esistenza, e di conseguenza l’immaginario e le (in)coscienze. Probabilmente, molti di coloro che la domenica sono immersi nella gioia effimera della liturgia consumistica, il giorno dopo dovranno tornare a lavorare in un altro centro del consumo. Turni massacranti, contratti flessibili, con la minaccia del licenziamento o del mancato rinnovo, che il capitalismo postmoderno costringe ad accettare quasi con un senso di colpa, perché il lavoro è poco e chi ce l’ha deve essere grato e non fare tante storie. Ma quando non si lavora non si riesce a fare nient’altro che far lavorare altri, i quali producono non per quello di cui la società umana abbisogna, ma perché altri possano consumare. E tutto si svolge in questa turnazione, dove il lavorare-per-il-consumo si alterna al consumo: il valore di scambio forgia per intero le nostre vite. Si arriva al paradosso che se anche esistessero turni e orari più umani, molti non saprebbero che farsene, se non trascorrere il tempo in qualche grande catena, in un fast-food o in un parco divertimenti, con tutta la famiglia al seguito. Perché la colonizzazione dei luoghi e dei tempi non è qualcosa di meramente negativo, che sottrae ai luoghi e ai tempi liberi, ma è la loro modulazione, definizione, la loro stessa creazione e ideazione.</span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Un esempio illuminante è la mutazione della piazza – e l’Italia urbana, si può dire, si è fondata sulla piazza. Da centro e fulcro della vita pubblica cittadina sia religiosa (la chiesa) che laica (Il Comune, la Prefettura, ecc.) a non-luogo, simulacro di se stesso per attrarre turisti. La piazza, nella postmodernità, ha perduto la sua centralità come luogo della vita comunitaria e politica della popolazione urbana (anche perché praticamente non esiste più una vita comunitaria e politica). Le piazze d’Italia, nella loro magnificenza ereditata dal passato, sono state riadattate a luogo di semplice transito pedonale, “appoggio” per i locali, i bar e i ristoranti che vi si affacciano invadendola con i loro tavolini, cartoline turistiche, parcheggi (a pagamento) dove depositare l’auto per recarsi a lavorare o a consumare. Non più centri del pubblico, del collettivo e del politico, ma propaggini del mercato, del profitto e dell’individualistico.</span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Non bastano, quindi, le sacrosante rivendicazione lavorative, soltanto simulate dai sindacati e di cui oggi ci sarebbe bisogno urgente; per sfuggire alla morte civile e ripensare a un’autentica ribellione alla costellazione capitalistica odierna bisogna ridefinire gli spazi e i tempi, modellati dalle esigenze del profitto e del consumo, sulla base di istanze non consumistiche e non capitalistiche, di vita associata e di politica intesa nel suo più alto significato.</span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: 13px;"><br /></span></span>
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<div style="font-family: arial, tahoma, helvetica, freesans, sans-serif; font-size: 13px;">
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<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'</span><i style="font-family: times, "times new roman", serif;"><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration-line: none;">Intellettuale dissidente</a></i></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-57243417254407540072017-05-31T17:03:00.001+02:002017-05-31T17:03:52.801+02:00Carità di Stato*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-eF51S7vbbSo/WS7a6tgWQ5I/AAAAAAAAAd0/lT3v30xlROQAkCjbjkbCp5A8WXV_6HJDwCLcB/s1600/rdc.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="218" data-original-width="500" height="139" src="https://3.bp.blogspot.com/-eF51S7vbbSo/WS7a6tgWQ5I/AAAAAAAAAd0/lT3v30xlROQAkCjbjkbCp5A8WXV_6HJDwCLcB/s320/rdc.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Lo
hanno chiamato “Reddito di inclusione” il contributo del governo per le famiglie al
di sotto della soglia di povertà assoluta, che dovrà sostituire il precedente “Sostegno
per l’inclusione attiva”.
Al di là del lessico, si tratta di qualche leggero ritocco che lascia
inalterata la sostanza.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Rimane
la concezione dell’assistenza pubblica come “carità di Stato” che ha sostituito
lo Stato sociale. Si tratta di un contributo che potrà servire soltanto, nel
migliore dei casi, ad alleviare la condizione di sofferenza di una parte
ristretta di popolazione, senza però mutare di una virgola gli equilibri
economici.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Già
il nome tradisce una falsa coscienza dei suoi propugnatori, infatti
l’“inclusione” che viene proclamata come scopo del sussidio, il quale dovrebbe
mirare al reinserimento nel lavoro, non si dà poi concretamente; sono del tutto
assenti politiche per il lavoro, per la riduzione della disoccupazione e per
l’aumento dei salari. Se permangono le condizioni che determinano uno dei
livelli di disoccupazione più alti di tutta la storia dell’Italia repubblicana
non si capisce in che modo il contributo dovrebbe “includere” i poveri a cui
sarebbe destinato. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Per
di più, nel frattempo, il governo intende tagliare la spesa: quindi da un lato si
dà denaro ai poveri, dall’altro glielo si toglie attraverso la contrazione dei
servizi pubblici. È il solito gioco a somma zero (se non addirittura in
positivo per il bilancio pubblico e in negativo per l’economia, in ossequio
alle norme del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact) che sposta fondi da una
parte all’altra.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il
“Reddito di inclusione” è solo una delle tante varianti di integrazione del
reddito. Questa si basa su tre impliciti assunti, ovvero: a) che permarrà
sempre un certo livello di disoccupazione, b) che ci sarà sempre una fascia di
popolazione con un reddito insufficiente e c) che la povertà e la
disoccupazione saranno, per questa fascia di popolazione, caratteri cronici.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Poiché
i suddetti tre punti sono considerati “naturali” e imprescindibili, lo Stato
deve rinunciare a contrastarli, limitandosi ad attutirne gli effetti. È più o
meno lo stesso concetto alla base dei cosiddetti “ammortizzatori sociali” del
social-liberismo: invece che garantire la sicurezza e condizioni minime per i
lavoratori lo Stato può solo “ammortizzare” i danni provocati dal mercato
sregolato. Si osservi che ciascuno dei precedenti tre punti corrisponde a un
preciso interesse delle classi capitalistiche, cui lo Stato dichiara
implicitamente di non opporsi e anzi di dare pieno spazio: per quanto riguarda
a), infatti, come sapeva bene Marx, il capitale ha bisogno di un “esercito
industriale di riserva”, una massa enorme di disoccupati cui attingere
all’occorrenza. Inoltre un alto livello di disoccupazione rende i lavoratori
deboli contrattualmente di fronte alle richieste dei capitalisti. Infine b) e c)
corrispondono a rapporti economici totalmente sbilanciati a favore del profitto
in assenza di tutele giuridiche per i lavoratori e le fasce più deboli e quindi
di costrizioni per il capitale. In altre parole, l’integrazione del reddito è
l’accettazione dei rapporti capitalistici, in particolare nella loro versione
neoliberista.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Un
altro esempio di integrazione del reddito è la Legge Hartz tedesca, voluta dai
socialdemocratici e applicata anche dai conservatori. Essa prevede l’obbligo
per il sussidiato di accettare qualsiasi lavoro a qualsiasi condizione, pena la
perdita del sussidio. In questo caso la variante tedesca determina anche, oltre
che la sanzione di dati rapporti capitalistici a favore del capitale, l’arretramento
delle condizioni salariali, poiché mina ulteriormente il potere negoziale dei
lavoratori: l’imprenditore è libero di rifiutare di assumere il prestatore di
lavoro, ma quest’ultimo è costretto ad accettare qualsiasi impiego; il
lavoratore è sempre esposto alla costrizione del bisogno, ma in questo caso si
aggiunge una nuova costrizione, cioè il ricatto dello Stato.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Questo
punto della legge Hartz, bisogna notare, è ripreso in numerose formulazioni del
Reddito di Cittadinanza, che è la variante più famosa e punto principale del
programma economico del Movimento Cinque Stelle (ma non solo). Il Reddito di
Cittadinanza è un sussidio che dovrebbe estendersi o a tutti, oppure, un po’
meno irrealisticamente, a tutti i disoccupati. Tuttavia nella sua essenza non
muta e prevede sempre l’accettazione del quadro economico dato. Non è un caso
se il dibattito pubblico sull’integrazione del reddito, soprattutto sul Reddito
di Cittadinanza, è diventato centrale solo in una fase storica in cui il
capitale è in una condizione di massima forza e il lavoro in una di massima
debolezza.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="background: white; line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Può
sembrare strano, oggi che anche la sinistra ha assunto l’integrazione de
reddito, in tutte le sue varie forme, come il faro del proprio orientamento
programmatico sull’economia e sul lavoro, ma Friedrich Von Hayek, il massimo teorico
del neoliberismo, ne parlava già e ne auspicava l’introduzione, non per scopi
filantropici (che in realtà, come si è visto, nascondono una falsa
coscienza) ma perché “i poveri non raggiungano un grado di disperazione
tale da rappresentare un pericolo fisico per le classi ricche”. Quello che spinge
Hayek a proporre un sussidio di povertà è una concezione integralmente di
classe. Non si tratta di eliminare la povertà, cui Hayek, come qualsiasi
liberista (che sia col suffisso liberal- o social-) non è interessato, ma di
impedire che i poveri sprofondino in una condizione tale da alimentare un
malcontento sociale foriero di instabilità politica, quando non addirittura di
una rivoluzione o un “pericolo fisico” per le classi dominanti. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="background: white; line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">E qui veniamo all’ultimo scopo dell’integrazione
del reddito, che è, come gli altri tre, di classe, ma a differenza di essi
principalmente politico: il controllo delle classi subalterne e la difesa delle
condizioni politiche di conservazione del capitalismo.</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="background: white; line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Da quanto detto emerge come l’integrazione del
reddito, in tutte le sue forme, non miri affatto a ridurre la disoccupazione o
la povertà come dichiara, ma serva soltanto a sancire rapporti economici
capitalistici in una condizione di forza per il capitale, sia dal punto di
vista economico che politico. Che più o meno tutte le grandi formazioni
politiche italiane lo abbiano incluso nel loro programma dovrebbe essere un
dato molto indicativo.</span></span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="background: white; line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration-line: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><u><a href="http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=127101">http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=127101</a></u></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-24886446797582781672017-05-31T16:50:00.004+02:002017-05-31T17:13:33.498+02:00La sinistra in Italia e la questione nazionale*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-TRLolnn0cBo/WS7XdhGUqJI/AAAAAAAAAdc/CnrvLzLW9xYabUBLdN18xwChpFQWVUNuACEw/s1600/si.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="431" data-original-width="610" height="282" src="https://4.bp.blogspot.com/-TRLolnn0cBo/WS7XdhGUqJI/AAAAAAAAAdc/CnrvLzLW9xYabUBLdN18xwChpFQWVUNuACEw/s400/si.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">A sinistra c’è l’ennesimo assembramento, le ennesime ricollocazioni,
scissioni e unificazioni, nuovi nomi e nuove liste. Si tratta di un sottobosco
estremamente fluido, in continua mutazione. Si direbbe che nessuno sia in grado
di portare avanti un raggruppamento per più di un quinquennio, forse perché si
tratta di costruzioni improvvisate che non si fondano su un’analisi articolata
del presente e su una filosofia politica, ma su accordi tattici, appelli
all’unificazione di una sinistra generica e astratta, “post-ideologica”, ovvero
che respinge tutte le ideologie tranne quella del mercato globale, assunta in
maniera quasi inconsapevole.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Con gli ultimi recenti rivolgimenti, destinati probabilmente a non durare,
nel migliore dei casi, più di qualche anno, è nato il “Campo Progressista” di
Giuliano Pisapia, poi c’è stata la costituente di Sinistra Italiana, infine il
congresso di Rifondazione comunista segnato dalla fine della segreteria di
Paolo Ferrero (oltre che dalla consueta emorragia di iscritti).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Le tante mutazioni, in realtà più nominali che sostanziali, non sono la
risoluzione della crisi, ma sono esse stesse dentro la crisi della sinistra che
dura ormai da tre decenni. È un crisi non solo italiana, ma che in Italia si
avverte con particolare virulenza. Tutte queste “rifondazioni” segnalano
proprio l’incapacità della sinistra di interpretare la fase storica attuale e
di elaborare un progetto di società alternativo rispetto al capitalismo
postmoderno e quindi una corretta strategia di opposizione a esso. La crisi in
corso deriva proprio da questa difficoltà.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Dove la sinistra ha mostrato le sue più gravi lacune è nella
concettualizzazione del rapporto tra differenti comunità territoriali. Questa è
una conseguenza dell’ostracizzazione del marxismo rigoroso sul piano teorico,
in favore di quello che Guido Viale definisce “sinistrese”, un miscuglio
caotico di linguaggi diversi. La deturpazione del marxismo ha provocato la
sostituzione del cosmopolitismo all’internazionalismo (spesso confuso col primo).
Questa sostituzione ha indotto la sinistra alla demonizzazione della nazione.
Si tratta di un fenomeno inedito e tradizionalmente estraneo alla sinistra. Il
marxismo non ha mai disgiunto la lotta di classe dalla lotta per la liberazione
nazionale, anzi, le ha sempre concepite come strettamente legate tra loro. Si
potrebbero citare diversi passi in cui Lenin considera il perseguimento
dell’autodeterminazione delle nazioni come una necessità nella lotta contro le
potenze imperialiste. Arriva addirittura a esaltare il sentimento di orgoglio
nazionale per la “Grande Russia”, ovviamente su una condizione di equità con
tutte le altre nazioni. Per non parlare di altri “mostri sacri” come Ho Chi Min
o Che Guevara (tutti ricorderanno il motto “Patria o muerte!” dei rivoluzionari
cubani). La nazione è sempre stata un’idea di sinistra, per quello che la
sinistra è stata in Europa, ovvero prima democratico-repubblicana e poi
socialista (i comunardi, i sostenitori della Comune di Parigi del 1871,
cantavano “l’Internazionale” sulle note della Marsigliese). Spesso viene citata
a sproposito la frase di Marx “gli operai non hanno patria”, dimenticando però
di aggiungere il seguito: “Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è
di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di
costituire se stesso in nazione, è anch'esso ancora nazionale, seppure non
certo nel senso della borghesia”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">L’identificazione della nazione con un’ideologia di destra o di estrema
destra si è avuta con l’equiparazione al fascismo, considerando l’istanza
nazionale, erroneamente, come caratteristica del fascismo. In realtà ciò che
connota il fascismo è altro, una determinazione imperialista o “suprematista”,
che è cosa diversa dal nazionalismo. L’errore discende da una mancata
comprensione del fascismo come fenomeno storico, ovvero dall’approccio
post-moderno e deleuziano che descrive il fascismo astrattamente e da un punto
di vista meramente ideologico, contrariamente all’approccio marxista, che
invece concepisce il fascismo come esito degli interessi capitalistici in una
data situazione politico-sociale. Fascista è, secondo il “sinistrese” di oggi,
chiunque “costruisce muri” e ammette una gerarchia nell’organizzazione
politica. In questo modo, ad esempio, il crollo del Muro di Berlino viene visto
come una liberazione dei popoli soggiogati da stati totalitari, anche se questo
ha significato l’invasione totale del mercato, il liberismo e il completamento
del processo di mondializzazione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Avendo perduto l’internazionalismo e avendo identificato la nazione col
fascismo, la sinistra si è gettata nelle braccia del cosmopolitismo, che è
invece proprio del liberalismo e del neoliberismo. Il cosmopolitismo vuole
sradicare persone e comunità, renderli individui-consumatori apolidi che
viaggiano continuamente per il mondo in cerca di un impiego, secondo quanto
esige il mercato globale. In questo modo la sinistra non si è opposta, quando
non addirittura ha favorito, la perdita di sovranità degli stati, il
soggiogamento dei popoli da parte di entità sovranazionali e della tirannia
capitalistico-finanziaria. Ha visto con favore la moneta unica europea e la
costruzione dell’Unione Europea, non capendo quanto esse fossero uno strumento
delle élite capitalistiche, e questo perché ha sostituito all’analisi
tipicamente marxiana e marxista – che lega ideologie a moventi
politico-economici – la visione postmoderna che, seppure proclama la fine delle
ideologie, è radicalmente ideologizzante, cioè oscura le cause “strutturali”,
come direbbe Marx, ed evidenzia soltanto la cortina ideologica. Per quanto
l’errore sia stato grave, e ormai palese, la sinistra non è riuscita (fatte
salvo apprezzabili eccezioni) a divincolarsi da questo cosmopolitismo da cui
continua a essere influenzata. È rimasta vittima di quello che si potrebbe definire
“il paradosso di Tsipras”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Il partito di Syriza, infatti, aveva avanzato un programma che si potrebbe
chiamare“progressista” e “socialista-democratico” con il quale ha vinto le
elezioni. Questo programma però non prevedeva di mettere in discussione l’euro
e l’Unione Europea, di cui si auspicava un’improbabile riforma. Una volta che
il programma sociale si è rivelato irrealizzabile all’interno dell’Unione
Europea (come del resto era chiaro già prima a ogni osservatore obiettivo) il
governo greco e il suo partito hanno preferito rinunciare al programma
piuttosto che considerare l’uscita dalla UE e la rinazionalizzazione della
moneta, finendo così per applicare le richieste della Troika.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">La sinistra italiana è vittima dello stesso paradosso. Dichiara la sua
opposizione al liberismo, ma il suo pregiudizio anti-nazionale le impedisce di
proporre un programma realistico. Questo pregiudizio anti-nazionale, si
direbbe, è stato portato troppo avanti e si è troppo radicato per poter essere
ora abbandonato. Il problema, però, è ormai ineludibile. È difficile negare
come l’euro e i Trattati siano uno strumento dell’oligarchia per destrutturare
lo stato sociale e operare una “restaurazione”. Così si avanzano ipotesi
improbabili, come una riforma dei Trattati che è di fatto impossibile (chi è
che convince 27 governi doversi?) oppure la “disobbedienza”, senza capire o
voler capire che uno Stato che non dispone della propria moneta non è in grado
di opporre un rifiuto ai diktat di Bruxelles.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">La sinistra, o quel che ne rimane, se vuole salvarsi da un’estinzione
altrimenti inevitabile, deve cambiare il proprio punto di vista, recuperare
l’approccio marxiano (che non vuol dire ripetere mnemonicamente gli scritti di
Marx, ma adottarne il metodo) nella spiegazione dei fenomeni sociali e troncare
col pregiudizio anti-nazionale. In altri paesi esistono esempi in questo senso,
il Partito Comunista Portoghese si è già avviato su questa strada, l’unica
strada percorribile.</span><span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration-line: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><u><a href="http://www.varesenews.it/2017/02/sinistra-italiana-a-congresso-a-varese/592085/">http://www.varesenews.it/2017/02/sinistra-italiana-a-congresso-a-varese/592085/</a></u></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-68818881112195334832017-05-06T17:11:00.000+02:002017-05-06T17:27:48.578+02:00Quale femminismo?<div class="Section1">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-bX-bjCXCeeU/WQ3nMaHKyGI/AAAAAAAAAdE/Zhi6bHfVY34Ltt5G2XdVhep4Z5c50UAygCLcB/s1600/femminismo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-bX-bjCXCeeU/WQ3nMaHKyGI/AAAAAAAAAdE/Zhi6bHfVY34Ltt5G2XdVhep4Z5c50UAygCLcB/s320/femminismo.jpg" width="277" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<div class="Section1">
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L’8
marzo scorso si è tenuto lo “sciopero generale delle donne”, la manifestazione
internazionale delle femministe, in Italia vi hanno aderito diversi sindacati,
con lo scopo di contrastare la violenza contro le donne e altre forme di
discriminazione. Questa manifestazione ne richiama altre e si colloca sull’onda
di una serie di iniziative per i diritti delle donne in Italia come all’estero
(si ricorderà, negli Stati uniti, la marcia contro Trump).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Negli
ultimi anni il femminismo ha ricevuto molta attenzione da parte dei media, così
come alcuni suoi temi sono stati pubblicamente dibattuti e, in alcuni casi,
hanno dettato anche l’agenda politica.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La
domanda che ci porremo in questa sede è: il femminismo, oggi, è ancora un
interprete affidabile non soltanto delle esigenze delle donne, ma anche delle
questioni sociali più urgenti, come aspira ad essere?<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<b><i><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Femminismo
e questione sociale<o:p></o:p></span></span></i></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Si
tratta di un rapporto coltivato assiduamente, in passato, dal femminismo di
matrice marxista. Tuttavia l’epoca attuale ha visto le femministe sempre più
allontanarsi dalle questioni che allora venivano definite “di classe”. In altre
parole, a un certo momento della storia, è fuoriuscito da più ampi movimenti di
emancipazione delle classi sfruttate e ha finito per legittimare,
implicitamente quando non apertamente, il modo di produzione e la struttura
economica. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Dagli
anni Settanta un filone del movimento femminista decise di rifiutare il
marxismo e il socialismo, all’interno dei quali si era sviluppato; questa
scelta, si deve al separatismo e in Italia è stata teorizzata soprattutto da
Carla Lonzi, determinando gli esiti attuali.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Se
il femminismo rompeva col socialismo accadeva, nel frattempo, una mutazione
della società: il trionfo “definitivo” del capitalismo (non perché fosse
realmente tale, come nulla è nella storia, ma perché come tale si rappresentava)
e la rinuncia alle istanze anticapitaliste. Mentre questo avveniva, culminando con
la caduta del Muro di Berlino, il femminismo aveva già distinto se stesso dalla
lotta contro il Capitale e aveva designato come proprio nemico esclusivo il
Patriarcato. Il problema è che ciò veniva affermato proprio in una fase di declino
del Patriarcato e di una nuova “rivoluzione capitalistica”, quella del dominio
oligarchico non mediato e del mercato globale, una rivoluzione che trovava per
la prima volta pieno compimento dopo aver abbattuto tutti gli ostacoli
politici, ideologici e culturali.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">In
questa “rivoluzione”, le formazioni ideologiche capitalistiche mutavano. Il
capitalismo si sbarazzava (o perlomeno cominciava a farlo e oggi vediamo come
questo processo sia giunto a compimento) di certi suoi strumenti repressivi, in
particolare della inibizione e della castrazione del corpo e del desiderio
sessuale. Se, infatti, nella fase precedente aveva bisogno di trattenere almeno
in parte energie potenzialmente sovversive e di reprimere le pulsioni per
includere gli individui nell’irregimentazione produttiva (magari permettendo,
per altra via, uno “sfogo” controllato delle pulsioni represse) nella fase
postmoderna esso deve, invece, modellare l’individuo consumatore, quindi svincolarlo
dal corpo sociale e lasciare libero sfogo alle pulsioni; anzi, deve eccitare,
provocare, amplificare e manipolare i desideri. Il Patriarcato, che in passato
era servito a riprodurre le strutture sociali capitalistiche, diventa ora,
perciò, strumento inservibile, di cui disfarsi. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ecco,
dunque, che il Capitale trova, a questo scopo, un utile alleato nel femminismo
separatista e “post-ideologico”, che gli consente, per di più, di incanalare la
protesta a proprio favore.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Le
femministe hanno finito per far proprie istanze propriamente
pro-capitalistiche, ne è un esempio la rivendicata aspirazione delle donne a
ricoprire i massimi gradi della gerarchia sociale. Se il capitalismo a uno
stadio di “arretratezza” escludeva le donne, prima come produttrici e poi come
consumatrici, il suo nuovo movimento tende sempre più a includerle. Il
femminismo si è allineato a questa tendenza generale, considerandola fattore di
emancipazione per le donne nella lotta contro il Patriarcato. Tuttavia, non è
più in grado di cogliere – proprio perché si è ormai distaccato dai mezzi
ideologici adeguati – il carattere di classe di questa “emancipazione”. Mentre
si celebra la “liberazione” delle donne dalle catene della castrazione
maschilista, lo sfruttamento delle donne, come degli uomini, delle classi
inferiori si inasprisce, venendo a mancare tutte le protezioni sociali.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il
femminismo assume un profilo “progressivo” solo di fronte a configurazioni
arcaiche del potere (quelle repressive e castranti) ma accetta nella sostanza e
supporta la restaurazione postmoderna (de-inibita e sessualizzante). E ciò si
deve al fatto che il femminismo si è troppo concentrato nel contrasto e
nell’analisi dei mezzi del potere, che, in quanto mezzi, possono essere
sostituiti, ma non sulla critica della struttura del potere. Il potere,
infatti, non si esercita soltanto negativamente, ma anche in positivo: “un
dispositivo molto diverso dalla legge, anche se poggia localmente su procedure
d’interdizione, assicura, attraverso una rete di meccanismi connessi gli uni
agli altri, la proliferazione di piaceri specifici e la moltiplicazione di
sessualità disparate”*.</span></span><br />
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Le </span></span><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">femministe, nelle loro rivendicazioni, affermano “Scioperiamo contro l’immaginario misogino sessista, razzista, che discrimina lesbiche, gay e trans”. Nulla viene detto, però, sulla principale discriminazione della nostra epoca, ovvero quella di classe che distingue le persone in base al loro accesso alle merci. Una “assenza rivelatrice”, che dice quanto il femminismo, come del resto molti movimenti di protesta, sia oggi compromesso col sistema sociale di sfruttamento.</span><br />
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<b><i><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La
mediatizzazione del femminismo<o:p></o:p></span></span></i></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Le
femministe combattono il Patriarcato, e non si può negare quanto quest’ultimo
abbia oppresso e talvolta tutt’ora ancora opprime, nonostante sia in declino
irreversibile, le donne.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ma
esiste una nuova forma di oppressione che, come si è detto, non reprime e non
castra il corpo femminile, ma lo manipola e lo espone. Questo accade nella
comunicazione, e non riguarda “il linguaggio sessista”, la vocale finale
maschile al posto di quella femminile, ma qualcosa di molto più potente e
colonizzante. Ed è l’esposizione del corpo della donna la sua
iper-sessualizzazione e la sua mercificazione. La pubblicità tratta il corpo
della donna come “merce universale”, ovvero un particolare tipo di merce che
rende appetibile qualsiasi altra merce. Se si vuole vendere una merce le si
attribuiscono caratteri sessuali femminili.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il
capitalismo consumista manipola il corpo della donna per renderlo universalmente
fruibile (altro che “il corpo è mio e lo gestisco io”!) esso deve essere sempre
mostrato e deve sempre sedurre e attirare, provocare ed eccitare. Il corpo
della donna deve essere sempre, costantemente, desiderato e deve quindi farsi
desiderare. Le femministe non sembrano essere consapevoli di ciò, anzi, esse
hanno spesso contribuito a rendere il corpo e l’immagine della donna sempre più
fruibile per la società dei consumi, sempre più merce universale, partecipando
al processo di mediatizzazione della figura femminile.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">“Agiamo”
scrivono le promotrici della manifestazione “con ogni media e in ogni media per
comunicare le nostre parole, i nostri volti, i nostri corpi ribelli, non
stereotipati e ricchi di inauditi desideri”. Inneggiano alla mostra del corpo e
all’eccitazione dei desideri di cui si serve il potere postmoderno, un potere
manipolatore seppure non patriarcale. In numerose proteste le troviamo in atti
provocatori a incitare e mostrare, a scandalizzare, quando lo scandalo (che per
essendo inflazionato deve spostare l’asticella della provocazione sempre più in
alto) serve proprio a eccitare il desiderio della donna e per la donna
venditrice di se stessa. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<b><i><span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Riformulare
il femminismo<o:p></o:p></span></span></i></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">È
inutile farsi illusioni, il femminismo non può operare oggi con le stesse
strategie di ieri. Bisognerebbe innanzitutto prendere atto che la corrente del
femminismo oggi prevalente non si è rivelata fruttuosa. Ha partecipato di una
tendenza già dominante, quella di rendere la donna consumatrice e oggetto di
consumo, e ha esaurito il suo carattere dissidente. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Se
il femminismo intende, oggi, farsi interprete della questione femminile, per
come può oggi essere intesa, non può esimersi dalla critica della struttura
economica e dai processi di esclusione non soltanto dei sessi – come
conseguenza delle incrostazioni del passato – ma anche delle classi. Deve
altresì rimodulare la sua strategia, esigendo non la mostra, l’esposizione e
l’esibizione di sé, “diritto” già ampiamente concesso, quando non vero e
proprio obbligo e metodo di inclusione
della donna nei processi di riproduzione dell’ordine sociale. Hanno bisogno, le
donne, di “rilassare” la propria immagine, desessualizzarsi, celarsi, sfuggire
all’esibizione del corpo. Solo in questo modo potranno sganciarsi dal sistema
di sfruttamento pubblicitario e rivendicare un’autentica emancipazione.</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div>
<div id="edn1">
</div>
</div>
</div>
</div>
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">
</span>
<br />
<div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><br /></span></div>
<!--[if !supportEndnotes]-->
<br />
<div id="edn1">
<div class="MsoEndnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: xx-small;">*</span><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif; font-size: xx-small;">Michel Foucault, <i>La volontà di sapere – Storia della sessualità 1</i>, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 48</span></div>
<div class="MsoEndnoteText" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 14.95px;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: 13px;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent; font-size: 13px;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><u><a href="http://www.movimentolibertario.com/2012/02/femminismo-false-ricerche-e-capri-espiatori/">http://www.movimentolibertario.com/2012/02/femminismo-false-ricerche-e-capri-espiatori/</a></u></span></span></div>
</div>
</div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-55374228116064082192017-05-06T17:00:00.003+02:002017-05-06T17:11:40.091+02:00Marx risponde a Briatore*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-VbHf3zC2q_0/WQ3kfTppdnI/AAAAAAAAAc4/OGobGx_qDvknN6zEqh9wRWDdO0cnAo3CACLcB/s1600/marx_engels_nrz.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="224" src="https://1.bp.blogspot.com/-VbHf3zC2q_0/WQ3kfTppdnI/AAAAAAAAAc4/OGobGx_qDvknN6zEqh9wRWDdO0cnAo3CACLcB/s320/marx_engels_nrz.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Con
la legge di bilancio è stata approvata la cosiddetta "flat tax", l’imposta fissa
per i grandi patrimoni per attrarre ricchi nel nostro paese. A quale
scopo? Per comprendere il modo di pensare che ispira questa norma bisogna
ascoltare le parole di Flavio Briatore, il quale ha commentato “<span style="background: white;">Finalmente
una legge che serve a fare arrivare in Italia un po' di gente ricca. Farà
girare soldi e lavoro”. Il milionario aggiunge sprezzantemente: “in Italia di
poveri ce ne sono già abbastanza e a quanto mi risulta non hanno mai creato
lavoro</span><span style="background: white; color: #333333;">”. </span><span style="background: white;">Ovviamente egli non è
certo un giudice imparziale sul tema, tuttavia non ha fatto che esprimere in
modo forse un po’ più urtante ciò che viene spacciato dagli opinionisti dei
quotidiani e dai media come verità indiscutibile. L’idea, cioè, che il
capitalista “crei lavoro”. È un’idea che ha avuto particolare successo in
Italia dall’inizio della carriera politica di Berlusconi, i cui sostenitori,
per giustificarla, solevano dire: “ha creato milioni di posti di lavoro” in
contrapposizione a una “casta” politica descritta come parassitaria. Questa
idea era alla base anche delle privatizzazioni dei governi di centrosinistra e della
precarizzazione del lavoro, che avrebbe dovuto, a loro dire, indurre ad
assumere e attrarre i capitali esteri. Eppure, nonostante tutte queste norme a
favore dei “creatori di lavoro”, la disoccupazione in questi anni è aumentata,
registrando il suo massimo storico per quella giovanile. <o:p></o:p></span></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="background: white; line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Certo, pensare al lavoro
come a un “posto”, quasi si trattasse di una poltroncina di un teatro, non
aiuta un corretto modo di intenderlo. Induce a credere, quasi inconsciamente,
che il lavoro sia un luogo fisico, che quindi possa essere “costruito” come una
cosa: eppure il lavoro non è una cosa, ma una attività umana, ovvero una
relazione tra cose; però non una relazione qualsiasi, bensì tale da essere
predisposta secondo scopi umani. È una differenza ontologica non secondaria.
Perché se il lavoro è una relazione e non una cosa la sua esistenza dipende da
un certo contesto preordinato e da un certo interagire tra gli individui
prolungato nel tempo. Se uno di questi fattori muta o scompare è possibile che
il lavoro come attività cessi di esistere, mentre le cose una volta create
continuano ad esserci indipendentemente da tutto il resto (a meno che un agente
esterno deliberatamente non le distrugga).<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Se dovessimo considerare una concezione del
lavoro che possa piacere a Briatore e ai suoi simili, quella liberale, il
lavoro è il risultato dell’incontro di due variabili: la domanda (quella
dell’imprenditore) e l’offerta (quella del lavoratore). L’imprenditore mette a
disposizione del lavoratore i mezzi per produrre e gli corrisponde un salario,
in cambio terrà per sé una parte del ricavato (profitto). Come si può
facilmente notare non c’è in questa concezione, la più favorevole a quelli come
Briatore, niente che possa far pensare al capitalista come a un “creatore” di
lavoro. Per la stessa ragione per cui l’acquirente di un paio di scarpe o di un
chilo di pane non è il creatore delle scarpe o del pane. Dal punto di vista
fisico e materiale, in base a questa interpretazione, il creatore del lavoro è
il lavoratore stesso. Ma volendo estendere la definizione di “creare” a un
significato più sociologico, si potrebbe dire che il lavoro sia il risultato
dell’incontro di domanda e offerta. Ma anche in questo caso l’imprenditore non
crea alcunché, il lavoro è l’intersezione di due interessi diversi e
convergenti.</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Questo secondo l’idea non di chi scrive ma
dei liberali. Qualcuno potrebbe obiettare che il lavoratore non potrebbe
lavorare senza che il capitalista gli metta a disposizione i mezzi di
produzione e un salario per vivere (o per sopravvivere). Ciò è in parte vero,
ma non ancora dimostra che sia il capitalista a creare lavoro. Infatti non
bisogna confondere la predisposizione delle condizioni per la creazione con la
creazione stessa: l’allevatore fa ingrassare l’animale, il macellaio seleziona
il taglio, ma è soltanto il cuoco a creare il piatto di bistecca alla
fiorentina. Senza la preparazione dell’allevatore e del macellaio quest’ultimo
non avrebbe potuto, certo, creare il suo piatto; ma resta il fatto che è lui, e
non gli altri, ad averlo creato.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Tuttavia, potrebbe insistere il nostro
critico, seppure egli non è il creatore autentico, resta il fatto che la sua
opera è indispensabile per la creazione stessa, dato che egli mette a
disposizione del lavoratore gli strumenti per lavorare. Quindi l’espressione
“creare lavoro” potrebbe essere intesa come “creare le condizioni per il
lavoro”.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ma quali sono queste condizioni? I mezzi di
produzione e il salario. Cioè, in sostanza, il capitale. A questo punto però,
se si vuole essere onesti, bisogna portare l’indagine fino in fondo e
domandarsi da dove provenga il capitale. A tale domanda rispose già, nel modo
più completo ed elegante, Karl Marx. Marx distingue tra capitale costante,
costituito dai mezzi di produzione, e il capitale variabile, cioè i salari.
Dato che il capitale costante è, per definizione, costante, l’unico modo per
espandere il profitto o <i>plusvalore</i> è
ridurre l’incidenza del capitale variabile, cioè, in sintesi, far lavorare più
ore il lavoratore o, il che è lo stesso, abbassargli il salario. Al lavoro
necessario per produrre il proprio salario, infatti, il lavoratore dovrà
aggiungere un <i>pluslavoro</i> per
retribuire il capitalista. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Sono i lavoratori stessi a produrre il
capitale. Del resto, da cosa sono prodotti i mezzi di produzione se non da
altri lavoratori, siano essi tecnici e ingegneri o manodopera? In fin dei conti
si può pensare al lavoro senza il capitale, ma non si può pensare al capitale
senza il lavoro. Ribaltando la frase di Briatore, perciò, si può dire che non
sono i ricchi a creare lavoro, ma è il lavoro a creare i ricchi.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">E allora perché una tale errata convinzione è
così diffusa nella nostra società? A questa domanda risponde sempre Marx
ricordandoci che le idee dominanti sono le idee della classe dominante, alla
quale appartiene Briatore. La classe dominante ha tutto l’interesse a pensarsi
e a farsi pensare come indispensabile e benefica. Essa deve in qualche modo
giustificare le immense ricchezze che ha concentrato ed è per questo che
asserisce – attraverso i media che possiede – che di una tale concentrazione c’è
bisogno per il bene di tutti.<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">E allora ecco che invece di dire che il capitalista
si appropria del lavoro, si dirà che egli lo crea! Invece di dire che il
lavoratore retribuisce i suoi profitti si dirà che egli retribuisce il
lavoratore! Invece di dire che non crea nessuna ricchezza ma la sposta soltanto
nelle proprie mani, si dirà che egli la produce! <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">E così i politici ridurranno loro le tasse,
perché così, dicono, ci saranno più investimenti, privatizzeranno perché così,
assicurano, ci sarà più efficienza, aboliranno le tutele dei lavoratori perché
così, promettono, ci sarà più lavoro. E gli elettori ci crederanno, temendo che
se non si facesse tutto ciò sarebbe il disastro.</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">“Bisogna attrarre i capitali esteri”: è
questa la più comune formulazione della frase di Briatore. Fare dell’Italia un
paradiso per ricchi di tutto il mondo non renderà l’Italia ricca; Non è migliorando
le finanze già eccellenti dell’1% che si migliorano le condizioni di vita dei
suoi cittadini. Esiste solo un mezzo che può essere adatto allo scopo e quel
mezzo è lo Stato, lo “spettro” più temuto. Non a caso sentiamo ripetere, da
quelli stessi che invocano la venuta dei capitalisti di ogni dove, che di esso
ci si deve sbarazzare.</span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration-line: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><u>https://socialhistory.org/en/news/marx-engels-papers-completely-available-online</u></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-59210772431200516882017-03-30T22:16:00.000+02:002017-03-30T22:18:25.665+02:00Egemonia e dissenso: quali prospettive?*<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-IBlJR96GT-0/WN1n4uaiFeI/AAAAAAAAAck/gfmxCH-1SyAzf1QZN2vupijox0DJHlwxwCLcB/s1600/prodi%2Brenzi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="160" src="https://3.bp.blogspot.com/-IBlJR96GT-0/WN1n4uaiFeI/AAAAAAAAAck/gfmxCH-1SyAzf1QZN2vupijox0DJHlwxwCLcB/s320/prodi%2Brenzi.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">La
sconfitta di Renzi al referendum costituzionale</span> avrebbe dovuto indurre a una riflessione non soltanto il segretario
del PD e la sua cerchia, ma tutto quanto il ceto dirigente italiano
che ha tenuto il governo politico in questi anni, anche se un governo
più simbolico che reale, svuotato delle sue effettive prerogative,
diventato un mero esecutore della strategia delle oligarchie e della
tirannia di mercato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Questa
sconfitta, e le conseguenti dimissioni di Renzi da Presidente del
Consiglio, segnalano due fatti di cui non si può non prendere atto:
a) l’incapacità attuale della strategia neoliberale e dei suoi
deboli referenti politici di attrarre consenso e b) il fallimento
storico del Partito Democratico e dell’idea sulla quale è stato
fondato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br />
</span></div>
<ol type="a">
<li><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif; font-size: small;"><i><b>L’illusione
e il disincanto: il tramonto dell’egemonia culturale attiva</b></i></span></div>
</li>
</ol>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L’esaurimento
dello slancio delle lotte sociali del Novecento, che hanno raggiunto
l’apice del loro successo nel corso degli anni Sessanta e Settanta
del secolo scorso, trascinata dall’avanzata del “blocco
socialista” (col quale si vuole qui intendere tutto l’insieme di
partiti, sindacati e movimenti di ispirazione marxiano-keynesiana,
comunisti, socialisti, socialdemocratici, laburisti) aveva visto il
ritorno del liberalismo e la restaurazione capitalista. In appena tre
decenni, le tutele sociali sono state rapidamente cancellate, i
mercati ampiamente liberalizzati, gli stati-nazione indeboliti,
proprio grazie alla partecipazione del nuovo ceto dirigente erede di
quello socialista.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Questo
processo di restaurazione liberale è stato possibile grazie alla
crisi ideologica del blocco socialista, cui il crollo dell’Unione
Sovietica ha dato il colpo di grazia. Il capitalismo è apparso come
l’unico universo possibile e il neoliberalismo è riuscito a
instaurare un’egemonia culturale come forse mai prima di allora. La
novità era che questa egemonia non riguardava soltanto le classi
dominanti, ma anche quelle dominate, che hanno creduto nella promessa
di emancipazione individuale del liberalismo post-moderno. Questa
egemonia ha potuto esercitarsi grosso modo incontrastata per un
trentennio. Qui però occorre integrare la proficua categoria
gramsciana; bisogna infatti distinguere tra un’egemonia culturale
<span style="font-size: small;"><i>attiva</i></span>
e un’egemonia culturale <span style="font-size: small;"><i>passiva</i></span>.
Con la prima si intende la persuasione ideologica consapevole e la
conscia rappresentazione di una certa idea di società sottesa da
tale ideologia. Con la seconda invece ci si vuole riferire
all’introiezione inconsapevole delle forme ideologiche e alla loro
riproduzione inconscia e automatica nel sistema sociale. Per molto
tempo le due categorie sono, in linea di massima, coincise. Ciò è
accaduto anche con la restaurazione neoliberale degli anni Ottanta,
Novanta e Duemila. Ma all’inizio di questo decennio vi è stata una
divaricazione. L’egemonia attiva è entrata in crisi e sta andando
via via dissipandosi, mentre è rimasta in vigore inalterata quella
passiva. Ciò ha significato che le masse hanno cominciato a
rifiutare la formulazione esplicita dell’ideologia neoliberale, ma
continuano a subire le forme di integrazione implicite che essa
propone nei comportamenti individuali e collettivi. Questa inedita
divaricazione ha provocato conseguenze altrettanto inedite; a livello
politico, infatti, l’ideologia neoliberale non riesce più a
produrre consenso, non riesce più a <span style="font-size: small;"><i>sedurre</i></span>
come in epoca reaganiana (il neoliberismo <span style="font-size: small;"><i>seduce</i></span>,
il progetto socialista <span style="font-size: small;"><i>affascina</i></span>).
Quel ceto dirigente, quindi, che si è fatto interprete politico
della strategia neoliberale, è entrato in una crisi di consenso
profonda che non sembra trovare sbocchi: si pensi alla situazione del
partito socialista francese, o di entrambi i partiti statunitensi
(costretti a integrare figure “esterne”, come Sanders da una
parte e Trump dall’altra) oppure del PD in Italia affetto da
cronica emorragia di iscritti. Tuttavia, a questa crisi della
proposta politica neoliberale, non ha fatto seguito una capacità di
elaborare una efficace strategia contrapposta delle altre forze. In
questo modo le oligarchie hanno perduto il consenso politico, ma
senza che il loro dominio di classe fosse scalfito. Se manca il
consenso, il dissenso non riesce a organizzarsi e a proporre una
contrapposta idea di società, arenandosi in rivendicazioni del tutto
secondarie e sterili, finendo per disperdersi in mille rivoli. È il
cosiddetto “populismo”, come quello di formazioni quali Podemos
in Spagna o il Movimento Cinque Stelle in Italia. Essi hanno
inconsapevolmente introiettato l’ideologia neoliberale che
impedisce loro di trovare una valida struttura organizzativa e un
progetto politico adeguato. Senza addentrarci in un argomento che
meriterebbe una trattazione separata, basterà citare a titolo
esemplificativo il caso greco. Qui, il ceto politico referente
dell’oligarchia è entrato in crisi, rimpiazzato dal partito di
Syriza che ha raccolto la protesta delle classi greche impoverite ed
esasperate, ma non è riuscito a tradurla in un progetto politico
realistico, a causa del pregiudizio anti-sovranista e della
accettazione acritica dell’euro e dell’Unione Europea.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br />
</span></div>
<ol start="2" type="a">
<li><div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif; font-size: small;"><i><b>Il
Partito Democratico: un peccato originale</b></i></span></div>
</li>
</ol>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La
crisi di consenso ha riguardato tutti i partiti d’Occidente
promotori della globalizzazione e della mercatizzazione della
società, coloro che, al netto delle varie e secondarie differenze
nazionali, hanno svolto il ruolo di portare le classi popolari ad
accettare l’ideologia neoliberale, in altre parole, quel ceto
politico che ha cercato di produrre egemonia culturale attiva in
favore delle oligarchie capitalistiche. In Italia questo compito è
stato assunto da vari partiti e formazioni, in particolare quelli
creatisi con l’epilogo traumatico della Prima Repubblica; ma con la
fine del decennio scorso e l’inizio di quello attuale, un nuovo
partito ha <span style="font-size: small;"><i>monopolizzato</i></span>
un tale compito, il Partito Democratico.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il
Partito Democratico nasceva su una tesi: le ideologie sono morte;
tradotto: le ideologie alternative al capitalismo e al liberalismo
sono morte e può esistere l’unica ideologia dell’assenza di
ideologie, cioè dell’ineluttabilità del processo capitalistico di
adeguamento delle strutture sociali al mercato globale. Il Partito
Democratico doveva quindi unificare quel ceto politico italiano che
più coerentemente si era proposto come referente accreditato delle
oligarchie neoliberali. In questo modo, secondo i fondatori, sarebbe
stato possibile raccogliere il consenso delle classi dominate, che
rischiava di disperdersi a causa delle divisioni politiche (anche se
non ideologiche) di quel ceto dirigente. Sembrava dovesse funzionare,
ma i fondatori non avevano fatto i conti con la Storia. Proprio
allora, infatti, l’egemonia culturale attiva, che il PD come altri
partiti in Europa, si incaricava di produrre, veniva a mancare. Il
Partito Democratico faceva il suo esordio proprio quando i suoi
omologhi occidentali (i socialisti francesi, i socialdemocratici
tedeschi, oppure i laburisti blairiani britannici) subivano un
tracollo di consensi. Un tracollo che si sarebbe rivelato non
puramente contingente, ma strutturale, perché era lo stesso modello
dell’egemonia attiva che si era deteriorato.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Essendo
costruito su questa tesi, ormai superata, il PD è un partito che
attraversa un lungo, ininterrotto e strutturale calo di consensi,
come si nota se si guardano i voti assoluti ottenuti alle varie
elezioni e l’incapacità di attrarre le classi popolari disilluse.
Esso continua a gestire il potere politico (formale) per una sorta di
inerzia delle procedure rappresentative e per quella
disorganizzazione del dissenso di cui si diceva. Tuttavia la sua
egemonia delle istituzioni rappresentative (che non è mai stata
egemonia culturale) è sempre precaria, appesa a un filo. Tutti i
segretari avvicendatisi hanno, finora, fallito il loro compito. Da
Veltroni sconfitto da Berlusconi a Renzi mai eletto, passando per
Bersani.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il
ceto politico del PD, tuttavia, non riesce ancora a comprendere
questa nuova fase storica nella quale si è entrati e a ciò si deve
la sua incapacità di analisi. Si accampano, allora, ragioni
collaterali, eventi scarsamente influenti per spiegare la sconfitta.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Renzi,
nel corso di un’intervista a </span><span style="font-size: small;"><i>Repubblica</i></span>,
alla domanda su quali siano stati i suoi errori, ha risposto: “<span style="color: black;">avrei
dovuto metterci più cuore, più valori, più ideali. Insomma, meno
efficienza e più qualità”. Non ha messo in discussione il
programma politico del suo governo, che ha anzi difeso, ma il modo di
comunicarlo. Renzi crede ancora nel progetto di egemonia attiva,
crede che sia ancora possibile coinvolgere attivamente le masse nella
strategia neoliberista che esse subiscono. Ciò è stato vero per un
certo tempo, ma oggi rischia di rivelarsi clamorosamente
anacronistico.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="color: black;">Del
resto, la cecità del ceto politico neoliberale è la stessa di
quello intellettuale. Ad esempio, molti hanno creduto di attribuire
la vittoria di Trump a una differenza di comunicazione rispetto alla
Clinton, al linguaggio semplice, diretto e “populista” del
miliardario. Ciò può essere in parte vero, ma è soltanto una causa
collaterale e secondaria. La vera ragione della vittoria di Trump non
è in una comunicazione efficace, ma nella disillusione delle classi
impoverite, degli Stati Uniti, come di tutto l’Occidente (come
dimostrano la “Brexit” e l’avanzata delle formazioni populiste)
rispetto all’ideologia neoliberale e alla sua promessa di
liberazione dell’individuo dalle strutture oppressive dello stato e
della burocrazia. Le classi popolari hanno sperimentato sulla loro
pelle le contraddizioni del neoliberismo e hanno pagato e stanno
pagando un prezzo altissimo. È quantomeno dubbio che una efficace
campagna pubblicitaria possa far dimenticare l’austerità, la
disoccupazione, la crisi economica e la sfiducia nel ceto politico
che i dominati hanno davanti agli occhi tutti i giorni, pur non
essendo capaci di comprenderlo con lucidità intellettuale, ma
</span><span style="color: black;"><span style="font-size: small;"><i>percependolo</i></span></span><span style="color: black;">
in quella famosa “durezza del vivere” sperimentata
quotidianamente. Che si possa riottenere il consenso delle masse
disilluse con una campagna pubblicitaria, senza cambiare di una
virgola la strategia politica, restando quindi nella dimensione
neoliberale, segnala che mentre le masse si disilludono (senza però
riacquistare la capacità di riaffascinarsi) il ceto politico si
illude.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il
ceto politico neoliberale, sembra, ad oggi, uno spettatore impotente
e balbettante; la questione centrale, attualmente, non è la
possibilità da parte dell’oligarchia di esercitare un’egemonia
attiva, ma la capacità o l’incapacità del dissenso di
organizzarsi. Sarà possibile che l’integrazione capitalistica
prosegua incontrastata rinunciando al consenso e avvalendosi soltanto
dell’egemonia culturale passiva, quindi dei modelli di consumo,
dell’individualismo, della sfiducia in un progetto alternativo di
società e dell’afasia del dissenso? E il dissenso, da parte sua,
per quanto potrà essere orientato verso partiti populisti
destrutturati incapaci di formulare un progetto politico
anticapitalista senza che presto maturi un disincanto anche nei loro
confronti? E sarà possibile ripensare a una politica, marxianamente,
come “movimento che abolisce lo stato di cose presente” e
progetto di rifondazione sociale? Queste sono, oggi, le domande alle
quali solo la Storia saprà rispondere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><u><a href="http://popoffquotidiano.it/2014/12/16/prodi-al-quirinale-ecco-perche-sarebbe-un-film-dellorrore/">http://popoffquotidiano.it/2014/12/16/prodi-al-quirinale-ecco-perche-sarebbe-un-film-dellorrore/</a></u></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-86877016831595946052017-03-30T22:06:00.001+02:002017-03-30T22:12:01.399+02:00La sinistra postmoderna è nata morta*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-5zia53_64BA/WN1lREGLsqI/AAAAAAAAAcY/22PE7EeXvh0uvj8gBOiLcxAZJjrY6S23ACLcB/s1600/pisapia.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-5zia53_64BA/WN1lREGLsqI/AAAAAAAAAcY/22PE7EeXvh0uvj8gBOiLcxAZJjrY6S23ACLcB/s320/pisapia.jpg" width="279" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">“Unire
la sinistra” è il vecchio appello da Seconda Repubblica caduto in
disgrazia, che talvolta qualcuno tenta di riportare in auge. Adesso è
la volta di Giuliano Pisapia che propone un cartello elettorale dai
contorni vaghi e sfumati, il “Campo progressista”, l’ennesima
riedizione delle tante “sinistre unite” fallite. Già prima
Bertinotti e poi Ferrero e Vendola provarono a inventarsi nuovi
marchi da apporre all’aggregazione multiforme che chiamavano
“sinistra”. Tutti questi schieramenti hanno fatto la stessa
triste fine.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L’ostracismo
contro le ideologie, in particolare contro la teoria marxista, diede
vita a una creatura deforme, la sinistra postmoderna, una fazione
eterogenea, senza contorni definiti, priva di una tradizione politica
– considerata un pesante fardello di cui disfarsi – con
un’organizzazione evanescente e senza una solida struttura di
partito. Tenuta assieme dal generico appellativo di “sinistra”,
non ha un fine universale, un ideale di rifondazione della società,
ma tanti piccoli scopi particolari da perseguire all’interno della
struttura sociale vigente che non viene mai criticata. Per questo
assumono un ruolo primario i diritti civili, mentre vengono
trascurati, fin quasi a dimenticarli, quelli sociali, sacrificabili
sull’altare delle “alleanze progressiste”. I diritti civili,
infatti, possono essere perseguiti all’interno dei rapporti sociali
esistenti, senza la necessità di giungere a uno scontro con le
classi dominanti, con le quali, anzi, ci si allea.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Non
a caso Pisapia intende proporre questa “unificazione” per poi
allearsi col PD, per “tirarlo” a sinistra. Uno schema tipico
della Seconda Repubblica, e a livello globale del mondo appena dopo
la caduta del Muro di Berlino; il conflitto tra socialismo e
capitalismo doveva essere surrogato dal dualismo destra/sinistra, nel
quale entrambi appartenevano non al “campo progressista” o a
quello conservatore, ma all’orizzonte capitalista da “fine della
storia”, visto come irreversibile e accettato acriticamente da
ambedue gli schieramenti teoricamente contrapposti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ma
ormai anche lo schema destra/sinistra è entrato in crisi, per
essersi manifestato per quello che è: una maschera. La “destra”
e la “sinistra” della Seconda Repubblica non corrispondono alla
“destra” e alla “sinistra” della Prima, le quali non erano
soggetti giuridici e politici, ma indicazioni “geografiche” che
dovevano essere opportunamente connotate da aggettivi (socialista,
liberale, comunista, democristiano, ecc.). Lo schema destra/sinistra
postnovecentesco è entrato in crisi in seguito al progressivo
distacco popolare, non essendo possibile scorgervi un’alternativa
reale al capitalismo neoliberale e quindi rivelandosi in farsa, puro
spettacolo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ad
esso non è ancora subentrata una rappresentazione politica adeguata,
ma va delineandosi un nuovo conflitto tra il globalismo liberista e
le resistenze nazionali, statali e antioligarchiche le quali però
presentano diverse contraddizioni e sono ancora in embrione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Compito
della politica, oggi, è dare voce a queste ultime, non attraverso
l’uso demagogico e “populistico” proprio di alcuni capi
partito, ma interrogandole, chiarificandole, criticandole e
traducendole in una teoria, una prassi strategica e un progetto di
società.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La
proposta di Pisapia, invece, ignora tutto questo e si limita a
rispolverare uno schema vecchio e superato, tutto interno alla
risonanza mediatica, incapace di fare i conti con le recenti tendenze
sociali. Il vero scopo (che egli ne sia consapevole o meno) è quello
di ricondurre il dissenso entro il recinto controllato dalle
oligarchie. Ed è questo infatti il vero significato del
“progressismo” postmoderno: a sinistra del PD, ma col PD, ovvero,
la periferia del capitalismo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="font-size: 13px;">I</span>mmagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><u><a href="http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2013/04/17/pisapia-rompe-con-vendola-e-bersani-ora-ce-renzi/15947/">http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2013/04/17/pisapia-rompe-con-vendola-e-bersani-ora-ce-renzi/15947/</a></u></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-61284293841596474392017-02-27T23:57:00.000+01:002017-02-27T23:57:54.148+01:00Uomini e robot nella società contemporanea*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-dP2jkA1b9Xw/WLSunNIUZPI/AAAAAAAAAb8/dONMS8eCfwIAJKaEQjw5EoJ_hxxQBTGKwCLcB/s1600/macchine.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="215" src="https://4.bp.blogspot.com/-dP2jkA1b9Xw/WLSunNIUZPI/AAAAAAAAAb8/dONMS8eCfwIAJKaEQjw5EoJ_hxxQBTGKwCLcB/s320/macchine.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Nel
corso di un recente discorso, il Presidente Mattarella ha fatto
riferimento al cosiddetto “Modello 4.0”, intendendo
l’introduzione di nuovo tecnologie nell’economia per rendere più
veloce ed efficiente la produzione. Il Capo dello Stato ha detto che
un simile modello potrebbe creare “forme di dualismo nella nostra
società”. Ha sottolineato, pur riconoscendone i benefici, che
“<span style="color: black;">Mentre,
da un lato, vi sarà un impatto positivo sulla produttività del
lavoro, con un ampliamento anche di opportunità per i lavori più
qualificati, dall'altro lato </span><span style="color: black;"><span style="font-size: small;"><b>è
del tutto verosimile</b></span></span><span style="color: black;">
doversi attendere </span><span style="color: black;"><span style="font-size: small;"><b>un
effetto riduttivo sulla occupazione totale</b></span></span><span style="color: black;">,
per la probabile diminuzione di posti di lavoro ripetitivo a
vantaggio della robotica. Il saldo netto tra posti di lavoro perduti
e posti di lavoro creati non è una variabile indifferente”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La
questione di cui si occupa Mattarella non è inedita, e interessa
tutte le società moderne. La meccanizzazione e computerizzazione
della produzione hanno ridotto le ore di lavoro necessarie per unità
di prodotto, questo però non ha determinato, in passato, perlomeno
nelle società europee, forti squilibri e cali occupazionali. Anzi,
nel corso degli anni Settanta l’introduzione delle tecnologie si è
accompagnata a un aumento dell’occupazione e dei redditi da lavoro.
Questo fondamentalmente per due ragioni.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Innanzitutto
perché questo processo è avvenuto in un contesto politico-economico
nel quale gli stati e le aziende esigevano un aumento del capitale
investito e un incremento generalizzato dei consumi. Inoltre, si è
avuto entro una cornice legislativa di forte tutela dei ceti
medio-bassi e dei lavoratori.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Occorre
sottolinearlo, perché i mutamenti tecnologici e lo sviluppo della
tecnica, per quanto repentini, non provocano necessariamente disagi e
“dualismi”. Questi si verificano solo entro un certo tipo di
scenario politico, economico, giuridico e anche culturale, nel quale
non vi è spazio per i due fattori di cui si è detto: ovvero
investimenti (sostenuti spesso dalla mano pubblica) e tutele del
lavoro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">È
evidente che nell'assetto attuale un simile scenario sia del tutto
venuto meno, sostituito dalla deregolamentazione dei mercati e
dall'abolizione delle tutele. Le imprese tendono a disinvestire, non
a investire e gli stati non fanno nulla per opporsi a questa tendenza
e ansi spesso la agevolano. Inoltre gli sviluppi della tecnica sono
giunti al punto da far prevedere in tempi relativamente brevi la
scomparsa di interi settori della manodopera e aree di impiego del
lavoro umano sostituiti da processi produttivi interamente
meccanizzati. Il lavoro sembra spostarsi sempre più dalla manodopera
alle attività tecnico-intellettuali, e anche per queste ultime si
può prevedere una riduzione del monte ore necessarie.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Sembrerebbe
quindi inevitabile la crescita di una massa enorme di disoccupati
esclusi dal lavoro e sostituiti dalle macchine, con tutte le ricadute
sociale che ciò può comportare.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">In
realtà, una simile eventualità non è affatto una necessità
“intrinseca” dell'evoluzione dei mezzi produttivi. La tecnica non
è mai una componente “neutra” e una variabile indipendente, essa
opera sempre in combinazione con altre, che ne determinano gli
effetti.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">In
un contesto di liberalizzazione totale dei mercati e dei capitali, di
deregolamentazione, di cancellazione delle tutele e di implosione del
controllo statale sull'economia le conseguenze della meccanizzazione
e digitalizzazione sembrano andare nella direzione paventata dai
pessimisti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Considerare,
però, un simile scenario come inevitabile, ha gli stessi effetti di
una “profezia autoavverante”, la sottovalutazione del potenziale
delle altre componenti (politica, economia, diritto, cultura,
tensioni sociali, ecc.) conduce a sopravvalutare quello della
tecnica. Ciò vale sia per i profeti “pessimisti” che vedono la
tecnica come una potenza distruttrice autonoma da tutto il resto, sia
per gli “ottimisti” che invece ne auspicano la continua
evoluzione come fatto intrinsecamente benefico.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Si
può invece comprendere il ruolo della tecnica nella nostra società,
in rapporto al lavoro, come ad altri aspetti, solo se lo si considera
come interdipendente e sempre combinato con altri. La disoccupazione
“tecnologica”, non è in realtà il risultato del semplice
progresso della conoscenza scientifica e dall'applicazione su larga
scala di mezzi efficienti. È, invece, la conseguenza
dell'interazione del progresso tecnico con lo scenario sociale
complessivo. Più che essere gli assetti sociali determinati dalla
tecnica, è anche e soprattutto quest'ultima a essere orientata dai
primi. Questo significa che l'incontrollabilità della tecnica è una
forma di superstizione che deriva dall'inconsapevolezza del ruolo
giocato dalle altre componenti. Se queste ultime ultime sono
considerate, magari implicitamente e acriticamente, come date una
volta per tutte, è chiaro che la tecnica emerge come potenza
inarrestabile e insensata.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Questo
errore emerge anche nel discorso di Mattarella, il quale vuole
mettere in guardia dalle “logiche protezionistiche del proprio
mercato” e dalla “illusoria difesa dei propri apparati
produttivi”, quasi che la rinuncia alla “sollecitazione della
concorrenza” sia impensabile e inconcepibile.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Prima
si afferma l'immutabilità dell'unico mondo possibile dell'economia
globalizzata, e poi si presentano come<span style="font-size: small;"><i>
problematici </i></span>i
risvolti del progresso tecnico, ignorando, e ostinandosi a ignorare,
che questi ultimi non sussistono nel nulla, ma operano in una cornice
che si è già definita come inalterabile e indiscutibile. La
politica, al contrario, dovrebbe adoperare un approccio “laico”,
ai problemi sociali, che cioè sia libero da dogmi e assunti
acritici, quali quelli della religione del libero mercato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><u>http://www.ansamed.info/motori/notizie/rubriche/industriamercato/2012/08/02/Renault-piu-25-produzione-motori-Brasile_7282651.html</u></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-44764268720454965012017-02-27T23:51:00.001+01:002017-02-27T23:52:12.722+01:00Renzi e Grillo: l’affinità oltre l’apparenza*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-6WVk_1BJpWk/WLStT2RIUMI/AAAAAAAAAbw/AhvQQVtgnL4F1EHJ62InOKNEzrPXarYaQCLcB/s1600/renzi-grillo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="194" src="https://3.bp.blogspot.com/-6WVk_1BJpWk/WLStT2RIUMI/AAAAAAAAAbw/AhvQQVtgnL4F1EHJ62InOKNEzrPXarYaQCLcB/s320/renzi-grillo.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Sono
i due antagonisti che si contendono i palcoscenici mediatici, in
realtà Renzi e Grillo sono molto più simili di quanto a prima vista
possa sembrare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Entrambi
hanno in comune la lontananza e l’avversità alla politica come
origine della loro ascesa: l’uno si è infatti affermato al di
fuori delle procedure del suo stesso partito e ricercando l’appoggio
della finanza. L’altro è un comico, abituato a riempire i teatri
con spettacoli di cabaret “impegnato”. Tutti e due sono
accomunati dal rifiuto della politica, perlomeno nella sua accezione
più piena e tradizionale, e dalla padronanza degli strumenti
comunicativi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Renzi
deve la sua ascesa alla retorica della “rottamazione”, con la
quale egli si è presentato come liquidatore della “vecchia
politica”, ovvero di una concezione “forte” dell’agire
politico, intesa come strategia codificata fondata su un apparato
dottrinario. Alla “vecchia politica”, che è poi la politica in
senso proprio, Renzi ha inteso sostituire la gestione del consenso
passivo delle masse attraverso i media, liquidando quello che
rimaneva della tradizione della sinistra italiana della Prima
Repubblica, prima di lui ancora in parte presente, anche se solo a
livello simbolico. Dalla politica come progettazione della società
su basi razionali, si è passati alla post-politica come
“contenimento” del malcontento generato dalla delega delle
funzioni amministrative al mercato. Certo, Renzi non è l’unico a
farsi promotore della post-politica – egli è semmai un prodotto –
ma è il punto terminale di un processo avviato ufficialmente nel
1991 con lo scioglimento del PCI in Italia e con il crollo dell’URSS
sul piano internazionale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Anche
l’ascesa di Grillo si deve alla sua contestazione della politica,
una contestazione molto simile a quella di Renzi, non fosse per
l’accentuazione degli aspetti più radicali (ad esempio la proposta
di abolizione dei partiti). Anche Grillo e il “grillismo”, come
l’ex sindaco di Firenze, rifiutano le ideologie e la dialettica di
partito. La differenza è che mentre quest’ultimo aveva una
tradizione alle spalle con cui fare i conti, e ha potuto
rappresentarsi come il “curatore fallimentare” di questa
tradizione, Grillo e i suoi seguaci non avevano nessuna storia
politica. Essi nascono dal rifiuto della “società civile” per la
politica considerata corrotta per definizione. Costituiscono perciò
la contraddizione tra questo rifiuto (che però non può tradursi in
un ripiegamento intimistico come in altre epoche, dato il carattere
fortemente esibizionista della postmodernità) e l’impulso a
“fare”, che in realtà è un impulso alla comunicazione
amplificata, qual è quella tipica di internet. Questa protesta non
dialetizzata (e – solo apparentemente – “spontanea”) perché
espressa in un contesto dove mancano strutture di mediazione, non può
che manifestarsi in una ribellione nichilistica contro gli apparati
politici (non accorgendosi che in realtà ormai sono solo gusci
vuoti) volta alla distruzione senza progettualità. Anzi, essa è
proprio la distruzione di ogni progettualità. Unica costante del
discorso dei Cinque Stelle è la rivendicazione di una “onestà”
personale contrapposta alla “disonestà” del “sistema”.
L’autoreferenzialità è proprio una caratteristica saliente della
post-politica. Per il resto soltanto singhiozzi e balbettii persino
contraddittori.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Sia
in Renzi che in Grillo manca una critica della società, quindi anche
qualsiasi proposta di rifondazione della stessa; ed è inevitabile,
dato che essi hanno tagliato tutti i ponti col passato. Non può
esserci critica, infatti, senza anamnesi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il
loro ruolo è appunto quello di impedire la rinascita di un filone
critico, gestire la protesta “spontanea” e incanalarla su
obiettivi del tutto secondari. La rabbia collettiva viene diretta
contro la politica, la cui è assenza è in verità proprio la causa
dell’insoddisfazione generale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Si
può dire che se l'ex segretario del Pd è il momento affermativo della
post-politica, il fondatore dei Cinque Stelle è quello negativo, ma
entrambi rappresentano la rinuncia alla politica e l’accettazione
del mercato quale unico regolatore – o <span style="font-size: small;"><i>deregolatore</i></span>,
per meglio dire – della società.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><u>http://www.europaquotidiano.it/2014/05/06/scontro-a-due-renzi-picchia-su-grillo-e-cresce-nei-sondaggi/</u></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-4510657783223785572017-01-31T18:40:00.001+01:002017-01-31T18:41:09.806+01:00Dall'entusiasmo edonistico al disincanto rinunciatario*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-MNZX4tFvMBc/WJDMD7vo7wI/AAAAAAAAAbc/MvGc6kZxJrM8womvuvTsUfpLj2LRiV3sACLcB/s1600/reagan%2Bthatcher.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="181" src="https://4.bp.blogspot.com/-MNZX4tFvMBc/WJDMD7vo7wI/AAAAAAAAAbc/MvGc6kZxJrM8womvuvTsUfpLj2LRiV3sACLcB/s320/reagan%2Bthatcher.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Un recente sondaggio dell'Agenzia SWG
rileva un dato molto interessante. Il 32% degli italiani si definisce
anticapitalista, mentre solo un quarto degli intervistati si dice
pro-capitalista. Inoltre il 36% si dichiara per “un modello
post-capitalista basato su un economia più armonica, solidale e
condivisa”, il 26 a favore di “un modello comunitario basato su
forme di impresa meno incentrate sul profitto” e soltanto il 23 si
dice favorevole a un modello capitalistico; ma anche tra questi il 13
vorrebbe un maggior controllo dell'economia da parte dello Stato. È
un risultato sorprendente considerato il contesto nel quale è
maturato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Questa sfiducia nel sistema economico
dominante, mai così egemonico dal punto di vista politico e
culturale, prolifera nella pressoché totale assenza di una proposta
alternativa, con i vari partiti di opposizione occupati in questioni
più o meno irrilevanti (le unioni civili quelli “di sinistra”, i
campi nomadi e i centri di accoglienza quelli “di destra”, i
vitalizi quelli “né di destra né di sinistra”). In ogni caso
mai nessun attore politico osa mettere in discussione l'economia nel
suo complesso o accenna una qualche critica al capitalismo, cosa
invece piuttosto comune fino a trenta o quarant'anni fa.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Lo scenario può apparire per molti
versi paradossale. In una fase di massima debolezza economica del
capitalismo dal dopoguerra a oggi, si ha una situazione di massima
forza dal punto di vista politico. Ovvero, nonostante una crisi senza
precedenti in Italia e in Europa, e per intensità e per durata, mai
si è stati così lontani come oggi dalla possibilità di un
rovesciamento dei rapporti economici e del modo di produzione in
vigore. Nello stesso tempo però non c'è un consenso alla base di
questa egemonia: non è la sanzione del successo degli apparati di
propaganda del potere, se con ciò si intende la persuasione
collettiva della bontà del sistema. Questo ci dice due cose:
innanzitutto è l'ulteriore conferma che tra fattori economici ed
esiti politici non c'è un rapporto meccanico di necessità. Una
disfunzione economica del sistema può tradursi in funzione politica,
e viceversa. Se si guarda alla caduta dello storico avversario del
capitalismo occidentale, ovvero l'Unione sovietica si scopre un
andamento inverso: a una stabilità e funzionalità sul piano
economico è corrisposta una crisi politica, che in seguito (ma solo
in seguito!) è andata a intaccare anche la sfera materiale della
produzione. La crisi economica non apre necessariamente nuovi spazi
per le forze di dissenso (dissenso ovviamente “sistemico”) come a
lungo ha creduto un anticapitalismo ingenuo. Ma la grande novità di
questi tempi è che non è il consenso ideologico a consolidare
l'egemonia. Questo, lungi dall'essere cresciuto, si è costantemente
ridotto negli ultimi vent'anni. Risulta evidente il fallimento del
capitalismo sul piano delle promesse di affrancamento dell'individuo.
Il mito del successo individuale, che fino agli anni Ottanta poteva
ancora sedurre, nonostante l'opposizione culturale allora ben
presente, ha oggi perduto mordente. Non che l'individualismo non sia
ancora, e forse persino meglio, radicato nella società. Ma non porta
più con sé quell'ottimismo, quella spinta vitale, quella fede quasi
religiosa nell'individualità desocializzata. È invece un
individualismo del “si salvi chi può”, accompagnato dalla
rassegnazione, dallo sconforto, dalla depressione. La competizione
spietata non avviene più tanto, per le classi medie, all'insegna
dell'ambizione personale, ma della paura. È il terrore
dell'esclusione sociale e della perdita il vero motore, non la
fiducia in un avvenire migliore attraverso l'affermazione
individuale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La mutazione del paradigma può essere
rappresentata da due figure che hanno segnato il consolidamento
politico del capitalismo negli anni Ottanta. Da una parte il
Presidente americano Ronald Reagan, dall'altro il Primo Ministro
britannico Margaret Tahtcher. Entrambi sono dei sostenitori
dell'economia neoliberista, entrambi propugnano uno “Stato minimo”
e un mercato deregolamentato, entrambi esaltano l'iniziativa
individuale e screditano la cooperazione sociale, ma c'è una
differenza. Mentre Reagan è il cantore dell'edonismo capitalista che
esala il suo ultimo respiro, il “colpo di coda”
dell'individualismo ottimista, spensierato e spietato, che ha il suo
punto di riferimento nei giovani arrivisti agenti di borsa di Wall
Steet, la Thatcher è invece a pieno titolo profeta del nuovo
capitalismo postmoderno, che fa della rassegnazione e
dell'accettazione passiva il proprio perno ideologico. Non a caso lo
slogan della campagna elettorale di Reagn era “Make America Great
Again”, “Rendere l'America di nuovo grande”, mentre il motto
del Capo di Governo inglese è espresso dall'acronimo TINA, “There
Is No Alternative”, non esiste alternativa al liberal-capitalismo,
piaccia o non piaccia. Non si tratta più di convincere circa
presunti benefici del perseguire una piena restaurazione neoliberale,
ma di affermare che sia l'unica possibile, che non sia data altra
scelta. Il consenso, ammesso che consenso debba e possa esserci, è
un consenso passivo, che nutre poche illusioni riguardo al modello di
società esistente, ma che lo considera come ineluttabile, alla
stregua di una catastrofe naturale cui non c'è rimedio ma a cui
bisogna adattarsi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">In Italia questo “passaggio di
consegne” può essere individuato nel periodo che va dall'ascesa di
Silvio Berlusconi alla nomina di Mario Monti. Il Berlusconi del primo
periodo, l'imprenditore televisivo e l'esordiente politico atipico
(da distinguere da quello degli anni Duemila) è un entusiasta
fautore delle liberalizzazioni e della “libertà” dagli apparati
burocratici e dallo Stato, che promette un risveglio gioioso dal
grigiore dei burocrati, è il Berlusconi delle reti commerciali e del
“milione di posti di lavoro”, con la sua personalità esuberante
ed egocentrica; Monti, al contrario, arriva quando si è già
consumato il fallimento di un simile paradigma cui egli dà il colpo
di grazia: non promette amenità, ma “sacrifici”, non benessere,
ma “austerità” e “rigore”, non più lavoro bensì impieghi
peggiori eppure inevitabili; “i<span style="color: black;">
giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per
tutta la vita</span><span style="color: #222222;"><span style="font-size: 10pt;">”
</span></span><span style="color: black;">furono
le sue parole. Significativo è anche il modo in cui queste due
differenti figure sono giunte ai vertici del governo. L'imprenditore
milanese attraverso una campagna elettorale condotta con le armi del
marketing e del venditore astuto, arrivando a gestire il consenso in
modo quasi plebiscitario, l'economista bocconiano, invece, per mezzo
di una nomina “dall'alto” delle istituzioni europee e della
finanza, senza riscuotere successo alle elezioni.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Anche quelle forze che vorrebbero
proporre un'alternativa al modello socio-economico dominante, hanno
finito per cadere nella rete della rassegnazione e del consenso
passivo. O si sono adagiate in una nicchia culturale, nutrendo la
retorica del “meno peggiore” (Meglio Prodi che Berlusconi, più
recentemente negli Stati Uniti meglio Clinton che Trump, come ha
sostenuto il candidato “socialista” Sanders) o non sono state in
grado di perseguire, con la coerenza estrema richiesta in questi
casi, i principi che si erano dati, come è il caso della parabola di
Syriza in Grecia che ha finito per giustificare la tirannia
finanziaria della Troika dopo averla per anni osteggiata.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L'obiettivo delle forze
anticapitaliste, che hanno un potenziale notevole come testimonia il
sondaggio, non può essere quello di scegliere tra due profili quasi
identici, i quali dichiarano a gran voce una contrapposizione
radicale sulle minuzie, ma che presuppongono un tacito accordo sulle
questioni fondamentali, evitando di mettere in discussione il
liberal-capitalismo, né quello di limitarsi alla denuncia degli
orrori e delle promesse non mantenute di quest'ultimo, di cui ormai
forse neppure i suoi più irriducibili propugnatori si curano, ma di
tornare a ciò che hanno smesso di fare, ripensare a un nuovo tipo di
società e mostrarne la concreta realizzabilità. Ribaltando
l'argomento del capitalismo postmoderno che, irridente, elude il
confronto ideologico e bolla come utopistici i progetti antiliberisti
e anticapitalistici di rifondazione della società, bisogna palesare
l'elemento superstizioso nella credenza dell'ineluttabilità
“naturalistica” di un prodotto umano e sostenere il realismo di
un progetto politico che non si rassegna al dato e che invece di
concepire l'agire umano come un risultato esclusivo delle forze
economiche impersonali, sottolinea come anche queste ultime siano la
risultante del primo, e perciò tutt'altro che immutabili.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><a href="http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/il-segno-del-comando-iii/424/default.aspx">http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/il-segno-del-comando-iii/424/default.aspx</a></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-20139632245266563022017-01-31T18:37:00.000+01:002017-01-31T20:57:35.251+01:00La politica dell'inutile*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-9I5PJIWuBoM/WJDLMo8aUNI/AAAAAAAAAbU/hlNO3PIFgpUYbzkiI9Lyft50C7wOVJa_wCLcB/s1600/inutilit%25C3%25A0.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="232" src="https://2.bp.blogspot.com/-9I5PJIWuBoM/WJDLMo8aUNI/AAAAAAAAAbU/hlNO3PIFgpUYbzkiI9Lyft50C7wOVJa_wCLcB/s320/inutilit%25C3%25A0.jpeg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L'euforia delle elezioni amministrative
appena concluse, che più che una prassi democratica sono in verità
un evento mediatico, trattate quasi come una gara sportiva, ha
invertito il mezzo e il fine. Le elezioni non sono più uno strumento
(tra l'altro molto sopravvalutato) che permette al popolo di decidere
del proprio destino, ma un avvenimento che di per sé segna le
“tendenze”, che piacciono tanto ai sondaggisti. Exit-poll,
proiezioni, sondaggi e tutte le indagini statistiche che stabiliscono
cosa l'elettore voterebbe prima ancora che lo faccia, indicano la
mediatizzazione di un rito istituzionale, nel quale previsione e
condizionamento si confondono.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L'anticipazione del futuro è tipica
della nostra epoca, bisogna sapere cosa accadrà prima ancora che
accada e rendere il futuro un momento del presente, mentre sia l'uno
che l'altro sono sottratti alla volontà individuale.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La politica è ormai un programma di un
palinsesto televisivo, nulla di più. Al di fuori dell'iperreale,
quale incidenza ha veramente sulla società? Se la vita di ogni
persona è affidata del tutto al mercato, essa ha ben poche chance di
essere qualcosa di più del marketing elettorale fatto da
statistiche, sondaggi e slogan, che insegue i “gusti” degli
elettori-consumatori, opportunamente orientati e pre-selezionati dal
mercato stesso. La politica è la pianificazione collettiva
dell'esistenza sociale. L'economia capitalistica postmoderna, invece,
esclude qualsiasi pianificazione che non sia quella orientata alla
vendita e alla massimizzazione dei profitti. Si può prevedere ciò
che sarà, ma dovrà stabilirlo non il politico, non l'elettore, ma
il mercato, questo tiranno assoluto che viene paradossalmente
definito “libero”. Al “popolo sovrano”, celebrato da leggi e
costituzioni, non resta che decidere sul superfluo, scegliere tra ciò
che non conta e non avrà effetti di rilievo, perché tutto il resto
è già stato deciso senza consultarlo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">I protagonisti di queste elezioni, il
Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle, così come gli
attori non protagonisti e le semplici comparse di questa farsa, si
sono perfettamente adattati all'ininfluenza cui l'economia ha
condannato la politica. La loro capacità è stata quella di ricavare
uno spazio in questo nulla. Il PD si è assunto il compito di
liquidare qualsiasi barlume di critica del capitalismo. Questo
compito è stato portato a termine con successo. Proprio questo
successo lo ha condotto alla crisi, una prima, iniziata con Bersani e
conclusasi con l'ascesa di Renzi, e probabilmente una seconda che sta
cominciando ora. Il suo compito ormai si è esaurito, l'accettazione
del “cambiamento”, ovvero del passaggio dallo stato sociale al
neoliberismo più estremo, si è ormai quasi conclusa, di qui la
difficoltà per esso di trovare nuovo slancio. L'intervento di Renzi
è per lo più una postilla in questo processo, un mutamento del
lessico che elide gli ultimi retaggi del passato. Ma portare sempre
oltre questa “rottamazione” diventa via via più difficile una
volta che tutti i tabù sono stati infranti e non resta più niente
della “vecchia politica” pianificatrice da distruggere e
dileggiare con furia iconoclasta. I lavoratori si possono licenziare
e buttare via come le merci che devono produrre a ritmo crescente,
l'anarchia del mercato è entrata in qualsiasi settore, la lingua si
è anglicizzata e mediatizzata. Resta ben poco, ormai, da rottamare.
Semmai il problema diventa quello di mantenere un simile stato di
cose una volta morta l'illusione dell'Eden capitalistico che tanto
successo riscosse negli anni Ottanta e Novanta. Il prodotto
inevitabile della disillusione è la frustrazione e
l'insoddisfazione. Nonostante l'incapacità dell'individuo di oggi di
tradurre politicamente e in un contesto pubblico questa
insoddisfazione esiste sempre il rischio che possa tracimare oltre la
soglia consentita. Il problema allora diventa quello di orientare e
manipolare non tanto il consenso, di cui il potere odierno ha ben
poca necessità, ma il dissenso. E a questo problema risponde in modo
più avanzato il Movimento Cinque Stelle. Fin dalla sua comparsa, e
anzi proprio per costituzione, fa a meno del “convincere” e del
“credere”, presupposti irrinunciabili della Prima Repubblica, cui
persino il più cinico politicante non poteva fare del tutto a meno.
Il Movimento Cinque Stelle non ha bisogno di persuadere nessuno, non
ha alcun progetto da spiegare, al contrario, esso assorbe ciò che
trova già pronto, senza nemmeno preoccuparsi della coerenza interna.
Chi vi aderisce non deve credere in nulla; l'atto costitutivo dei
Cinque Stelle nasce proprio dalla rinuncia alle ideologie. La
protesta è perciò disinnescata già in partenza. Essa è più
l'espressione di un malcontento immediato e irriflessivo che una
minaccia per l'ordine corrente. Il furore viene orientato verso ciò
che è immediatamente individuabile e nello stesso tempo scarsamente
rilevante. È proprio questo suo essere “minaccia innocua” per
usare un ossimoro, che rende il Movimento Cinque Stelle tanto
mediaticamente visibile quanto politicamente inefficace. Questo
composto di accettazione dell'esistente e protesta inoffensiva ne
spiega la vittoria e l'esito delle ultime e forse delle future
elezioni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: black; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><u><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Matteo_Renzi">https://it.wikipedia.org/wiki/Matteo_Renzi</a></u></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-23990478072998587662016-12-30T01:41:00.000+01:002016-12-30T01:42:23.137+01:00Controstoria dei radicali*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-rfyYTiziZ2g/WGWsl0-MkuI/AAAAAAAAAbA/IGT79b_2bgMUByZaFRku49K0QDdD8bn9QCLcB/s1600/bonino-pannella.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="237" src="https://1.bp.blogspot.com/-rfyYTiziZ2g/WGWsl0-MkuI/AAAAAAAAAbA/IGT79b_2bgMUByZaFRku49K0QDdD8bn9QCLcB/s320/bonino-pannella.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il Partito Radicale, come si sa, gode
di grande considerazione presso la stampa, in particolare tra quella
cosiddetta “moderata” (con evidente cortocircuito lessicale). È
stimato, in particolare per i suoi dirigenti storici, lo scomparso
Marco Pannella ed Emma Bonino, anche da molti di coloro che non ne
condividono tutte le posizioni ma lo considerano come un fattore
fondamentale dell'ammodernamento dei costumi italiani. Si pensa ai
radicali come la forza trainante della secolarizzazione dell'Italia a
cavallo tra anni Settanta e Ottanta, in particolare con le lotte in
favore del divorzio e dell'aborto. In realtà la loro influenza in
questo senso è di molto sopravvalutata. Il divorzio fu reso legale
da una legge del 1974 promossa da liberali e socialisti, e
successivamente convalidata in seguito al referendum abrogativo. Per
il no, e quindi a favore del divorzio, si schierarono non soltanto i
radicali, ma anche i socialisti, i comunisti, i repubblicani, i
liberali e i socialdemocratici più una parte dell'area cattolica. Il
maggior contributo, dunque, si deve ai primi due, che potevano
portare il maggior numero di consensi, senza dubbio molti di più di
quelli dei radicali. Sostennero il sì, invece, soltanto la DC e il
MSI. Per quanto riguarda l'aborto, la cui regolamentazione si deve
alla famosa legge 194 del 1978, i radicali promossero un referendum
nel 1981 per modificare la legge in senso meno restrittivo,
perdendolo. Per l'altro quesito promosso dal Movimento per la Vita,
che invece chiedeva maggiori restrizioni, anche in questo caso uno
schieramento variegato si oppose alla modifica. L'importanza dei
radicali nel processo di secolarizzazione è quindi di molto
sopravvalutata, a causa di letture che li considerano i fautori quasi
solitari di battaglie per i diritti civili in un'Italia bigotta. La
realtà è che ci fu un fronte comune e pressoché trasversale, ad
esclusione delle forze più conservatrici, di cui i radicali non
erano che una parte e per di più minoritaria.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La politica di Pannella e del suo
partito è stata improntata a una scaltrezza spregiudicata e a un
abile uso dei media, anche con azioni clamorose (scioperi della
fame, della sete, ecc., oggi in realtà decisamente inflazionati). Si
aggregarono alla sinistra negli anni Sessanta e Settanta, sfruttando
la scia dei movimenti di protesta, negli anni Novanta si allearono
con Berlusconi, ottenendo in questo modo un'ampia visibilità che gli
avrebbe permesso di raggiungere il loro massimo storico alle elezioni
europee del '99. Un altro mutamento è quello che li portò da
fautori del pacifismo che richiedevano persino l'abolizione degli
eserciti e rigorosamente anti-interventisti (contro la guerra in
Vietnam e la NATO) ad appoggiare le guerre americane. Nel 1992 la
Guerra del Golfo ne segnò una svolta verso posizioni interventiste.
Nel 2006 Emma Bonino dichiarava, a proposito dell'occupazione
dell'Afghanistan (cui il nostro paese partecipava): “<span style="color: black;">Questa
è una missione delle Nazioni Unite, in cui un governo eletto
democraticamente ci chiede di restare e anzi di fare di più. Lo
stesso chiede la società civile. Quali sono allora le motivazioni
per cui dovremmo andarcene? Solo quelle ideologiche? Io credo che un
Paese che vuole crescere sulla scena internazionale deve prendersi la
responsabilità di non abbandonare a metà strada una nazione che sta
cambiando”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="color: black;">La
politica camaleontica sulle alleanze e le questioni estere, si
affianca a certe costanti: il liberismo economico, l'opposizione alla
cosiddetta “partitocrazia”, il cosmopolitismo. Nel 1994 i
radicali promossero una serie di referendum. Chiesero in particolare
l'abrogazione della legge che disciplinava il commercio, la
liberalizzazione degli orari degli esercizi e la privatizzazione
della RAI. Furono anche da sempre fermamente contrari al
finanziamento ai partiti, per abolire il quale si fecero promotori di
due referendum, il primo lo persero nel 1978, il secondo lo vinsero,
nel 1993, sull'onda di Tangentopoli. Hanno sostenuto da sempre il
superamento delle nazioni; in un documento del 1960 chiedevano “la
federazione europea da perseguirsi immediatamente attraverso elezioni
dirette” anticipando così l'europeismo di alcuni decenni dopo. Nel
1989 cambiarono nome in “Partito Radicale Transnazionale”, per
sottolineare il loro carattere anti-nazionale. </span>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="color: black;">I
radicali presentano il profilo esatto di un partito liberale
classico. Rispetto al PLI, da cui nacquero attraverso scissione, si
distinguono per l'attivismo, il dinamismo e la spregiudicatezza nelle
alleanze. Sarebbe sbagliato concepirli meramente come una forza
impegnata per i diritti civili. È grazie alle campagne per questi
ultimi e alla capacità di inserirsi nei movimenti di protesta degli
anni Sessanta e Settanta che spesso a sinistra si ha di loro un
giudizio positivo. In realtà il pacifismo di quell'epoca non fu mai
antimperialismo, e per questo poté rovesciarsi nel suo contrario,
cioè il sostegno alle offensive statunitensi degli anni Novanta e
Duemila. Seppero sfruttare il sentimento antipolitico che montava con
Tangentopoli: ma più che dal populismo ingenuo tipico del periodo
successivo, erano ispirati dal tentativo di indebolire la politica di
fronte all'economia.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Per
quanto questo partito sia ormai vicino all'estinzione e abbia
esaurito quasi del tutto la sua capacità attrattiva, ha anticipato
alcune tendenze che si sarebbero manifestate nella società italiana.
Soprattutto, una nuova forma di attivismo che avrebbe segnato lo
scarto tra la sinistra postmoderna e quella moderna: l'oblio della
questione sociale e l'assenza di una critica dell'ordine
socio-economico, l'allineamento all'egemonia degli Stati Uniti e
l'insistenza esclusiva sui diritti civili pur in presenza di una
restaurazione liberal-capitalistica che veniva accettata
integralmente.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="color: black; font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div style="background-color: white; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: </span><span style="background-color: transparent;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><a href="http://www.corriere.it/politica/15_luglio_29/pannella-lite-bonino-stanze-separate-1194edec-35bd-11e5-b050-7dc71ce7db4c.shtml">http://www.corriere.it/politica/15_luglio_29/pannella-lite-bonino-stanze-separate-1194edec-35bd-11e5-b050-7dc71ce7db4c.shtml</a></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-88201051706358932262016-12-30T01:34:00.004+01:002016-12-30T01:43:05.636+01:00Dal PCI berlingueriano al PD renziano. Nel segno della continuità*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/--W6M-c9i3FU/WGWrVkDtmQI/AAAAAAAAAa4/vR8cSWJ4KLsXf3Zonf2WFlyGUO8J2luFACLcB/s1600/Napolitano_Berlinguer.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://4.bp.blogspot.com/--W6M-c9i3FU/WGWrVkDtmQI/AAAAAAAAAa4/vR8cSWJ4KLsXf3Zonf2WFlyGUO8J2luFACLcB/s320/Napolitano_Berlinguer.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Tanto la nostalgia quanto la
demonizzazione del passato sono atteggiamenti inadatti a
comprenderlo. Se con la prima, infatti, si rischia di mitizzare un
periodo trascorso, caricandolo di un valore che storicamente non gli
è proprio, con l'altra si proiettano le ansie e le paure tipiche del
presente nel passato allo scopo di scongiurarle. In entrambi i casi
si tratta di un processo di <i>transfert</i>,
più che di una lucida analisi storica, che confonde i caratteri
propri di un'epoca con quelli di un'altra. Il problema non è da
poco. Lo sguardo retrospettivo non è mai neutro; esso non solo è
commisto alle determinazioni ideologiche del soggetto che lo compie,
fosse anche il più lucido osservatore, ma spesso è contaminato dai
sentimenti che gli sono propri e che sono tipici di quella data epoca
dalla quale egli si volta indietro a guardare. Ciò vale in
particolar modo per quel passato più prossimo, quello, cioè, che si
fa ancora fatica a distinguere dal presente e che in esso trascolora.
Questo passato così contiguo interroga direttamente l'attualità, in
un modo così chiaro e diretto che spesso è facile confondere l'una
con l'altro.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il trascorso della
sinistra italiana appartiene a quei temi che, spesso, per il modo in
cui vengono trattati, rivelano più sui soggetti che sugli oggetti
della trattazione. Il Partito Comunista Italiano, in particolare
quello del periodo che va dalla segreteria di Berlinguer al suo
scioglimento e di cui qui ci occupiamo, è per molti versi ancora un
oggetto sconosciuto. Ritardo della sinistra in Italia che non è mai
riuscita ad adattarsi alla mutata cornice storica, se non troppo
tardi, o momento della massima espressione e del massimo traguardo di
questa sinistra, inopinatamente interrotto per gli errori grossolani
dei suoi ultimi dirigenti; oppure: è stato giustamente interrotto,
ma non si è riusciti a porre le basi per qualcosa che ne conservasse
il motivo progressista a causa della nascita del PD, il quale ha
bloccato qualsiasi tentativo in tal senso; o ancora, la nascita del
PD era anch'essa necessaria, la sua conduzione da parte dei suoi capi
del tutto sbagliata.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Queste sono, più o
meno, le convinzioni più diffuse in merito. Diverse, ma tutte
accomunate tra loro dall'idea che la storia italiana degli ultimi
decenni (e, forse, nell'opinione dei loro sostenitori, la storia in
generale) proceda a balzi e singhiozzi, sia fatta di rotture e virate
improvvise, e dipenda in sostanza quasi esclusivamente dalle
decisioni di singoli. “Svolta” è, non a caso, una parola che
ricorre spesso quando si tenta di raccontare questi avvenimenti. Ma
non si afferra che anche queste “svolte” hanno dietro di sé un
processo preparatorio fatto di tante altre piccole "svolte" meno
visibili.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La storia della
sinistra italiana da Berlinguer a Renzi, per quanta differenza possa
esserci tra questi due punti estremi se considerati isolatamente, è
una transizione continua e graduale, che segue due direttive
principali, sempre quelle per tutto questo periodo, e che non
contempla brusche sterzate.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Queste
due direttive sono: accreditamento presso le potenze straniere e i
poteri economici; slittamento dalla questione sociale alla questione
morale. A ben vedere queste due direttive possono essere comprese in
una sola: fuga dal conflitto o, qualora questo sia inevitabile, sua
attenuazione. La seconda direttiva può essere sussunta sotto la
prima, la moralizzazione della politica è funzionale proprio alla
sanzione della tregua, una tregua da perseguire a tutti i costi – e
che infine è divenuta un'alleanza – con i poteri ostili.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">A seguito del colpo
di stato in Cile, con il quale il generale Pinochet rovesciò il
governo di Allende, Berlinguer espose la tesi secondo cui i comunisti
non avrebbero potuto governare da soli, ma avrebbero dovuto ricercare
l'accordo con le altre “forze democratiche”. Ciò in ragione del
fatto che nell'area atlantica non era possibile per i partiti
socialisti e comunisti governare senza subire forti pressioni e
tensioni destabilizzanti che avrebbero portato a una situazione
simile a quella cilena.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La strategia
berlingueriana era pertanto fin dall'inizio improntata alla ricerca
dell'accordo “con il nemico”, e all'abbandono di una prospettiva
rivoluzionaria (che il PCI, nei fatti, aveva abbandonato da tempo, ma
che ora veniva teorizzata, seppure non esclusa del tutto o rimandata
ad altri momenti).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Berlinguer cercava
di ottenere dagli americani il riconoscimento di interlocutore
affidabile. Escludendo la possibilità di una transizione socialista
in Italia, e quindi accettando come inalterabili gli assetti
internazionali e l'egemonia atlantica sull'Europa occidentale
(l'eurocomunismo avrebbe dovuto servire proprio a questo scopo)
pensava di rassicurare gli americani e di permettere in questo modo
l'esordio del PCI al governo. Tre anni più tardi, infatti, nel 1976,
Berlinguer riconobbe la NATO come “scudo” protettivo e fattore di
stabilità rendendo ancor più espliciti i suoi intenti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">In questo modo
sperava di preparare il compromesso con l'avversario interno, la
Democrazia Cristiana. Sia l'opposizione politica che quella sociale
del PCI fu pertanto attenuata. Ciò però avvenne in una fase di
avanzamento del movimento operaio. Il “contenimento” delle lotte
sindacali che in quella fase pareva accettabile, si sarebbe rivelato
fatale quando, nel decennio successivo, sarebbe cominciata la
restaurazione sociale. Stati Uniti sul fronte estero, DC su quello
interno e capitale industriale su quello sociale erano i tre
interlocutori-avversari con i quali il PCI di Berlinguer cercava
l'attenuazione del conflitto, per poter approdare stabilmente al
governo. La strategia di Berlinguer, come sappiamo, fallì su tutta
la linea. Gli americani non si fidarono mai del PCI, il compromesso
storico non si concretizzò, i comunisti rimasero esclusi dal governo
e da lì a poco si sarebbe assistito alla controffensiva padronale
che sarebbe infine culminata in una piena restaurazione neoliberale.
Ciò nonostante essa rimase praticamente invariata negli anni
successivi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ciò che Berlinguer
aveva (suo malgrado) dimostrato è che gli americani (come i poteri
economici) non avrebbero mai accettato un partito comunista al
governo in Italia, per quante garanzie si potesse dar loro. La vera
svolta sarebbe avvenuta solo nel caso in cui si fosse abbandonata la
strategia berlingueriana, cosa che non avvenne. Al contrario, essa fu
portata alle estreme conseguenza. Se l'esistenza di un partito
comunista conduceva alla scontro diretto bisognava cambiare il
partito e rinunciare al comunismo. Il mezzo finisce per distruggere
il fine: l'occasione si presentò con il crollo dell'URSS.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Nonostante
l'evidente fallimento, Berlinguer non mutò la sua strategia. La sua
idea, rimasta invariata, era quella di creare le condizioni per
permettere al PCI di accedere al governo, a qualunque costo,
rimuovendo tutti gli ostacoli che si frapponevano davanti a questo
obiettivo. La conquista del potere politico avrebbe ripagato tutti i
sacrifici e avrebbe inaugurato un'era di progresso e di migliorie
sociali. Questo era il senso della spostamento dalla questione
sociale alla questione morale operato da Berlinguer: i partiti
occupavano lo Stato e se ne spartivano il controllo; questa
occupazione non solo era un fatto deprecabile, ma impediva il
rinnovamento del Paese, perché qualsiasi programma di riforma
sarebbe stato ostacolato da questa situazione. Pertanto diventava
prioritario e urgente affrontare il cuore della questione morale,
cioè il rapporto tra i partiti e lo stato, la classe politica e la
società civile. La questione sociale, veniva retrocessa o rimandata.
Essa non avrebbe potuto essere affrontata con successo se non avesse
trovato prima soluzione la questione morale, allo stesso modo in cui
il PCI non avrebbe potuto compiere la sua scalata al governo senza
l'appoggio o quanto meno la non interferenza dei poteri interni e
internazionali.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Siamo nel 1981 e
già sono abbozzati – e forse qualcosa di più che abbozzati –
tutti i caratteri della sinistra post-comunista: atlantismo e
moralismo, cioè accettazione degli assetti internazionali e del
dominio NATO (che avrebbe significato partecipazione alle guerre
imperialiste) e moralizzazione della politica, che tradotto dal
lessico berlingueriano significa ridimensionamento e contenimento del
ruolo della politica e dei partiti, ma sostanziale accettazione
dell'egemonia del capitale, “lotta alla corruzione” al posto
della lotta contro le iniquità sociali. Il PDS di Occhetto ereditò
integralmente queste caratteristiche, potendo contare in più su una
maggiore libertà di azione, essendosi sbarazzato dell'ingombrante
appellativo di “comunista”.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Innanzitutto,
infatti, il neonato partito accettava acriticamente la cornice
internazionale, la fine dell'Unione Sovietica e il dominio mondiale
degli Stati Uniti, e anzi lo celebrava come fine del giogo dei popoli
dell'est e della divisione tra Oriente e Occidente. Il crollo del
Muro di Berlino veniva riprodotto in piccolo, per così dire, in
Italia. La liquidazione del comunismo sanciva la conciliazione della
sinistra (almeno della parte maggioritaria di essa) con i poteri
economici e con i centristi, dando avvio alle coalizioni di
centrosinistra.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L'indagine di “Mani
Pulite” rappresentò un'opportunità unica per il PDS. Essa fece
piazza pulita dei suoi avversari politici più temibili. La questione
morale in questa contingenza, pertanto, fu lo strumento con cui il
PDS poteva porsi come guida moralizzatrice dell'Italia e proposta di
rinnovamento. Questa opportunità non venne colta a causa di un
incidente di percorso: Berlusconi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ma la strategia
berlingueriana rimase immutata. Anzi, la questione morale, dagli anni
dei DS dalemiani, riceveva una nuova coloritura e trovava nuovo
vigore; poteva contare su un profilo politico più netto, cioè
sull'opposizione al berlusconismo. Il moralismo
dell'antiberlusconismo – a cui il libertinismo berlusoniano era
perfettamente simmetrico e funzionale – svolse lo stesso ruolo di
sempre: la subordinazione della giustizia sociale (quando non la sua
totale rimozione) al contrasto alla corruzione e all'immoralità. La
corruzione è sempre intesa, si badi bene – in pieno stile
berlingueriano – come ingerenza della politica sulla società, come
un eccesso di politica che causa connivenze e nepotismo, la quale
deve essere ridimensionata, e mai, ma proprio mai, come corruzione
dei privati e come mercificazione della vita pubblica quale dinamica
congenita al capitalismo. In altri termini, la politica doveva
lasciar spazio alla “società civile”, ovvero al mercato, al
“libero gioco” della concorrenza. È seguendo questa direttiva
che i DS dalemiani furono i più convinti sostenitori delle
privatizzazioni, come neanche la destra sarebbe mai stata.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il moralismo ebbe
in questa fase una funzione importante nel sostegno all'europeismo.
L'Unione Europea appariva come garanzia contro “gli sprechi” e le
ingerenze della classe politica italiana corrotta, ovvero
l'espansione della spesa pubblica che aveva consentito la crescita
dei redditi, e un limite alla gestione dei bilanci pubblici.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Per quanto riguarda
l'atlantismo D'Alema ne è stato uno dei più fedeli interpreti, egli
sostituì Prodi che era ancora troppo tiepido nel suo americanismo (e
troppo multilaterale) in un momento in cui non erano ammesse
esitazioni: il bombardamento della Serbia.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La fondazione del
PD vide questo scenario sostanzialmente inalterato. Anzi, i caratteri
del berlinguerismo vennero ulteriormente accentuati. L'alleanza con
gli ex democristiani diventava una fusione, l'americanismo veniva
spinto quasi fino a livelli parodistici, con l'imitazione dello
slogan di Obama durante la campagna elettorale di Veltroni. La
gestione di Bersani apparve divisa tra il coerente prosieguo della
direttiva berlingueriana, il composto di moralismo e atlantismo, e il
tentativo di conservare una vaga simbologia di sinistra e un richiamo
a un'anima “sociale”, peraltro inesistente: operazione
impossibile dopo la fondazione del PD, che aveva precisamente il
proposito di liquidare definitivamente queste componenti, e che
infatti fallì.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ma il vero
liquidatore sarà soltanto Renzi. La liquidazione di sé è un
processo intrapreso proprio da Berlinguer, con la sostituzione
dell'atlantismo passivo (che diventerà poi attivo)
all'antimperialismo e del moralismo al socialismo e in generale della
convivenza al conflitto. Renzi non ne è che l'ultimo esecutore e
neanche uno dei più importanti. Se il compito di Berlinguer era di
operare la sostituzione nella sostanza della linea d'azione del PCI
lasciando inalterata la simbologia, quello di Renzi è di lasciare
inalterata la sostanza del PD (ormai già definitivamente acquisita)
e cambiare la simbologia, cioè quel che rimane del progressismo
sociale e dei valori passati cui fa subentrare un entusiasmo cieco
nel mercato e un'ossessione del “nuovo”, da intendere come
continua mutazione apparente ma sempre seguendo la direttiva
tradizionale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L'accordo e la
compiacenza con i poteri economici e finanziari in particolare sono
un connotato tipico di Renzi che egli non si preoccupa di nascondere.
Anche qui abbiamo una radicalizzazione della strategia berlingueriana
dell'accettazione del contesto economico e internazionale e del
tentativo di aggredire la politica. La rapida ascesa di Renzi è
avvenuta all'insegna della cosiddetta “rottamazione”, che è
un'ulteriore declinazione della questione morale. Si tratta di
rottamare la “vecchia politica” che non è più, come ai tempi di
Berlinguer, quella che “assedia” la società civile, dalla quale
è stata cacciata del tutto, ma quella che cerca di conservare una
simbologia antica, seppure estremamente diluita, e che ripropone le
procedure politiche classiche, cioè la mediazione e la dialettica. A
questa “vecchia politica” da rottamare deve subentrarne una
“nuova” del tutto nichilista, priva di ogni nostalgia, che
persegue a tutti i costi la “modernizzazione”, cioè
l'adattamento della società al mercato, e che ripudia le mediazioni
tipiche della forma partito considerate come inutili perdite di
tempo, avvalendosi dei media in maniera spregiudicata.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il PDS di Occhetto,
i DS di D'Alema, il Pd di Veltroni, quello di Bersani e infine quello
di Renzi, non sono delle svolte, delle improvvise mutazioni
genetiche, ma delle tappe di un processo che prosegue secondo la
stessa linea del PCI di Berlinguer. Esse sono state la
manifestazione, più chiara ed evidente che in altri momenti, dei
risultati raggiunti da questa strategia. Tanto è sbagliato, quindi,
l'atteggiamento di chi ricorda mestamente l'epoca berlingueriana come
“l'età dell'oro” contrapponendola alla decadenza attuale, quanto
quello di chi individua in Renzi un innovatore, l'autore di una
rottura senza precedenti. Sarebbe invece più utile e sensato cercare
di scovare nel passato i germogli delle tendenze attuali. In questo
caso si scoprirebbe che quella pretesa discontinuità è soltanto
frutto dell'immaginazione dell'osservatore contemporaneo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">*Pubblicato anche sull'<i><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/">Intellettuale dissidente</a></i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;">Immagine tratta da: <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Berlinguer">https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Berlinguer</a></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-30298312649541006752016-11-30T22:04:00.000+01:002016-11-30T22:04:10.952+01:00Contro la meritocrazia*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-Jx6Q4MyXV-Y/WD89n73MPOI/AAAAAAAAAag/OsMPUi1VBqYX0I6jYRDnzHolyHthjLa6wCLcB/s1600/meritocrazia2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="248" src="https://2.bp.blogspot.com/-Jx6Q4MyXV-Y/WD89n73MPOI/AAAAAAAAAag/OsMPUi1VBqYX0I6jYRDnzHolyHthjLa6wCLcB/s320/meritocrazia2.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Quello della meritocrazia è un mito
del capitalismo che diventa uno slogan politico buono per tutti i
partiti. Ne ha fatto un vessillo la stampa con i suoi giornalisti di
punta che periodicamente lanciano campagne per chiedere “più
merito”; gli economisti ne esaltano le presunte virtù salvifiche
per l'economia e i politici ne promettono ad ogni comizio. Ne è
stato promotore Renzi che ha ripetuto queste due parole, “merito”
e “meritocrazia”, in modo quasi ossessivo nel corso della sua
ascesa politica.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">L'istanza della meritocrazia è
semplice: gli incarichi direttivi siano affidati ai più capaci!
Siano premiati i migliori! La scuola selezioni gli allievi più
meritevoli! Si faccia questo e tutto andrà per il meglio!</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">La parola <i>meritocrazia</i> è in
realtà sinonimo di un'altra, che i suoi alfieri preferiscono non
usare: <i>aristocrazia</i>. Aristocrazia significa proprio “governo
dei migliori” e indica una società in cui il potere è affidato
agli individui considerati più validi. Un'aristocrazia non deve
essere per forza ereditaria, come anche lo è stata in passato, ma
può essere anche elettiva, o, infine, meritocratica, cioè
selezionante sulla base di alcuni sistemi di valutazione. La
meritocrazia è la forma moderna di aristocrazia. Forse l'unica
differenza tra quella attuale e quella antica è che mentre
quest'ultima premiava di più il coraggio e le virtù morali, la
meritocrazia ha un'accezione quasi esclusivamente tecnica, mira cioè
a valutare le abilità professionali degli individui e il loro
rendimento indipendentemente dal loro profilo psicologico.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Nella definizione di meritocrazia (o di
aristocrazia) è già contenuta la domanda cui è difficile (se non
addirittura impossibile) dare una risposta valida: chi sono i
migliori? Quali caratteristiche devono essere premiate? Per alcuni
potrebbe essere il coraggio, per altri l'onestà, per altri ancora
l'intelligenza o magari l'affidabilità. Dato che si tratta di
caratteri personali molto diversi non possono essere paragonati e
misurati in modo oggettivo. È preferibile un uomo intelligente ma
vile, o uno sciocco ma coraggioso? È preferibile un dirigente
estremamente preparato nel suo campo ma egoista o uno poco preparato
ma altruista? È difficile trarre una regola generale. Ma anche
presupponendo che si possano isolare una o poche qualità sulla base
delle quali si sceglie di valutare i vari candidati, è tutt'altro
che semplice trovare un metodo certo a questo scopo. Probabilmente le
nozioni teoriche acquisite possono essere misurabili, ma come fare
per l'intelligenza? Solo questa, infatti, permette di applicare
queste nozioni ai casi pratici con profitto. A cosa serve, ad
esempio, un avvocato che conosce tutto il codice a memoria, ma non sa
tenere un'arringa?
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Il sistema di misurazione
dell'intelligenza più accreditato è il Q. I. I fautori della
meritocrazia si avvalgono di esso per selezionare tra allievi o
candidati. Questo criterio però valuta solo una parte
dell'intelligenza, quella di tipo logico e matematico. Ma cosa dire
di tutte le altre facoltà intellettive? L'abilità nelle relazioni
umane, le capacità comunicative, l'intuito nel comprendere stati
d'animo propri e altrui, la fantasia (che non ha a che fare tanto con
la pura logica matematica, ma con la logica associativa) sono tutte
particolari forme di intelligenza che il Q. I. non è in grado di
valutare. Eppure esse sono necessarie per svolgere molti compiti
nella quotidianità. Ogni individuo le possiede, seppure a diversi
gradi. In realtà la mente umana non funziona a compartimenti stagni,
ma queste diverse facoltà si intersecano tra di loro e al momento di
esprimersi diventano quasi indistinguibili. Uno scienziato, ad
esempio, deve poter contare anche su una buona dose di fantasia, se
vuole trovare soluzioni efficaci ai problemi e fare nuove scoperte.
Ma un pittore, che è associato all'immaginazione artistica, deve
conoscere le regole della prospettiva, che riguardano la logica
“classica”. La separazione tra le varie facoltà è astratta e un
prodotto dell'evoluzione culturale, non qualcosa di “naturale”.
Di conseguenza, il Q. I. non solo fallisce nel valutare
l'intelligenza considerata nel suo complesso, ma potrebbe persino
nella misurazione di quella parte specifica che gli è più
congeniale, perché anche questa si avvale di tutte le altre.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Se quindi è impossibile valutare
oggettivamente l'intelligenza (figuriamoci altre qualità come la
lealtà, il coraggio, la bontà ecc.) le fondamenta stesse della
meritocrazia sono alquanto instabili.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Sarebbe sicuramente più onesto, da
parte dei sostenitori della meritocrazia, ammettere che ciò che essi
vogliono premiare è <i>un particolare tipo </i>di
merito, in genere quello che ha a che fare con capacità
tecniche e professionali. Sfortunatamente per loro (e fortunatamente
per il genere umano) un metodo certo e obbiettivo per farlo non
esiste e non potrà mai esistere, perché quasi tutte le attività
richiedono un'interazione di diverse qualità. Ma anche se esistesse,
questo metodo dovrebbe considerare una certa facoltà a scapito di
tutte le altre. Anche ammesso, quindi, e non concesso, che la
valutazione di questa facoltà possa essere oggettiva, non lo sarebbe
affatto la preferenza accordata a essa rispetto a tutte le altre.
Questa preferenza scaturisce da un pregiudizio e da una motivazione
ideologica, invece che da una presunta imparzialità. L'intento che
si cela dietro l'ideologia artistocratico-meritocratica è quello di
promuovere una data idea di società e di respingerne altre. Gli
individui selezionati non sono perciò “i migliori” o “i
meritevoli” (parole che, di per sé, non hanno alcun significato)
ma quelli giudicati più idonei a realizzare una certa organizzazione
sociale. La meritocrazia promuove un produttivismo esasperato e
sottopone tutti i bisogni umani alla tirannia dell'economia e del
mercato. Il fine deve essere quello di produrre più ricchezza,
concepita soltanto in termini di beni commerciabili e di denaro –
quindi tutto quello che non è misurabile dal denaro viene giudicato
privo di valore: gli affetti, l'empatia umana, ecc. Gli individui
devono essere appetibili per gli acquirenti (le imprese) e come le
merci devono possedere certi requisiti che ne determinano il valore.
Chi non si accorda con le necessità della produzione e del mercato
viene escluso, e su di esso peserà, come se non bastasse, il marchio
infamante di “inetto”.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">I dettami della meritocrazia sono stati
applicati con grande solerzia nell'educazione, proprio lì dove hanno
fatto più danni. Negli Stati Uniti è usato il sistema del Q. I.,
dei cui gravi difetti si è già detto. In Italia, per fortuna, esso
non si è affermato, e tuttavia sentiamo ripetere dal Ministro
Giannini, come da molti suoi predecessori, che ci vuole “più
merito” nella sistema scolastico. Le direttive del Ministero, da
diversi anni ormai, tendono a “collegare scuola e impresa”,
snaturando completamente il nostro sistema educativo, instillando
l'idea che la scuola debba servire non a permettere lo sviluppo di
ogni persona secondo le sue attitudini e le sue scelte in armonia con
la società, ma a “formare” nuovi tecnici e dirigenti per le
imprese; i pedagogisti ormai hanno smesso di parlare di “conoscenza”
come uno dei fini principali della scuola e ripetono ossessivamente
la parola “competenze”, o il suo corrispettivo inglese, “skills”.
La scuola, per la pedagogia meritocratica, deve produrre le
competenze che servono al produttore-consumatore per adattarsi al
mercato globalizzato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Questo genere di organizzazione sociale
più che premiare il merito incoraggia il conformismo, la furbizia,
il cinismo, l'individualismo, l'avidità, il disincanto. Questo, in
definitiva, è il merito che gli illuminati sostenitori della
meritocrazia si affannano a elogiare e la cui promozione il governo
ha fissato come proprio obiettivo prioritario.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;">Ci piace concludere con le parole del
sociologo inglese Michael Young:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="line-height: 0.5cm; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.35cm; margin-right: 1.16cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-size: 9pt;">La
società senza classi sarà quella che avrà in sé e agirà secondo
una pluralità di valori. Giacché se noi valutassimo le persone non
solo per la loro intelligenza e cultura, per la loro occupazione e il
loro potere, ma anche per la loro bontà e il loro coraggio, per la
loro fantasia e sensibilità, la loro amorevolezza e generosità, le
classi non potrebbero più esistere. Chi si sentirebbe più di
sostenere che lo scienziato è superiore al facchino che ha
ammirevoli qualità di</span></span><span style="color: black;"><span style="font-size: 9pt;"> </span></span><span style="color: black;"><span style="font-size: 9pt;">padre,
che il funzionario statale straordinariamente capace a guadagnar
premi è superiore al camionista straordinariamente capace a far
crescere rose? La società senza classi sarà anche la società
tollerante, in cui le differenze individuali verranno attivamente
incoraggiate e non solo passivamente tollerate, in cui finalmente
verrà dato il suo pieno significato alla dignità dell'uomo. [...]
Il bambino, ogni bambino, è un individuo prezioso, e non soltanto un
potenziale funzionario della società. Le scuole non devono essere
vincolate alla struttura occupazionale, non debbono limitarsi a
fornire individui idonei a svolgere le mansioni considerate
importanti in un particolare momento, ma debbono dedicarsi a
incoraggiare lo sviluppo di tutte le qualità umane, siano o non
siano queste del tipo richiesto da un mondo scientifico. Alle arti e
alle abilità manuali deve essere dato altrettanto risalto che alla
scienza e alla tecnologia. (</span></span></span><span style="font-size: x-small;"><span style="color: black; font-family: "Trebuchet MS", sans-serif;">M.
Young, </span><span style="color: black; font-family: "Trebuchet MS", sans-serif;"><i>L'avvento
della meritocrazia</i></span><span style="color: black; font-family: "Trebuchet MS", sans-serif;">,
Edizioni di Comunità, Roma, 2014, pp. 194-195).</span></span></div>
<div style="line-height: 0.5cm; margin-bottom: 0cm; margin-right: 1.16cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif;"><span style="color: black;"><br /></span></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="sdendnote" style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; margin-bottom: 0cm; orphans: 1; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms", sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: times, "times new roman", serif; line-height: 18.48px;">*</span><span style="font-family: times, "times new roman", serif;"><span style="line-height: 18.48px;">Pubblicato anche sull'</span><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: #6a6a6a; line-height: 18.48px; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></span></i></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: times, "times new roman", serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: times, "times new roman", serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: times, "times new roman", serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: times, "times new roman", serif; line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><i>Immagine tratta da: </i></span></span></span><span style="background-color: transparent;"><span style="font-family: times, times new roman, serif;"><i><a href="https://filippofabiopergolizzi.wordpress.com/2015/12/04/de-meritocrazia-la-vittoria-della-mediocrita/">https://filippofabiopergolizzi.wordpress.com/2015/12/04/de-meritocrazia-la-vittoria-della-mediocrita/</a></i></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-86252898443073742602016-11-30T21:54:00.000+01:002016-11-30T22:05:17.168+01:00Non chiamatela democrazia*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-3huRQZIcigg/WD87u-hz5BI/AAAAAAAAAaU/ZVq8lstrL3kiMknKqf1KNE0XuZeEdTpcACLcB/s1600/demo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-3huRQZIcigg/WD87u-hz5BI/AAAAAAAAAaU/ZVq8lstrL3kiMknKqf1KNE0XuZeEdTpcACLcB/s320/demo.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La parola
democrazia è usata e abusata nella pubblicistica politica come anche
negli studi accademici. Con essa si è soliti riferirsi al sistema
politico-istituzionale occidentale, cioè in particolare quello
dell'Europa e del Nord America. Si tende a considerare un dato di
fatto indiscutibile che nei paesi di quest'area esistano governi che
mutano negli anni ma che permanga una democraticità di fondo delle
istituzioni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">L'uso del lessico
politico è spesso irriflessivo, non è mai sottoposto a una seria
critica storica e filosofica e viene accettato per lo più in modo
quasi del tutto inconsapevole. Basterebbe anche un'analisi appena più
profonda dell'ordinario per scoprire come la parola “democrazia”
sia usata del tutto a sproposito.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Dovrebbe
risultare piuttosto evidente che il “potere del popolo” non
esiste nell'attuale sistema politico occidentale. L'esistenza del
suffragio universale, vero feticcio della politica occidentale, di
per sé non garantisce il potere del popolo. Garantisce soltanto la
<i>rappresentanza</i>,
che è una forma di legittimazione del governo in carica, una delle
tante possibili. Questa rappresentanza attraverso l'elezione non
coincide col potere del popolo e nemmeno con una sua qualsivoglia
influenza decisionale. Di democratico non c'è nulla, nemmeno sul
piano formale. Sarebbe più corretto definire invece questo sistema
un'<i>oligarchia
rappresentativa</i>, dove
<i>oligarchia</i>
sta a indicare il potere dei pochi sui molti e <i>rappresentativa</i>
sta per legittimazione dei pochi per mezzo dei molti attraverso
un'elezione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Un carattere
originale delle pseudo-democrazie odierne è la separazione tra
gruppo sociale dominante e governo politico. Il gruppo dominante può
non esercitare direttamente il governo, ma ciò non toglie nulla al
suo dominio sociale che ne può persino venire rafforzato. Il governo
politico è esercitato da una classe nazionale di burocrati e
politici di professione distinta (ma non per questo in contrasto)
rispetto alla classe oligarchica internazionale. Proprio questa
separazione permette di perpetrare la finzione del potere del popolo
che elegge di volta in volta certi membri di questa classe invece che
altri, credendo così di esercitare la sua sovranità, mentre l'élite
dominante, che è economica e non politica, resta immutata e non
scalfita dal rito delle elezioni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La ragione di
questa illusione e del successo della maschera democratica
dell'oligarchia (un'oligarchia anche più potente di quelle del
passato) sta nel retaggio liberale che non persegue il controllo
politico della società, ma al contrario, lo scioglimento o
l'indebolimento di questo controllo politico. Il fondamento del
governo, secondo tale concezione, si esprime in procedure di tipo
politico-istituzionale “chiuse”, che cioè delimitano una sfera
di intervento del governo la quale resta pressoché immutata. La
concezione liberale considera infatti che necessitino di disciplina
soltanto i mezzi politico-normativi, ma non quelli materiali ed
economici. È questo, tra l'altro, il motivo per cui le teorie
politiche nelle pseudo-democrazie sono spesso normativistiche. Si
crea così una sfasatura tra l'“ufficialità” della prassi
istituzionale e la realtà dei conflitti sociali e materiali.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">C'è
da dire che questo orientamento è stato mitigato dal socialismo, che
ha costretto in alcuni casi i governi a estendere in parte la zona di
intervento. Resta però il fatto che i gruppi sociali dominanti
dispongono di mezzi infinitamente superiori (che sono andati
crescendo negli anni) rispetto a quelli dei governi “democratici”
limitati per natura. La potenza di questi mezzi finisce
inevitabilmente per influire anche sulle procedure normative
(influenza che i teorici normativisti fingono di non vedere). Bisogna
considerare infatti la <i>reale</i>
procedura di deliberazione politica dei parlamenti e dei governi
“democratici”. Riassumendo, si può dire quanto segue:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">- Le classi
dominanti costituiscono e finanziano gruppi di pressione e “think
tank” che elaborano e giustificano linee programmatiche
nell'interesse di dette classi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">- Le classi
dominanti sovvenzionano anche i principali partiti politici (tutti
autodefiniti “democratici”).
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">- I gruppi di
influenza non si estendono solo alla politica, ma anche all'editoria,
ai media, alle università, che spiegheranno al pubblico la necessità
di adottare quelle linee programmatiche</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">- I gruppi di
influenza espongono ai capi-partito le linee programmatiche che hanno
elaborato e la necessità di adottarle.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">- I gruppi di
influenza, sulla base di quelle linee programmatiche, redigono dei
documenti politici che invieranno ai tecnici del governo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">- I tecnici, sulla
base di questi documenti, redigono proposte di legge.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">- Le proposte di
legge arrivano sul tavolo dei parlamentari che dovranno presentarle
in parlamento.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">- Gli altri
parlamentari ricevono dai loro partiti l'ordine di votare a favore di
quelle proposte (che molto spesso essi non hanno neanche letto).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">- La proposta
viene votata e diventa legge. I rappresentanti eletti dal popolo
hanno votato una legge contro il popolo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Quanto descritto
riguarda una comune procedura reale deliberativa. Ne esistono
tuttavia anche di interdittive, quali: mancanza di finanziamenti per
candidati che non rispettano le linee programmatiche, campagna
mediatica sfavorevole o oscuramento, ricatto finanziario contro i
governi che non si attengono alle linee (fuga di capitali, crollo del
valore dei titoli di stato, ecc.).
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">È difficile
vedere in tutto ciò anche un solo barlume di democraticità. Il
popolo che avrebbe il potere quale potere ha? Quello di eleggere dei
rappresentanti, che però sono già stati preselezionati dalle
dinamiche suddette. Anzi, proprio il meccanismo dell'elezione a
suffragio universale inibisce qualsiasi effettiva universalità; gli
eleggibili devono ottenere consenso e per farlo devono passare
attraverso le procedure di cui si è detto (reperimento di fondi,
campagne mediatiche, ecc.). Certo, non è impossibile che nel
processo deliberativo entrino istanze autenticamente “popolari”,
ma molto difficile. La pseudo-democrazia scoraggia questa
eventualità. Se si guarda la breve descrizione dei meccanismi
deliberativi e interdittivi si nota facilmente che non sono di tipo
normativo, o lo sono soltanto in una seconda fase, ma soprattutto
economico. È la pervasività economica e non il controllo politico,
alla base della pseudo-democrazia e ciò rende inutili tutti i
dibattiti normativistici che trascurano questo fatto, ragionando per
categorie astratte che basano i procedimenti decisionali su una
supposta indifferenza di tutti i soggetti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Bisogna però
sgombrare il campo da qualsiasi ipotesi “cospirazionista”. Quanto
descritto appartiene alla quotidianità e alla normalità delle
procedure. Non si tratta di una “eccezionalità”, di un
“tradimento” della “democrazia” ma è inscritto nel suo
stesso modo di funzionamento. Un sistema politico che limita la sfera
di intervento del governo ma non quella dei gruppi sociali dominanti
porta inevitabilmente a un governo subalterno rispetto ai gruppi
medesimi e quindi non potrà mai essere democratico.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Tutto
ciò è piuttosto risaputo nelle conferenze organizzate dai gruppi di
influenza e ai “rappresentanti del popolo” che vi partecipano.
Secondo quanto riportato dal giornalista Paolo Barnard nel 2012
l'allora Ministro Elsa Fornero, al World Pension Summit ebbe a
dichiarare: “<span style="color: black;">I
cambiamenti portati dalla riforma delle pensioni del governo Monti
erano necessari per compiacere i mercati finanziari, altrimenti i
mercati avrebbero devastato l’Italia”. Pare difficile pensare che
un governo del genere possa essere definito democratico. L'ex
Presidente della Commissione Europea Manuel Barroso disse, in
un'intervista al Telegraph, che “</span><strong><span style="color: black;"><span style="font-size: small;"><span style="font-weight: normal;">La
ragione per cui abbiamo bisogno dell’Unione Europea è proprio che
essa non è democratica”. Considerando che circa l'80% delle leggi
italiane sono applicazioni di direttive europee, questa affermazione
è abbastanza rivelatrice del nostro sistema politico.</span></span></span></strong></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<strong><span style="color: black;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif; font-size: small;"><span style="font-weight: normal;">Si
deve tuttavia ammettere che nei decenni passati gruppi sociali non
dominanti hanno potuto esercitare una certa influenza nel processo
decisionale. Non si trattava, nemmeno allora, di una democrazia, ma
le particolari condizioni storiche e socio-economiche e certi
apparati politici hanno permesso a interessi e volontà non
oligarchiche di affermarsi. In Italia il contesto socio-economico per
quarantacinque anni fu quello emerso dalla Resistenza. In questo
sistema un capitale nazionale doveva giungere a un compromesso con
una classe lavoratrice e questo compromesso poté essere garantito da
una ceto di dirigenti politici. Attualmente, invece, il capitale si è
internazionalizzato, i lavoratori indeboliti e disgregati, il ceto
politico post-bellico esaurito e azzerato. Le basi quindi del
compromesso sono venute meno. I gruppi sociali dominanti
internazionali non hanno interesse a un nuovo compromesso e lavorano
per restringere ulteriormente la sfera di intervento di governi. Ecco
perché l'attuale fase storica appare ad alcuni come “involuzione
democratica”, sebbene non si tratti di una degenerazione di un
meccanismo intrinsecamente “sano”, ma di un adattamento politico
a mutate condizioni storiche.</span></span></span></strong></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<strong><span style="color: black;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif; font-size: small;"><span style="font-weight: normal;">Le
premesse per una reale democrazia, dunque, si creeranno solo quando
cadrà definitivamente la maschera della pseudo-democrazia e vi sarà
una presa di coscienza collettiva riguardo al carattere oligarchico
del sistema di governo vigente, quando maturerà una capacità
politica di contrasto di questa oligarchia e quando si capirà che il
controllo politico per essere realmente democratico e popolare deve
estendersi alla sfera economica e non ritirarsi da essa.</span></span></span></strong></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<strong><span style="color: black;"><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif; font-size: small;"><span style="font-weight: normal;"><br /></span></span></span></strong></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="sdendnote" style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; margin-bottom: 0cm; orphans: 1; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; line-height: 18.48px;">*</span><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="line-height: 18.48px;">Pubblicato anche sull'</span><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: #6a6a6a; line-height: 18.48px; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></span></i></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><i>Immagine tratta da: </i></span></span></span><span style="background-color: transparent;"><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><a href="http://www.dirittodicritica.com/2011/11/18/democrazia-in-pericolo-vignetta-14845/">http://www.dirittodicritica.com/2011/11/18/democrazia-in-pericolo-vignetta-14845/</a></i></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-54494201096835620712016-10-31T13:04:00.002+01:002016-10-31T13:13:49.857+01:00Il feticcio della legalità*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-TCkF9wfux_4/WBczBiCGmjI/AAAAAAAAAaA/uTlIE0vizEIC74Q8wMeaJGZmMk-7s5w1ACLcB/s1600/Saviano-600x380.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="202" src="https://4.bp.blogspot.com/-TCkF9wfux_4/WBczBiCGmjI/AAAAAAAAAaA/uTlIE0vizEIC74Q8wMeaJGZmMk-7s5w1ACLcB/s320/Saviano-600x380.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Quello della
legalità è un vessillo molto in voga in Italia negli ultimi tempi.
L'appellativo di Sciascia di “professionisti dell'antimafia”, per
riferirsi a certi magistrati, potrebbe essere convertito in
“professionisti della legalità” intendendo tutto quel clero di
giornalisti e scrittori che grazie alla retorica legalista ottengono
un facile notorietà sui media. Si pensi al caso editoriale e
televisivo di Roberto Saviano e alle sue pillole legalitarie
dispensate in libri, articoli e spettacoli per le masse degli
indignati a comando. L' “ondata”legalitaria, infine, non poteva
non fare la sua incursione anche in politica, con l'idea del “fronte
degli onesti” di cui il Movimento Cinque Stelle è il maggiore
interprete.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">A cosa si deve il
successo del legalismo in Italia? A un'antropologia basica,
innanzitutto, che divide gli individui in “onesti” e “corrotti”
o “mafiosi”, di facile comprensione e di immediato impatto
emotivo. Nell'era del ripudio delle ideologie (ovvero di tutte le
ideologie tranne di quella del mercato sovrano) e di ogni idea di
totalità filosofica l'antropologia legalista si innesta
perfettamente su questo nichilismo politico. Essa infatti non
interroga convinzioni politiche ma soltanto la “coscienza privata”
dell'individuo, la moralità riferita alla cerchia individuale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il legalismo non
contempla una critica della società. L'ambiente sociale è un
fattore neutro, che non influisce nello scontro tra buoni e cattivi,
eroi della legalità e delinquenti che tramano per i propri interessi
egoistici. L'ordine sociale viene accettato come un dato di fatto
immutabile, una pura cornice della lotta tra bene e male, legge e
crimine. Il legalismo, anzi, assume come proprio scopo la scrupoloso
rispetto degli assetti giuridici e considera come foriero di
disordine qualsiasi infrazione di tali assetti; ovviamente è ben
lontano dal valutare i rapporti economici che sono alla base di
questi ultimi, il che implicherebbe una critica e imporrebbe l'uscita
dall'antropologia irriflessiva che si è dato. La battaglia
legalitaria si gioca soltanto sul terreno della moralità privata,
trasposta però in uno spazio pubblico; i mali sociali sono visti
come il risultato dell'agire sconsiderato di alcuni singoli e
dell'infrazione sistematica della legge. Non si comprende che,
invece, l'illegalità è non la causa ma l'effetto: essa è uno degli
esiti dei rapporti socio-economici. Il legalismo invece sacralizza la
Legge, considerata non, marxianamente, come la sanzione giuridica di
dati rapporti di produzione, ma come un ordine benefico in se stesso
e pone l'adesione ad essa come il massimo fine perseguibile. Di
conseguenza quest'ordine è di fatto assunto acriticamente come fisso
e dato una volta per tutte.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">In questa
sacralizzazione della legge, che considera il rispetto della norma
come valore in se stesso, la politica, che è invece cooperazione e
conflitto dei gruppi sociali volta alla manipolazione della legge
vista come mezzo e non come fine, scompare nell'etica privata. Se
infatti la legge è a monte e non a valle della scelta individuale,
sua condizione e suo presupposto, non è data altra possibilità che
decidere individualmente in merito all'adesione o meno alla norma. La
vita pubblica così si esaurisce nella coscienza del singolo nel
momento in cui questi sceglie a quale campo appartenere, tutto il
resto non è che un corollario di questa scelta: la vita pubblica è
ridotta alla semplice trasposizione pratica della coscienza privata e
l'intersezione dell'agire dei singoli.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Tuttavia nella
dimensione morale può sorgere una contraddizione. L'etica infatti
esige dagli individui una scelta non solo sul versante privato, ma
anche su quello pubblico e politico. Deve sorgere necessariamente un
“principio di responsabilità”, per usare l'espressione di Hans
Jonas che impone di trasferire il processo decisionale all'ambito
socio-politico, e quindi impone una presa di posizione non soltanto
in merito all'affermazione o negazione della legge, ma anche riguardo
alla sua sua sostanza e al contesto ambientale che ne è alla base.
Così il legalismo, qualora si sviluppi coerentemente l'interrogativo
morale, rischia di entrare in crisi e in contraddizione con i propri
presupposti. Perché questa eventualità non si verifichi è
necessaria un'accettazione religiosa della legge, tale per cui si
consideri come un valore intrinseco e non estrinseco l'adesione alla
norma. È la legge stessa che diventa, in un rovesciamento
dialettico, la legittimazione della morale, e non il contrario.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Ma l'accettazione
religiosa della legge non è altro che l'accettazione irriflessa
dell'ordine liberal-capitalistico. Se infatti la sovrastruttura
giuridica è radicata nel contesto socio-economico, il rispetto
acritico della norma – storico e mutevole, ma trattato come fosse
astorico e immutabile – è un'adesione passiva a questo stesso
contesto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="sdendnote" style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; margin-bottom: 0cm; orphans: 1; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; line-height: 18.48px;">*</span><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="line-height: 18.48px;">Pubblicato anche sull'</span><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: #6a6a6a; line-height: 18.48px; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></span></i></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><i>Immagine tratta da: </i></span></span></span><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><a href="http://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/111075-saviano-smascherato-negli-usa-ha-copiato-articoli-di-altri-giornalisti/"><span style="background-color: transparent;"></span><span style="background-color: transparent;">http://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/111075-saviano-smascherato-negli-usa-ha-copiato-articoli-di-altri-giornalisti/</span></a></i></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-18436521505411888282016-10-31T12:59:00.004+01:002016-10-31T13:14:19.168+01:00Lavorare meno, lavorare meglio, vivere di più*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-YfuMzqtqu7U/WBcx4ZD62PI/AAAAAAAAAZ4/h7v-mjGXPjUDkGjxuIcxiRFKMx8Iq2MkACLcB/s1600/lavorare-meno-x-lavorare-tutti-420x315.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://2.bp.blogspot.com/-YfuMzqtqu7U/WBcx4ZD62PI/AAAAAAAAAZ4/h7v-mjGXPjUDkGjxuIcxiRFKMx8Iq2MkACLcB/s320/lavorare-meno-x-lavorare-tutti-420x315.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Secondo
una ricerca australiana lavorare meno sarebbe più produttivo.
Confrontando un campione di persone che lavorano per 55 ore alla
settimana con chi ne lavora 25, questi ultimi hanno ottenuto
risultati migliori. Se ciò è vero, come questa e altre ricerche
dimostrano, ciò significa che esiste una parte del tempo di lavoro
durante il quale i lavoratori non producono niente. Più passa il
tempo più il rendimento decresce, diventando infine nullo. Ciò non
è naturalmente colpa dei lavoratori, perché si tratta di un
fenomeno fisiologico dovuto alla limitatezza dell’essere umano. Ma
se ciò è vero come mai, verrebbe allora da chiedersi, le aziende
non riducono l’orario di lavoro? Perché ridurre le ore lavorate
richiederebbe maggiori investimenti, e le imprese piccole
difficilmente riuscirebbero a ottenere i finanziamenti dalle banche
soprattutto in un periodo di crisi. Per le grandi aziende, invece, la
questione è più complessa.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Michal
Kalecki sosteneva che i capitalisti preferiscono rinunciare a una
parte di profitto nell’immediato pur di non rafforzare la classe
operaia. La riduzione dell’orario lavorativo (a parità di ore
lavorate, ovviamente, altrimenti sarebbe un semplice disinvestimento)
rafforzerebbe sicuramente i lavoratori, ecco perché difficilmente se
ne parla ed è il vero tabù delle controversie sindacali. Del resto,
come aveva capito Marx, per ottenere maggiore plusvalore il
capitalista tende ad aumentare il tempo di lavoro, non a ridurlo. Se
ci fosse un limite, quindi, sarebbe un problema serio per il
capitale, che non riuscirebbe a espandersi in questa direzione,
poiché è evidente che una possibile riduzione dei salari
(eventualmente al di sotto del livello di sussistenza, come avviene
spesso oggi) sarebbe ostacolata da tale limite.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">I
sindacati portarono avanti, almeno in Italia, la lotta per la
riduzione dell’orario di lavoro fino a un certo punto, cioè fino
alle otto ore, poi abbandonarono quasi del tutto questa strada per
concentrarsi quasi unicamente sull’aumento delle paghe. E cosa dire
dell’orario “generazionale”, questione mai seriamente presa in
considerazione? Perché chi ha cinquant’anni deve lavorare quanto
chi ne ha trenta? Sarebbe più logico pensare a una graduale
riduzione del tempo di lavoro col progredire dell’età.
</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">In
tempi più recenti, CGIL, CISL e UIL hanno insistito sulla riduzione
delle tasse sul lavoro, abdicando di fatto al loro ruolo conflittuale
nei confronti del capitale e rivolgendosi come questuanti ai governi
di volta in volta succedutisi. Anche una riduzione delle tasse, però,
è pur sempre un aumento delle retribuzioni, seppure non va a
incidere sui rapporti di forza col capitale. In entrambi i casi,
tuttavia, si tratta di una visione economicistica. L’idea è che
guadagnare di più significhi sempre vivere meglio, pertanto si deve
lavorare di più per guadagnare di più. Raggiunto l’obiettivo
minimo delle otto ore, l’unico miglioramento della vita dei
lavoratori può venire dall’aumento del loro reddito. In realtà il
reddito è solo una delle componenti, alla quale però i sindacati
hanno sacrificato tutto il resto. Altre componenti sono la
soddisfazione per l’ambiente di lavoro (cioè i rapporti con i
colleghi e con i capi, la sicurezza e l’adeguatezza dei luoghi
fisici di lavoro, non dover subire minacce e angherie…) la certezza
del proprio impiego (non dover temere di perdere il lavoro
all’improvviso e quindi norme che impediscano la precarietà)
l’assenza di eccessivo logoramento psico-fisico, la possibilità di
avere una vita extra-lavorativa soddisfacente e che non sia
pregiudicata dal lavoro (turni concordati tra dipendenti e azienda,
trasferimenti non obbligatori…). Riguarda queste ultime due anche
un orario di lavoro accettabile e compatibile con la situazione
personale e familiare di chi lavora.
</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il
tempo è una componente fondamentale dell’esistenza umana. Esso è
<span style="font-size: small;"><i>irreversibile</i></span>
e <span style="font-size: small;"><i>irriducibile</i></span>:
non si può “rimettere indietro la lancetta” e non si può
convertito in qualcos’altro. <span style="font-size: small;"><i>Monetizzare</i></span>
il tempo è un’illusione. Lavorare di più per guadagnare di più è
sempre una perdita per il lavoratore (seppure, a volte, può essere
una triste necessità, ma proprio questo dovrebbe cercare di evitare
un sindacato). Infatti quella ricchezza in più che si riceve viene
“bruciata” dal minor tempo a disposizione. Un’altra
caratteristica del tempo è che esso è una <span style="font-size: small;"><i>cornice
universale dell’agire umano</i></span>;
nessuna attività può avvenire al di fuori del tempo e per fare
qualunque cosa si impiega un certo tempo. Se il lavoro comporta più
tempo, quindi, vuol dire che se ne avrà di meno per fare tutto il
resto, cioè si faranno meno cose, quindi si sarà “più poveri”,
anche se si guadagna di più (o comunque il reddito monetario è solo
un reddito al lordo del tempo a disposizione, per così dire). Ecco
perché il tempo è la componente fondamentale della condizione
lavorativa, a torto spesso trascurata dai sindacati (e a volte dagli
stessi lavoratori).</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Abbassare
il tempo di lavoro avrebbe diversi vantaggi per i lavoratori e per la
società in generale:</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br />
</span></div>
<ul>
<li><div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Farebbe
aumentare l’occupazione, perché le aziende sarebbero costrette ad
assumere di più.</span></div>
</li>
<li><div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Farebbe
crescere i redditi da lavoro: sia la paga oraria direttamente, che
il salario complessivo indirettamente, perché aumentando la domanda
di lavoro da parte delle imprese aumenterebbe anche il prezzo.</span></div>
</li>
<li><div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Rafforzerebbe
i lavoratori e i sindacati, perché un alto livello di occupazione
assicurerebbe un elevato potere di contrattazione.</span></div>
</li>
<li><div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Obbligherebbe
le imprese a investire, rendendo possibile un ciclo economico
favorevole.</span></div>
</li>
<li><div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Una
“progressione inversa” dell’orario di lavoro al crescere
dell’anzianità permetterebbe un precoce ingresso dei giovani nel
mondo del lavoro senza dover costringere i più anziani che vogliono
restare al pensionamento anticipato e quindi ridurrebbe la
disoccupazione giovanile che nel nostro paese è tra le più alte al
mondo</span></div>
</li>
<li><div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Aumentando
l’occupazione giovanile aumenterebbe anche la capacità produttiva
della società, perché permetterebbe di lavorare a individui nel
pieno delle energie psichiche e fisiche e che oggi sono esclusi.</span></div>
</li>
<li><div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Dai
punti precedenti si deduce anche che, con un incremento
significativo dell’occupazione giovanile e di quella complessiva,
si potrebbe abbassare l’età pensionabile e aumentare le pensioni,
perché aumenterebbe sia la produttività di tutta la società che
quella individuale.</span></div>
</li>
</ul>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Date
le attuali condizioni, non è più possibile percorrere questa strada
per via sindacale. Con la flessibilità creata da leggi
ultra-liberiste, infatti, i lavoratori non hanno la forza per
rivendicare orari più accettabili. In effetti il tempo di lavoro si
è ridotto, ma a danno del reddito. A causa della disoccupazione in
molti casi si lavora di meno, ma naturalmente la condizione dei
lavoratori non è migliorata, perché vengono loro tolti anche i
mezzi di sostentamento. Se prima il rapporto tra reddito monetario e
tempo di lavoro era squilibrato a favore del primo, oggi è
squilibrato a favore del secondo (in media). La situazione è
indubbiamente peggiorata, dato l’alto livello della disoccupazione
e la deflazione dei salari. Si tratta di trovare un nuovo equilibrio
che assicuri paghe accettabili, ma senza allungare il tempo di
lavoro. Vista però la neutralizzazione dei sindacati, questo
equilibrio può essere conseguito solo per via politica. Esso deve
essere lo scopo primario di quella forza (che a oggi non esiste
ancora) che volesse difendere gli interessi del lavoro.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">È
necessario soprattutto, in questo momento storico, cambiare un certo
modo di pensare. L’idea che ogni individuo debba lavorare tanto per
permettere il funzionamento della società. Ciò è falso, meno si
lavora individualmente, più si lavora collettivamente, più saranno
gli occupati e migliori saranno le paghe. Bisogna superare, inoltre,
quella concezione moralistica che vede come qualcosa di eticamente
disdicevole lavorare poco, come se non si facesse il proprio dovere
fino in fondo. Nella nostra società la stanchezza (a causa
dell’eccessivo carico del peso della produzione che grava
interamente su pochi individui) impedisce di fare “il proprio
dovere” molto più della pigrizia. Si devono anche riconsiderare i
sistemi di retribuzione. Non esistono solo quelli monetari; questi
sono validi soprattutto fino a una certa soglia, quella che permette
un’esistenza socialmente accettabile; oltre questa soglia, al
crescere della retribuzione, non cresce la felicità, ma soltanto il
potere consumistico. Sarebbe semmai importante retribuire i
lavoratori non soltanto in denaro, ma in <span style="font-size: small;"><i>tempo
di vita</i></span>.
È il tempo la vera ricchezza, quella che consente di svolgere
qualsiasi attività in modo sereno e appagante e anche di lavorare
nelle migliori condizioni, senza il peso di una stanchezza eccessiva
e logorante o della monotonia di azioni ripetute troppo a lungo.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">È
essenziale, soprattutto, archiviare una concezione fatalistica e
superstiziosa, oggi purtroppo in voga, secondo cui non vi è
alternativa all’attuale assetto socio-economico di tipo
liberal-capitalistico, in cui il mercato è il sovrano assoluto. Al
contrario, è solo la volontà dei soggetti, o la loro passiva
rassegnazione e il loro cinico disinteresse, a rendere il contesto
nel quale essi agiscono irrimediabile. L’agire dei soggetti
coalizzati non può non mutare anche il contesto, qualora sia
orientato in questo senso.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">È
un modo di pensare che va profondamente mutato, e che troppo spesso
viene accettato acriticamente, quello che induce a vedere la
realizzazione dell’individuo nel denaro, nel consumo e in un
moralismo del lavoro.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Si
parla molto di <span style="font-size: small;"><i>libertà</i></span>.
La si esalta come il bene più prezioso e il valore supremo della
nostra società. Ma cos’è la libertà se non <span style="font-size: small;"><i>tempo
libero</i></span>
(nel senso letterale e non come semplice periodo complementare a
quello lavorativo)? Il tempo libero è il tempo impiegato nella
realizzazione di se stessi, del proprio io (e quindi anche di quello
degli altri, perché le due cose sono congiunte) che sia tempo di
lavoro o meno. Lavorare poco non significa soltanto vivere meglio
quando non si lavora, ma anche rendere il lavoro una delle attività
appaganti per l’individuo, togliergli quella centralità di cui
gode attualmente, ma restituirgli <span style="font-size: small;"><i>l’umanità</i></span>
che ha perso nel momento in cui è diventato attività alienante
perché sottomesso alle necessità del profitto. Significa cominciare
(o <span style="font-size: small;"><i>ri</i></span>cominciare)
a pensare una società diversa, nella quale la moneta sia soltanto un
segno e non un valore, nella quale il lavoro sia solo una delle
attività che contribuiscono al bene sociale, nella quale la pienezza
dell’esistenza individuale si misura col tempo e non col consumo.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="sdendnote" style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; margin-bottom: 0cm; orphans: 1; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; line-height: 18.48px;">*</span><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="line-height: 18.48px;">Pubblicato anche sull'</span><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: #6a6a6a; line-height: 18.48px; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></span></i></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><i>Immagine tratta da: </i></span></span></span><span style="background-color: transparent;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><u><a href="http://www.jobsnews.it/2016/03/francia-1-200-000-lavoratori-e-studenti-manifestano-in-tutte-le-citta-contro-la-riforma-illiberale-del-lavoro/">http://www.jobsnews.it/2016/03/francia-1-200-000-lavoratori-e-studenti-manifestano-in-tutte-le-citta-contro-la-riforma-illiberale-del-lavoro/</a></u></i></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7904281515085664941.post-16009554837048929172016-09-30T16:10:00.000+02:002016-09-30T16:10:49.403+02:00La povertà fastidiosa*<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-U1kIV7TnnxA/V-5x67ThfwI/AAAAAAAAAZg/xpcjYRX-iUEzmqIZ-FKw3XdHT-jylwpTgCLcB/s1600/povert%25C3%25A0.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="196" src="https://2.bp.blogspot.com/-U1kIV7TnnxA/V-5x67ThfwI/AAAAAAAAAZg/xpcjYRX-iUEzmqIZ-FKw3XdHT-jylwpTgCLcB/s320/povert%25C3%25A0.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Un
giovane senzatetto è stato assolto in Cassazione per aver rubato del
cibo per un valore di 4 euro per potersi sfamare. La sentenza ha
ribaltato quella della Corte di Appello che invece aveva
precedentemente condannato l’uomo per furto.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Molti
troveranno di che scandalizzarsi per un verdetto che dovrebbe essere
del tutto scontato. Come si può condannare un uomo per la sua
povertà e che per giunta non ha creato alcun danno che non sia
impercettibile? Eppure è proprio questo che è successo nel
precedente grado di giudizio, come in molti altri casi di persone che
hanno trovato giudici di diverso avviso. Dovrebbe stupire tanto più
in una società che dichiara la sua fede indiscussa per i “diritti
umani”, ma che tuttavia via non include la soddisfazione del
bisogno biologico della fame nel novero di questi diritti.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Le
società occidentali non considerano accettabile la censura (a
ragione), il mancato rispetto di diritti formali, come il suffragio
universale e la divisione amministrativa dei poteri (non sempre a
ragione) dividendo in modo manicheo il mondo tra “dittature” e
“democrazie” cioè tra paesi che si attengono al formalismo
occidentale e paesi che decidono, in modo spesso legittimo o almeno
non meno legittimo, di adottare modelli differenti. Tuttavia, non
ritengono altrettanto inaccettabile che una persona chieda
l’elemosina per strada: oppure ritengono inaccettabile solo il
fatto che questa persona “danneggi il decoro urbano”, ovvero
disturbi la loro coscienza. Per quale ragione? Perché mai morire di
fame e di freddo o essere costretti a dormire su una panchina sarebbe
eticamente meno grave che essere imprigionati per aver parlato male
del governo? Certo, nel primo caso non c’è un esecutore materiale
diretto che esegua, con decreto ufficiale, la condanna; ma cambia
qualcosa? Pur sempre esistono individui che con le loro azioni
provocano consapevolmente la miseria di molti altri. Pur sempre i
meccanismi sociali e politici agiscono in modo autonomo, ma non del
tutto autonomo e completamente sottratto al controllo dei singoli.
Nell’un caso, si tratta dell’apparato burocratico, nell’altro
del mercato. Mercato coadiuvato spesso dagli stati “fondati”
sulle carte dei diritti.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Si
faccia attenzione: non si tratta di una questione di compassione e di
pietà umana. Le ostentazioni di questa compassione e le varie
associazioni di beneficenza sono piuttosto comuni in questa che è
l’epoca economicamente più iniqua che la storia ricordi, seppure è
reale, oltre che molto preoccupante, la tendenza anaffettiva degli
individui postmoderni, in grado di accettare la marginalità e
l’indigenza nelle loro città senza troppi traumi emotivi, di
vedere sui teleschermi immagini alla massima risoluzione di persone
dilaniate dalla guerra o distrutte dalla povertà, con una commozione
superficiale che può presto trasformarsi in ilarità al successivo
programma di intrattenimento. Ma anche questo fatto rivela qualcosa
di più della semplice “disumanità”. Si tratta di un preciso
modello antropologico di individuo (in particolare quello
occidentale).
</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Il
sociologo Marc Augé ha usato il neologismo di <span style="font-size: small;"><i>non-luoghi</i></span>
per descrivere gli spazi sempre più diffusi ed estesi dell’attuale
paesaggio urbano delle metropoli (ma ormai anche dei piccoli centri).
Si tratti di luoghi “desocializzati”, luoghi nei quali la gente
non si intrattiene, non entra in contatto (se non per ciò che è
indispensabile); luoghi che non hanno più una valenza nei rapporti
umani, ma solo in quelli commerciali o produttivi. Sono spazi
“freddi”, nei quali non si esprime la socialità e la
partecipazione alla comunità dell’individuo. Spazi che servono
soltanto per il transito di merci o persone e in definitiva per il
rapporto di scambio e per il consumo. In questi spazi ciascuno, pur
se immerso in una folla, è perfettamente isolato, separato
dall’altro pur in condizioni di prossimità fisica. Ognuno è
chiuso nel suo privato, perché il consumo è un’attività
omologante ma che avviene individualmente e isolatamente. Tutti fanno
la stessa cosa (eccetto, forse, nella scelta della marca di telefono)
ma ciascuno per proprio conto. In questa condizione non è possibile
maturare quella che Bauman chiama “negoziazione delle differenze”.
Non è possibile entrare in comunicazione empatica. L’isolamento ci
impedisce di provare emozioni più che superficiali e passeggere per
un altro individuo, che è a tutti gli effetti un <span style="font-size: small;"><i>estraneo</i></span>,
perché è <span style="font-size: small;"><i>estraniato</i></span>
da noi.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Si
capisce bene, allora, che in una società del genere, è solo
l’individualità completamente privatizzata – e perciò alienata
– che può esprimersi. È fatto divieto sacro e assoluto di
ostacolare l’espressione privata di questa individualità (anche
nei luoghi pubblici) che deve essere “libera” di desiderare e di
consumare, mentre, invece, tutto ciò che presuppone una socialità,
un rapporto non meramente commerciale tra soggetti, è giudicato un
disturbo della sacralità del privato. Ecco perché “dà fastidio”
il barbone che chiede l’elemosina, e quando uno di questi individui
ai margini della società dei consumi reclama attenzione, ci
costringe cioè a una reazione emotiva e infrange l’estraneità
nella quale lo abbiamo relegato, quando insomma vìola lo spazio
comune privatizzato (o il “luogo pubblico non civile”, per usare
il lessico di Bauman) è visto come l’autore di un’aggressione
persino peggiore dei patimenti che egli sta subendo. Un’aggressione
considerata meritevole di essere portata in tribunale e giudicata
sulla base del formalismo della legge.</span></div>
<div style="line-height: 100%; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="sdendnote" style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.2px; margin-bottom: 0cm; orphans: 1; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 13px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13.2px; line-height: 18.48px; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; line-height: 18.48px;">*</span><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><span style="line-height: 18.48px;">Pubblicato anche sull'</span><a href="http://www.lintellettualedissidente.it/" style="color: #6a6a6a; line-height: 18.48px; text-decoration: none;">Intellettuale dissidente</a></span></i></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; font-family: Arial, Tahoma, Helvetica, FreeSans, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 18.48px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><br /></i></span></div>
<div style="background-color: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><span style="line-height: 18.48px;"><i>Immagine tratta da: </i></span></span></span><span style="background-color: transparent;"><span style="color: #641d94; font-family: "times" , "times new roman" , serif;"><i><u><a href="http://www.tpi.it/mondo/stati-uniti/l-america-si-riscopre-povera">http://www.tpi.it/mondo/stati-uniti/l-america-si-riscopre-povera</a></u></i></span></span></div>
Matteo Volpehttp://www.blogger.com/profile/03076526888734910608noreply@blogger.com0