Siamo testimoni di una delle più
grandi mutazioni globali. Per la prima volta nella storia, il potere
si è separato dalla politica. Questo mutamento si è affermato in
modo chiaro negli ultimi venti o trent'anni. Si è stati sempre
abituati a considerare il potere come una diretta conseguenza della
politica, o per lo meno, a pensare che qualsiasi potere, per essere
tale, dovesse essere politico. Oggi, invece, non solo non ha alcun
bisogno della politica, ma fa di tutto per sfuggirvi. Questo
mutamento si accompagna ad un altro, ad esso collegato; la totale
mancanza di consapevolezza degli individui di questo avvenimento,
l'assoluta incomprensione di cosa sia il potere. La quasi totalità
delle persone continua ad avere la stessa concezione del potere di
cinquanta, cento, duecento o mille anni fa. Si continua, nonostante
tutto, a considerare il potere come politico, addirittura in certi
casi come sinonimo di politica. Ciò è completamente falso. Il
potere, nelle attuali condizioni, funziona secondo meccanismi del
tutto diversi. Non c'è coscienza del potere presso i contemporanei,
neanche tra i più istruiti. Questa incoscienza è anch'essa un
fenomeno inedito. In tutte le epoche le persone, dal notabile
all'ultimo mendicante, hanno sempre saputo cosa fosse il potere. Il
Re, il Papa, l'Imperatore, il Generale. Era anzi un requisito
fondamentale del potere quello di essere riconosciuto chiaramente da
tutti come tale, soprattutto dai suoi subalterni.
L'individuo contemporaneo non sa “chi
comanda” ammesso che si possa dire ancora così, perché il potere,
oggi, non funziona secondo la comunicazione prescrittiva: più che
incutere timore, il potere oggi seduce, più che reprimere, eccita e
stimola. Per la prima volta il potere è il deus absconditus della
tradizione teologica. Non fa nulla per manifestarsi, anzi, si cela il
più possibile e frappone tra sé e i dominati immagini, simulacri,
idoli, che non dicono nulla della sua vera natura.
La politica si
regge su confini, limiti, frontiere, divieti. La giurisdizione della
polis non si estendeva oltre il suo territorio. Lo Stato ha potere
solo entro i propri confini, verso l'esterno può esercitare
un'influenza indiretta nelle controversie internazionali. Se vuole
imporsi su un altro stato deve annetterlo con la forza, cioè
estendere i propri confini. Ma per quanto possa essere esteso, la sua
giurisdizione si si fermerà sempre a una frontiera fisica, che ne
segna la fine.
Il potere oggi si è
depoliticizzato. Ha abbandonato lo Stato come propria sede e si è
dislocato al di fuori dei suoi confini. Il potere non coincide più
con un territorio specifico e non ha un centro amministrativo. Non
muove guerra per estendere i propri limiti e per inglobare altri
poteri, ma per abolire tutti i limiti. Di conseguenza aggredisce
tutti gli strumenti di cui un tempo si è servito e che oggi sono
inadeguati rispetto ai suoi meccanismi. Lo Stato non soltanto viene
abbandonato, ma deve essere combattuto, perché circoscrive un
territorio e vi prescrive una legge. In questa prassi di
circoscrizione e prescrizione si realizza il potere classico che è
del tutto incompatibile col nuovo potere che si slega, si
smaterializza, si deterritorializza e scompare alla vista. Lo Stato
può sopravvivere soltanto negando se stesso, cioè abolendo la
propria legge e i propri confini. E ciò è una contraddizione in
termini, perché nel momento in cui lo facesse smetterebbe di
esistere. Ma nemmeno il nuovo potere può accettare la permanenza
dello Stato, la spartizione del suolo, la prescrizione della legge,
che ne contraddice la natura. Perciò un conflitto tra il nuovo
potere, che si muove (non è più “fermo” in un luogo ma in
continuo movimento) nel mercato e si propaga attraverso le reti di
comunicazione, e il potere classico statuale, che si radica, si situa
e situa tutto ciò che a esso è sottoposto in un territorio e che si
impone attraverso il diritto, risulta inevitabile.
Quello che sta
facendo il nuovo potere, e che gli intellettuali tardano a
comprendere, è smantellare letteralmente lo Stato, smembrarlo, farlo
collassare. Senza nessuna esplosione, nessun evento traumatico, che è
la genesi del potere classico (la rivoluzione, la guerra civile). Il
nuovo potere può anche momentaneamente servirsi di alcuni stati
contro altri, perché viaggia attraverso le reti di comunicazione che
sono ubique. Non è detto che lo Stato venga formalmente smantellato
(anche se in Europa sembra stia accadendo proprio questo) ma
certamente si “alleggerisce”, cede quelle che un tempo erano sue
prerogative inalienabili. In questo caso il conflitto è latente,
perché non c'è attrito.
Quando invece lo
Stato resiste il conflitto si palesa. In effetti lo Stato può solo
resistere, non può passare alla controffensiva, non essendoci alcuna
città da espugnare. Un nemico che è ovunque e in nessun luogo non
può essere aggredito.
Le recenti vicende
brasiliane sono molto significative per comprendere come si muove il
nuovo potere. Un governo di uno Stato, legittimato secondo le
procedure statuali classiche, viene attaccato dal nuovo potere, che
non riconosce quella legittimazione. La magistratura ha formulato
accuse contro i principali esponenti del governo e del partito di
maggioranza. Queste accuse, però, non si possono comprendere
all'interno di una logica puramente statuale, secondo le procedure
giuridiche. Vanno invece lette come risultante di un attrito tra il
nuovo potere e una resistenza statuale. Il lato interessante è che
il nuovo potere usa quella che è una funzione propria dello Stato,
la magistratura, rivolgendola contro lo Stato stesso.
Ciò
che avviene oggi in Brasile non è del tutto inedito. Si è già
visto per la prima volta in Italia. Nel '92 un intero ceto politico
fu azzerato, fatto salvo per quegli elementi “riciclabili”, che
si allearono col nuovo potere. Incapaci di comprendere la portata di
eventi epocali, molti osservatori videro in quegli accadimenti
nient'altro che una normale prassi giudiziaria, eccezionale solo per
via dell'oggetto delle sue indagini e delle dimensioni di queste
ultime. Vi si è anche vista una sorta di “rivoluzione civile”,
un tentativo da parte della società civile di rigenerare lo Stato in
modo autonomo rispetto ai suoi apparati (nessuno si accorse di quanto
ciò sia contraddittorio). L'inchiesta di Mani Pulite,
invece, è stato il primo esempio di un'aggressione su larga scala
del nuovo potere contro la statualità. Non bisogna pensare a una
guerra di posizione tra due eserciti contrapposti, ciascuno dei quali
presidia una porzione di territorio, e cerca di strapparne alla parte
avversa. Il nuovo potere non presidia nessun luogo,
non ha sentinelle, fortezze e fossati. Esso attraversa
gli organi del nemico, li usa e poi li abbandona lasciandoli
apparentemente intatti. Non li distrugge. Dal punto di vista
meramente giuridico-statuale nel '92 non accadde nulla di anomalo. I
meccanismi formali della statualità furono rispettati. Restando
all'interno della logica giuridico-statuale non ci è possibile
comprendere la portata di quegli avvenimenti. La magistratura
italiana del '92, o, per meglio dire, quella porzione di magistratura
che si occupava dell'inchiesta, operò all'interno delle regole dello
Stato, ma contro lo Stato.
Le leggi non bastavano a proteggere la Legge.
Un'altra
ragione per cui il punto di vista interno,
procedurale, non ci permette di comprendere gli eventi è che Mani
Pulite non fu soltanto un'indagine giudiziaria. Fu un evento
mediatico. La sua potenza non si deve semplicemente alla prassi
giuridica, ma all'amplificazione e al riverbero delle reti di
comunicazione. Queste ultime hanno proiettato la procedura
giudiziaria al di fuori di se stessa;
la statualità si è, per così dire, disciolta.
È venuto meno il legame della Norma con lo Stato e la funzione si è
separata dallo scopo. Non ci fu eversione, per lo meno non sul piano
giuridico, la norma non venne infranta. Essa, piuttosto, venne
attraversata dal nuovo potere.
In
questo modo la divisione delle cariche tipica della statualità
moderna liberale è risultata adatta ai meccanismi del nuovo potere.
La magistratura non deve obbedienza formale al governo. Anzi, sua
prerogativa è proprio quella di essere autonoma rispetto al governo.
In questo modo il nuovo potere può insinuarsi
in comparti statuali che agiranno contro altri comparti statuali.
Il
nuovo potere costituisce delle alleanze labili
con determinati attori, pronte a essere sciolte in qualsiasi momento.
Così alcuni settori dello Stato possono trarre vantaggio
dall'attraversamento del nuovo potere, mentre lo Stato viene
indebolito. Il nuovo potere si propaga come un virus. Dalla società
civile si è trasmesso alla magistratura, poi di nuovo alla società
civile e da questa al governo. Non ci sono centri
del nuovo potere. Chiunque, qualunque mezzo o istituto può essere
attraversato dal potere. Ciò si deve all'istantaneità e
all'ubiquità della comunicazione reticolare e del mercato.
Internet e i
sistemi informatici hanno potenziato enormemente le reti di
comunicazione e il mercato praticamente azzerando qualsiasi diacronia
(intervallo nella ricezione del messaggio da un soggetto all'altro).
Il riverbero e l'amplificazione assumono una potenza di fatto
illimitata. Ogni agente inserito nella rete partecipa al flusso
comunicativo come cassa di risonanza. Gli esiti per il movimento del
nuovo potere e per lo sradicamento del vecchio possono quindi essere
innumerevoli e imprevedibili.
*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
Immagine tratta da: http://oltremedianews.it/maurits-cornelis-escher-al-chiostro-del-bramante/
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