Nel
nostro paese è frequente il ricorso al commissariamento per comuni o
enti pubblici, la cui amministrazione è considerata inefficiente o
illecita. L’ultimo caso, il più celebre, quello che ha riguardato
persino la capitale con il trasferimento del potere al Commissario
Tronca. Si tratta di una sorta di paradosso giuridico per cui la
legge ammette l’interruzione del normale corso della legge stessa.
Corruzione,
infiltrazione mafiosa o bancarotta, le motivazioni possono essere
diverse, ma alla base, soprattutto per ciò che riguarda i comuni, vi
è il ricorso alla procedura emergenziale.
La
gestione emergenziale del fenomeno prevede una fase di
destabilizzazione durante la quale esso appunto emerge
alla coscienza dell’osservatore (soprattutto in conseguenza della
sua diffusione sui media). A questo punto la normale prassi
amministrativa viene sostituita da una gestione dittatoriale e
monocratica. Il livello dell’emergenza suscita come reazione uno
stato di allarme. E in effetti, come secondo l’etimologia, si
tratta di una chiamata alle armi, di una legge
marziale
che entra in vigore al posto della legge canonica. Il nuovo corso
impone che la gestione tecnica subentri a quella politica. La
dialettica tra le parti e la discussione sui fini viene sospesa, ad
essere considerato è soltanto “il
rapporto fra mezzi e fini, l’idoneità dei procedimenti adottati
per raggiungere scopi che in genere si danno per scontati e che si
suppone si spieghino da sé” (Max Horkheimer, Eclisse
della ragione).
La
sospensione del diritto di rappresentanza comporta una rinuncia alla
politica, che, nella sua forma più piena, è mediazione, riflessione
e una discorsività pubblica. Dove interviene la procedura
emergenziale si suppone che non ci sia il tempo e il modo per la
mediazione e il discorso pubblico debba essere limitato alla
comunicazione funzionale della decisione già presa dall’organo
autocratico.
Risulta
particolarmente evidente per la bancarotta comunale. In questo caso
il Municipio è obbligato al rientro del disavanzo, quindi
all’innalzamento delle tasse comunali. Questo tipo di procedura
emergenziale tecnico-finanziaria si è vista in grande in Italia, e
in tutta Europa, con la cosiddetta austerità e l’imposizione di un
governo di fatto autocratico richiesto dall’Unione Europea e privo
di rappresentanza popolare. Le questioni sociali che la politica
doveva governare sono passate in secondo piano rispetto
all’“emergenza del debito”. Misure fino a pochi anni prima
parevano inconcepibili sono state giustificate in nome
dell’emergenza. Quelle procedure, infine, si sono estese nel tempo,
contraddicendo la loro stessa definizione che prevede un limite
temporale, e divenendo sempre più prassi comune ed accettata de
facto,
seppure in concorrenza con la prassi rappresentativa.
Il
declino della politica è segnato proprio da questa fase. Spesso non
si ha un passaggio diretto a un’autocrazia formale, ma il diritto
di rappresentanza viene sempre più delegittimato, sabotato, svuotato
di significato. Si taccia la politica e le sue categorie di
inettitudine, lentezza, inefficienza nel trattamento del problema,
che invece si presume richieda una gestione rapida, senza fronzoli,
che non si fermi a considerare le istanze delle varie parti e non
perda tempo nella mediazione.
Le
esigenze del mercato e del capitale spingono sempre di più in questa
direzione. Se alcuni decenni fa anche l’economia doveva tollerare
il processo deliberativo politico, la rappresentanza delle varie
parti e inserirsi all’interno del processo, accettandone la
mediazione, oggi se ne tira fuori del tutto e pretende di
assoggettarlo ai propri canoni. “I mercati chiedono che il governo
faccia questo” è una frase che si sente sempre più ripetere
ultimamente.
La
procedura emergenziale, come quella del commissariamento, è l’ideale
per queste richieste dei mercati. Attraverso di essa il capitale può
imporre le proprie istanze senza passare per il processo di
mediazione politica. Tutte le altre istanze vengono meno, persino, a
volte, gli attori rinunciano a proporle o lo fanno con debolezza. In
questo modo scompare il diritto di rappresentanza e si riconosce come
unica esigenza legittima quella del mercato.
*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
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