29 giu 2016

Il commissariamento come procedura emergenziale*

Nel nostro paese è frequente il ricorso al commissariamento per comuni o enti pubblici, la cui amministrazione è considerata inefficiente o illecita. L’ultimo caso, il più celebre, quello che ha riguardato persino la capitale con il trasferimento del potere al Commissario Tronca. Si tratta di una sorta di paradosso giuridico per cui la legge ammette l’interruzione del normale corso della legge stessa.
Corruzione, infiltrazione mafiosa o bancarotta, le motivazioni possono essere diverse, ma alla base, soprattutto per ciò che riguarda i comuni, vi è il ricorso alla procedura emergenziale.
La gestione emergenziale del fenomeno prevede una fase di destabilizzazione durante la quale esso appunto emerge alla coscienza dell’osservatore (soprattutto in conseguenza della sua diffusione sui media). A questo punto la normale prassi amministrativa viene sostituita da una gestione dittatoriale e monocratica. Il livello dell’emergenza suscita come reazione uno stato di allarme. E in effetti, come secondo l’etimologia, si tratta di una chiamata alle armi, di una legge marziale che entra in vigore al posto della legge canonica. Il nuovo corso impone che la gestione tecnica subentri a quella politica. La dialettica tra le parti e la discussione sui fini viene sospesa, ad essere considerato è soltanto “il rapporto fra mezzi e fini, l’idoneità dei procedimenti adottati per raggiungere scopi che in genere si danno per scontati e che si suppone si spieghino da sé” (Max Horkheimer, Eclisse della ragione).
La sospensione del diritto di rappresentanza comporta una rinuncia alla politica, che, nella sua forma più piena, è mediazione, riflessione e una discorsività pubblica. Dove interviene la procedura emergenziale si suppone che non ci sia il tempo e il modo per la mediazione e il discorso pubblico debba essere limitato alla comunicazione funzionale della decisione già presa dall’organo autocratico.
Risulta particolarmente evidente per la bancarotta comunale. In questo caso il Municipio è obbligato al rientro del disavanzo, quindi all’innalzamento delle tasse comunali. Questo tipo di procedura emergenziale tecnico-finanziaria si è vista in grande in Italia, e in tutta Europa, con la cosiddetta austerità e l’imposizione di un governo di fatto autocratico richiesto dall’Unione Europea e privo di rappresentanza popolare. Le questioni sociali che la politica doveva governare sono passate in secondo piano rispetto all’“emergenza del debito”. Misure fino a pochi anni prima parevano inconcepibili sono state giustificate in nome dell’emergenza. Quelle procedure, infine, si sono estese nel tempo, contraddicendo la loro stessa definizione che prevede un limite temporale, e divenendo sempre più prassi comune ed accettata de facto, seppure in concorrenza con la prassi rappresentativa.
Il declino della politica è segnato proprio da questa fase. Spesso non si ha un passaggio diretto a un’autocrazia formale, ma il diritto di rappresentanza viene sempre più delegittimato, sabotato, svuotato di significato. Si taccia la politica e le sue categorie di inettitudine, lentezza, inefficienza nel trattamento del problema, che invece si presume richieda una gestione rapida, senza fronzoli, che non si fermi a considerare le istanze delle varie parti e non perda tempo nella mediazione.
Le esigenze del mercato e del capitale spingono sempre di più in questa direzione. Se alcuni decenni fa anche l’economia doveva tollerare il processo deliberativo politico, la rappresentanza delle varie parti e inserirsi all’interno del processo, accettandone la mediazione, oggi se ne tira fuori del tutto e pretende di assoggettarlo ai propri canoni. “I mercati chiedono che il governo faccia questo” è una frase che si sente sempre più ripetere ultimamente.
La procedura emergenziale, come quella del commissariamento, è l’ideale per queste richieste dei mercati. Attraverso di essa il capitale può imporre le proprie istanze senza passare per il processo di mediazione politica. Tutte le altre istanze vengono meno, persino, a volte, gli attori rinunciano a proporle o lo fanno con debolezza. In questo modo scompare il diritto di rappresentanza e si riconosce come unica esigenza legittima quella del mercato.






*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente



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