31 mag 2016

Ripensare la questione femminile*

Una pubblicità di qualche anno fa di una nota marca italiana di moda alludeva a uno stupro di gruppo su una donna stesa a terra. La pubblicità suscitò, comprensibilmente, l’ira delle femministe. Si tratta dell’ennesima prova del maschilismo della società che attua ancora oggi sulla donna una dominazione di tipo patriarcale – che giustifica la violenza ed esalta la virilità del maschio – unico vero ostacolo alla completa emancipazione femminile?
La questione, in realtà, non è così semplice. Bisogna però essere chiari. La discriminazione sessuale è una realtà storica, non un’invenzione, come una reazione a un certo femminismo estremista tenderebbe a pensare. Dire “la donna in realtà ha sempre comandato” è una forma di negazionismo storico. In Italia era un’usanza accettata, fino almeno agli anni Sessanta, rapire la donna, violentarla e poi chiedere alla famiglia il “matrimonio riparatore”, che la famiglia accettava per non perdere “l’onore”. Fino al 1981 la legge italiana ammetteva l’esistenza del matrimonio riparatore. In particolare, le donne delle classi inferiori lavoravano tutto il giorno per occuparsi delle faccende domestiche, della cura dei figli, della cucina e di tante altre mansioni. Non esistevano giorni di riposo, le festività dispensavano l’uomo ma non la donna dal suo lavoro domestico, un lavoro massacrante, per il quale non esistevano quei diritti che gli uomini proprio in quegli anni stavano faticosamente ottenendo. Molte donne erano soggette a violenze, fisiche o psicologiche, da parte del marito, del padre o di altri familiari, senza avere la possibilità di rivalersi in alcun modo.
L’oppressione patriarcale ha tenuto per secoli le donne sotto il suo giogo, in un contesto familiare piramidale con al vertice la figura del padre-marito-padrone. Questa oppressione veniva esercitata in tutte le classi sociali, anche se con effetti forse un po’meno dolorosi nelle famiglie più agiate. Tuttavia bisogna riconoscere che la dominazione patriarcale dagli anni Settanta ha cominciato a sgretolarsi e che ormai sta per essere spazzata via dalla storia. Ovviamente ciò non vuol dire che essa non esista più, che non esistano tutt’ora episodi di violenza, di sottomissione della donna, di discriminazione e di sofferenza fisica o psichica inflitta agli individui di sesso femminile. Ma questi episodi non riguardano il nuovo corso storico, sono dei retaggi, delle incrostazioni del passato, anche se, forse, ci vorranno ancora decenni, o magari secoli, prima che anch’essi scompaiano del tutto.
È stato lo sviluppo del capitalismo ad abolire il patriarcato. Nella società “solida” (per usare l’espressione di Bauman) incentrata sulla produzione, c’era bisogno di braccia per lavorare e l’economia non poteva permettersi di lasciare inattiva la metà della popolazione. Inoltre l’evoluzione tecnologica faceva diventare sempre più obsoleto il ricorso alla forza muscolare e pertanto rendeva le donne idonee a tutti i tipi di lavoro quanto gli uomini. Ma questo non fu sufficiente a permettere un totale superamento della dominazione patriarcale. Solo con la trasformazione “liquida” della società la necessità di sviluppare un sistema di vita attorno al consumo ha richiesto di porre fine alle inibizioni e alla “sobrietà” che precedentemente caratterizzavano i costumi femminili. La donna doveva diventare consumatrice, quindi doveva bere e fumare come gli uomini, quindi doveva mostrare e non nascondere il proprio corpo, doveva divertirsi e godersi la vita senza sensi di colpa e gli uomini dovevano accettarlo. Ormai la donna non ha restrizioni nell’esprimersi, in nessun ambito; ma ciò non significa che possa dirsi finalmente liberata; non significa che una volta superata la dominazione patriarcale, per lei si aprano le porte dell’emancipazione autentica.
La società dei consumi ricorre alla sessualità della donna come attrattiva per sedurre i consumatori e per esserne sedotta. Il corpo della donna è ormai linguaggio pubblicitario privilegiato per rivolgersi alle pulsioni consumistiche. Alla donna non viene più intimato di coprirsi, ma, al contrario, di spogliarsi, per una marca, per “essere libera”, per beneficenza, per il proprio uomo, “per se stessa”, persino per un’università, come avvenuto di recente con le foto di alcune ragazze che “sponsorizzavano” il proprio ateneo attraverso la rete. Esiste una forma di dominazione patriarcale, in questo? No, ne è anzi l’esatta negazione e ne testimonia la completa distruzione. Il moderno oppressore delle donne non è il patriarcato, che non esiste più se non come “rudere” archeologico, è il capitale, che esercita direttamente il suo dominio. La donna diventa una merce, una merce che è la chiave per tutte le altri merci. Certo, si tratta di una dominazione forse meno cruenta della precedente, ma non meno efficace. Eppure, in alcuni casi, non è escluso che possa servirsi dei retaggi patriarcali, mantenendoli “artificialmente” in vita, come dimostra il caso dello spot della marca di moda sopraccitato.
Ma che strizzi l’occhio a vecchi stereotipi o che la esorti a denudarsi e a concedersi senza inibizioni, il nuovo potere esercitato sulla donna non prevede divieti, repressioni, moralismi, ma l’inserimento in un circuito di scambi attraverso l’esposizione disinibita e persino narcisistica di sé, spacciata come “libertà”. Riflettano le femministe le quali, spesso, illudendosi di difendere una presunta “libera scelta” a esporsi senza reticenze, si schierano inconsapevolmente dalla parte del capitalismo e del consumismo senza limiti che mercifica il corpo femminile.





*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente



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