Renzi
rappresenta la declinazione italiana della resa della politica.
Il
protettorato tecno-finanziario guidato da Monti è stato il momento
in cui la finanza è passata al dominio diretto dell’Italia, senza
nessuna mediazione politica, fatto senza precedenti nella storia.
Anche
in condizioni di forza, infatti, i gruppi economici si avvalgono
sempre di figure politiche intermediarie attraverso le quali far
valere i loro interessi.
Una
volta che l’oligarchia ha ristabilito l’ordine, un po’ scalfito
dall’era berlusconiana, una volta avviata l’ultima tappa del
processo di restaurazione cominciato negli anni Novanta
(privatizzazioni, cancellazione dei diritti sociali, abolizione di
tutte le restrizioni al mercato, ecc.) ha restituito solo in parte il
suo ruolo alla politica. Ma lo ha fatto, ovviamente, solo a
condizione che questa “rispettasse i patti”, ovvero si inserisse
pienamente nel solco del progetto restaurativo avviato.
Renzi
è l’incarnazione di questo ceto politico dirigente “sotto
assedio”, che gode cioè di un’autonomia puramente formale, ma
con le truppe occupanti appena fuori confine pronte a entrare alla
prima mossa non gradita.
Il
“ritorno” della politica non è più trionfale di quello del
generale sconfitto in guerra costretto ad accettare durissime
condizioni di pace. L’Italia, come molti altri paesi, è una sorta
di Repubblica di Vichy del ventunesimo secolo.
Ridefiniti
gli spazi ristrettissimi all’interno dei quali il Terzo Reich
finanziario permette alla classe dirigente italiana di muoversi
“liberamente”, cioè un’enclave puramente simbolica, può
nascere ed affermarsi la concezione renziana. Questa deve la sua
ascesa alla proclamata “rottamazione”. Tale “rottamazione” ha
una valenza meramente simbolica. È tale nelle intenzioni fin dal
momento in cui viene concepita. Ad essere “rottamata”, infatti,
nelle parole stesse del suo autore, è la “vecchia politica”,
ovvero la politica ancora capace di decidere autonomamente e di
contare qualcosa; una politica non ridotta al mero ruolo di
testimonianza ma in grado di incidere nelle dinamiche sociali. Questa
“vecchia politica”, in verità, era già stata di fatto
“rottamata” dal colpo di stato del 2011 e dal commissario Monti.
Quella di Renzi, invece, è una rottamazione mediatica, non
prescritta dall’oligarchia, che fa piazza pulita di tutti i volti,
i discorsi, le procedure simbolicamente legati al “vecchio”, cioè
al periodo precedente il dominio assoluto del capitalismo
finanziario.
La
politica
di Renzi è in realtà una post-politica,
che si occupa dei vuoti comunicativi lasciati dall’intervento della
finanza. Renzi, certo, non è un fenomeno del tutto nuovo, ma il
punto di arrivo di un processo avviatosi vent’anni prima. Tuttavia
è la personificazione della politica che liquida se stessa. Questa,
perdendo qualsiasi rapporto con la realtà, perché estromessa
dall’ubiquità del mercato, si occupa di recidere i residui
simbolici di un simile rapporto.
L’innovazione
renziana è proprio questa. Al contrario dei precedenti governi di
centrosinistra non si occupa di gestire la complicata e
contraddittoria relazione tra una simbologia e una discorsività
politica residuale e la sua reale espulsione dalla società, ma, con
una cesura netta, elide la prima e cerca di rifondare una simbologia
e una discorsività che accetti con entusiasmo l’esclusione del
politico. Il conflitto ideologico, anima della politica, seppure
ridotto a un simulacro, si trascinava ancora nella dicotomia (per
quanto caricaturale) destra/sinistra e c’era persino spazio per
richiami diretti al comunismo, al socialismo, alla democrazia
cristiana e alla Prima Repubblica, anche se erano richiami che non
uscivano dalla dimensione comunicativa.
La
post-politica
abolisce tutto questo. Partiti teoricamente avversari si stringono la
mano e approvano le stesse leggi. Non si tratta di un accordo
segreto, o di qualche trama ideata dalle fantasie di un
cospirazionista, avviene tutto alla luce del sole, anzi, è
rivendicato orgogliosamente e con gioia. Nemmeno Berlusconi all’apice
del suo successo, era arrivato a tanto. Per quanto abbia voluto
presentarsi, nel momento della sua ascesa, come l’imprenditore
milanese che irrompe tra la cricca di burocrati ingrigiti, il suo
tipico plebiscitarismo in qualche modo si ispirava ancora alla
“vecchia politica” aborrita da Renzi, e c’era persino spazio
per retaggi ideologici che vedevano Berlusconi alfiere di un
anticomunismo in assenza di comunismo. Coloro che paragonano Renzi a
Berlusconi non hanno capito quanto quest’ultimo sia stato superato.
Compito
della post-politica,
dunque, è trasferire nella sfera simbolica la resa della politico
nel suo senso etimologico; la polis rinuncia ad autogovernarsi.
L’unica forma di “governo” ammessa è la comunicazione della
sua assenza. “Non
dobbiamo più avere paura dei mercati” ha detto Renzi celebrando la
quotazione in borsa della Ferrari “se ci mettiamo in pista siamo i
più bravi del mondo”. Possiamo fare a meno della politica,
apriamoci al mercato! “L’Italia deve smetterla di giocare con gli
alibi, con i tentativi di giustificare le mancanze del passato.
L’Italia finalmente c’è. I problemi in agenda nel 2015 non ci
sono più, sono stati affrontati”. Una volta che queste aperture al
mercato sono state permesse dall’autoevirazione della politica,
tutta la responsabilità viene scaricata sulla società, ma una
società non certo organizzata, bensì frammentata, inconsapevole
perché priva dello strumento politico.
Tutto
starà alla capacità dei singoli di essere vendibili sul mercato, di
pubblicizzarsi, di farsi merci appetibili. Il mercato si espande
indefinitamente e la post-politica,
in modo del tutto esplicito, si assume l’unico incarico di far
accettare alla società questa espansione.
*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
Complimenti. Non si poteva dire meglio.
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