Il “conflitto di
interessi” è risorto in Italia dalle ceneri dopo essere stato
archiviato con la fine dell'era berlusconiana. Ai tempi d'oro del
Cavaliere era l'argomento privilegiato dell'opposizione con cui
attaccarlo. Distrutto politicamente Berlusconi, ha potuto essere
accantonato ed è ricomparso soltanto nella recente cronaca politica
con la vicenda del Ministro Boschi e della Banca Etruria.
A prescindere
dalla responsabilità individuali, che chi scrive non intende negare,
la vera questione è l'incapacità dei media, del ceto politico e
della gran parte degli intellettuali di avanzare una critica
sistemica a un fenomeno che trova la sua ragion d'essere nella
struttura sociale. Ci si limita per lo più ad accuse personali che
mettono in discussione il singolo, senza toccare l'apparato
socio-economico.
Dovrebbe far
riflettere il fatto che i casi succitati siano affatto secondari.
Nulla si disse, ad esempio, della nomina a Presidente del Consiglio
di Enrico Letta, membro delle più importanti lobby economiche
internazionali, dal Gruppo Bilderberg all'Aspen Institute; stesso
profilo per il suo predecessore Mario Monti, che in più è stato
anche consigliere di Goldman Sachs e della Coca Cola. Silenzio
assoluto sulla nomina di Mario Draghi, anch'egli uomo di Goldman
Sachs, prima a governatore della Banca d'Italia e infine a Presidente
della Banca Centrale Europea. Cosa dire, invece, di Carlo Cottarelli,
che da rappresentante del Fondo Monetario è stato nominato
Commissario per la Revisione della Spesa dal governo Letta? E lo
stesso Renzi, può annoverare tra i suoi sovvenzionatori finanzieri
come Davide Serra, fondatore del fondo speculativo Algebris, e Marco
Carrai, consiglieri come l'israeliano Yoram Gutgeld, dirigente della
controversa multinazionale americana di consulenza McKinsey in
seguito nominato successore di Cottarelli.
Di esempi se ne
potrebbero fare a migliaia. Praticamente tutti i governi della
Seconda Repubblica hanno accolto tra i loro più importanti esponenti
figure di questo tipo, che influenzano le decisioni politiche molto
più che un Berlusconi o una Boschi qualsiasi. Eppure non suscitano
alcuna indignazione lontanamente paragonabile allo scandalo provocato
dai giornali attorno a questi ultimi.
Nella
rete dei j'accuse
mediatico-giudiziari cadono sempre casi molto esposti pubblicamente,
ma politicamente molto poco rilevanti se confrontati con le
straordinarie influenze che i gruppi di pressione e gli apparati
finanziari esercitano costantemente sui vari governi, spesso con
propri rappresentanti al loro interno.
Non è un problema
individuale, di “buoni” e “cattivi”. È il capitalismo stesso
a essere un enorme conflitto di interessi vivente, perché ha bisogno
costante di sostegno politico e non si limita certo a operare in una
situazione di “libero” mercato, come vorrebbero i neoliberali. Il
clamore attorno a singole figure più o meno irrilevanti è utile
soltanto a distogliere l'attenzione dal meccanismo complessivo,
dall'essenza stessa del capitalismo, per smistarla su personaggi
pubblici. In questo modo la frustrazione popolare può trovare uno
sfogo, scaricandosi su uomini in carne e ossa ed essere così gestita
e fatta rientrare nel sostegno di fondo all'organizzazione
socio-economica che la produce.
Anche questo
personalismo è il risultato della post-ideologia, ovvero
dell'ideologia dell'assenza di ideologia (di per sé
contraddittoria). Su di esso i nuovi demagoghi costruiscono la loro
effimera carriera. Venendo a mancare le strutture di pensiero che
permettevano di interpretare la realtà in modo olistico, venendo a
mancare gli apparati politici che consentivano di agire sulla realtà
in virtù di quella data interpretazione, non resta al “cittadino
globale” dell'era post-moderna che affidarsi a figure estemporanee
che personalizzano la politica, e a impotenti sfoghi di rabbia contro
i soggetti mediaticamente più esposti.
La catarsi
popolare viene così raggiunta attraverso rituali linciaggi
metaforici (espressione della loro impotenza) tanto comuni in
internet ma anche su televisioni e giornali, i “due minuti d'odio”,
come nel romanzo orwelliano, che consentono alle pulsioni di
manifestarsi in modo innocuo per l'apparato di potere.
*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
Immagine tratta da: http://italiadallestero.info/archives/16869
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