Così può essere
definito quel processo che tende ad espropriare lo Stato delle sue
funzioni, per attribuirle ad altri enti, pubblici o privati, locali,
nazionali o sovranazionali. In Italia esso si è manifestato con
particolare virulenza a partire dagli anni '90, ed è poi proseguito
e prosegue tutt'ora senza alcuna discontinuità.
A livello politico
esso è stato favorito dalla conversione dei partiti di sinistra (in
particolare l'ex PCI) all'ideologia neoliberale, dall'affermazione di
una destra liberista, in parte da sempre, in parte anch'essa
convertitasi, e dall'apparizione di istanze, soggetti e movimenti
regionalisti e localistici il più importante dei quali è stato
senz'altro rappresentato dalla Lega Nord.
A
livello culturale sono due le caratteristiche di questi partiti che
hanno permesso il nuovo corso anti-statalista della politica
italiana. Da un lato l'imporsi di una presenza egemonica delle teorie
economiche neoclassiche non solo in ambito accademico, ma anche nel
dibattito presso i grandi media aperto al più ampio pubblico.
Nonostante l'approccio keynesiano o post-keynesiano, al pari di
quello marxiano, agli studi macroeconomici, sia piuttosto raffinato
ed evoluto, oltre a poter contare sulla forza di un maggiore
riscontro empirico, al grande pubblico vengono sempre proposte in
maniera quasi esclusiva le visioni delle vecchie proposte liberiste,
le stesse che portarono alla crisi del '29 e a quella più recente
attualmente ancora in corso in Europa. Dall'altro lato è stata messa
in atto una strategia di delegittimazione nei confronti del concetto
di nazione. Quest'ultima è stata disconosciuta come portatrice di
progresso nelle società contemporanee e identificata con una
concezione dello Stato necessariamente autoritaria e dispotica,
quando non apertamente totalitaria e fascista. Tutti coloro che
cercano di difendere un concetto di Stato
forte vengono
pertanto criminalizzati con l'accusa infamante di fascismo o
stalinismo.
La
destatalizzazione consiste nel dislocamento centrifugo delle attività
e delle funzioni burocratiche dallo Stato verso tre direttive. Una è
quella della burocrazia
internazionale,
che è stata rappresentata dall'europeizzazione del diritto e della
pianificazione della politica economica. Il controllo della moneta e
delle politiche fiscali e valutarie è stato trasferito dallo Stato
nazionale all'Unione Europea e alla Banca Centrale Europea. Il
Parlamento italiano è stato completamente privato del proprio potere
legislativo in materia economica. Esso si limita a ratificare
decisioni prese altrove o a tradurre nel diritto italiano norme
europee. In questo modo lo Stato ha perduto del tutto il potere di
modificare il ciclo economico ed è stato azzerato qualsiasi sistema
rappresentativo, funzionando le istituzioni europee secondo
meccanismi per lo più autocratici.
La
seconda direttiva verso la quale viene disperso il potere statale è
quella del localismo
amministrativo
e dell'autonomismo
aziendalista.
I poteri amministrativi sono stati affidati alle Regioni e ai Comuni,
in nome della gestione federalista della cosa pubblica. I fautori del
federalismo sostengono che questo processo renderebbe l'ente pubblico
più efficiente e “avvicinerebbe” i cittadini alla sua
amministrazione. Nella realtà, tuttavia, il decentramento è servito
a creare diseguaglianze e sperequazioni tra diverse aree. La
regionalizzazione della sanità, ad esempio, ha creato rilevanti
differenze nella qualità e nella quantità dei servizi, come nel
loro costo, in violazione dell'articolo 3 della Costituzione che
garantisce la parità di trattamento tra tutti i cittadini e impegna
lo Stato a promuovere una effettiva eguaglianza. Il federalismo non
serve a democratizzare l'amministrazione dei territori, ma soltanto a
rafforzare le signorie e le reti clientelari di chi li amministra. Un
ente locale non dispone di tutte le facoltà che gli permettano di
esercitare un governo efficace e socialmente soddisfacente, se non
isolatamente e a costo di notevoli scompensi e differenze tra le
diverse aree. Esso infatti non dispone di alcune funzioni che
sarebbero indispensabili, quali il controllo delle forze armate, il
diritto di battere moneta, la pianificazione di una politica
industriale e fiscale. Queste facoltà possono essere proprie
soltanto di uno Stato centrale. Gli enti locali sono funzionali
quando servono a ramificare e a diffondere il controllo dello Stato.
Non quando tentano di sostituirsi ad esso.
La politica moderna, del resto, si basa proprio su questo concetto.
Ovvero accentramento, piuttosto che decentramento; dalla periferia al
centro e non dispersione dal centro verso la periferia.
L'affermazione delle monarchie nazionali sui potentati e sulle
signorie locali è stato uno dei fattori che hanno contribuito allo
sviluppo politico, giuridico ed economico dei paesi europei. La sua
mancanza, per lungo tempo, ha causato gravi ritardi nello sviluppo
della Penisola, nonostante l'intraprendenza della nascente industria
capitalistica che vide proprio in Italia la sua precoce fioritura. Le
federazioni sono servite, ad ogni modo, ad accentrare, ad unire
diverse entità territoriali non diversamente unificabili, e a
permettere un migliore controllo amministrativo in un'epoca in cui le
reti viarie e i mezzi di comunicazione non consentivano una
trasmissione immediata delle informazioni. Diventa pertanto un
reperto storico in un'epoca in cui le comunicazioni viaggiano alla
velocità della rete internet, tanto più in un paese come l'Italia
che ha sempre avuto, dalla sua unificazione, una tradizione
centralista.
La stessa logica centrifuga – ancorché radicalizzata – è quella
che giustifica l'autonomia delle cellule di alcuni settori strategici
come la sanità e l'istruzione. Ospedali e scuole diventano simili ad
aziende indipendenti, il cui scopo non è più quello di provvedere
al benessere sociale, ma di mettere un prodotto sul mercato, secondo
la logica capitalistica. Le aziende formative e quelle sanitarie si
comportano come unità produttive autonome che hanno il compito di
reperire capitali e di mantenere i bilanci in attivo. Non è una
privatizzazione classica, ma di fatto questi settori vengono
sottratti al governo dello Stato e consegnati alla infernale macchina
del profitto che sostituisce il valore di scambio al valore umano e
sociale.
La
terza direttiva, invece, è quella delle privatizzazioni
vere e proprie. Essa è sostenuta da una ideologia che vuole lo Stato
sempre corrotto e inefficiente e l'agente privato come valido
operatore selezionato dalla “mano invisibile” del mercato.
L'Italia è stato il paese che ha compiuto la più imponente opera di
privatizzazione. Ma in questo modo ogni servizio e ogni apparato
industriale è stato sottoposto alle leggi di mercato e strappato
agli interessi strategici nazionali. L'agente privato è vincolato
alla necessità di realizzare un profitto. Questo vuol dire che il
valore guadagnato dovrà essere sottratto a un altro agente di
mercato. Inoltre, per realizzare un guadagno, l'azienda dovrà
necessariamente sottrarre una parte del valore al compratore; cioè o
il prezzo sarà troppo alto o la qualità del servizio più bassa.
L'impresa pubblica di uno stato centralista e sovrano, invece, non
sarà vincolata all'attivo di bilancio, e potrà fornire beni e
servizi nell'interesse non del proprio profitto, ma del beneficio
collettivo e della strategia macroeconomica nazionale.
Internazionalizzazione burocratica, localismo e autonomismo,
privatizzazioni, sono le tre direttive verso le quali si sta cercando
di destrutturare lo Stato per permettere a determinati gruppi
economici di liberarsi dei vincoli sociali e di esercitare
un'egemonia assoluta. La crisi politica, economica e sociale
dell'Italia può essere fermata soltanto invertendo questa tendenza,
con la ricostruzione di uno Stato nazionale, centralista,
indipendente, che intervenga attivamente in economia, che diriga
direttamente almeno i settori strategicamente più importanti della
produzione e che pianifichi una politica industriale sul breve e sul
lungo periodo. Solo così l'attività e il lavoro umani potranno
essere sottratti alla mercificazione totale della società
neoliberale e alle disumane esigenze del profitto.
*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
Immagine tratta da: http://www.quirinale.it/qrnw/statico/simboli/emblema/emblema.htm
Nessun commento:
Posta un commento