23 mar 2015

Perché Tsipras ha fallito*

Appena un mese è durata la “rivoluzione” greca. Le speranze della popolazione di superare l'attuale condizione recessiva e di fermare le politiche di austerità ,che hanno messo in ginocchio la nazione, erano state risposte nel partito di Syriza, che aveva promesso di opporsi ai diktat della Troika.
Ma ormai il governo greco pare già intenzionato a cedere su alcuni punti chiave della sua campagna, come il blocco delle privatizzazioni avviate dai precedenti governi. Appare altresì improbabile che la Grecia possa attuare i programmi di assistenza e il rilancio del servizio sanitario pubblico.
Il governo ellenico dovrebbe essere deciso ad accettare i fondi europei, in modo da ossigenare le proprie finanze, ma per far questo deve accettare di capitolare sul programma politico.
Sebbene questa possa apparire come una delusione per gran parte di chi, dall'interno o dall'esterno del paese, aveva pensato che la vittoria di Syriza avesse potuto aprire una fase nuova per tutta l'Europa, in realtà è la logica conseguenza di una proposta politica arrabattata, estemporanea, fondata più sul marketing elettorale che su una realistica prospettiva tesa a restituire al paese la sovranità di cui è stata privata da parte della burocrazia europea e della finanza.
Dovrebbe essere chiaro, da un punto di vista realistico, che è impossibile conciliare gli interessi della finanza e della Troika con quelli del popolo greco. Per risollevare le sorti della nazione ellenica la ricchezza dovrebbe essere trasferita dal capitale finanziario agli investimenti produttivi. Ma per far questo bisognerebbe porsi in conflitto con i creditori stranieri, ovvero coloro che traggono vantaggio dalla perpetuazione del presente stato di cose.
Il programma di Syriza prevedeva una rinegoziazione del debito pubblico della Grecia. Ma ciò non può essere realizzato finché il paese rimane sotto il ricatto della BCE. L'unica possibilità di riequilibrare i rapporti di forza è rappresentata dal recupero della sovranità nazionale, obiettivo che non può essere perseguito finché non vengono messi in discussione gli assetti dell'Unione Europea. Chiave di volta di questi assetti è sicuramente l'unione economica fondata sulla moneta unica e sui bilanci pubblici vincolati. L'indisponibilità da parte degli stati membri della loro finanza li pone sotto costante ricatto dei mercati. L'adesione ai trattati impedisce l'attuazione dell'unica forma di finanza pubblica che potrebbe portare a una ripresa ovvero la spesa pubblica in disavanzo. Il ministro Varoufakis aveva chiarito esplicitamente prima delle elezioni che l'adesione all'euro e il pareggio di bilancio non sono punti in discussione. L'accettazione incondizionata della moneta unica priva i greci di qualsiasi potere contrattuale: il crollo della zona euro potrebbe essere l'unica possibilità capace di spaventare tanto i mercati quanto la burocrazia europea e di indurli a cedere alle richieste di ridefinizione del debito. L'eventualità di una moneta svalutata, infatti, significherebbe una perdita per i creditori e per i possessori di titoli di stato greci. L'uscita della Grecia dall'area valutaria, inoltre, potrebbe innescare una reazione a catena capace di decretare il crollo della moneta unica e dell'Unione europea, almeno per come è stata concepita da Maastricht.
Ma Syriza, nonostante i media l'abbiano presentato come partito euroscettico, si è posto a difesa dell'euro e degli assetti politici europei. A queste condizioni, qualsiasi strada – se non quella del solito cedimento al ricatto finanziario – è preclusa.
Crescita economica e riduzione della disoccupazione senza ingenti investimenti pubblici sono semplicemente impossibili. Solo infrangendo il tabù del pareggio di bilancio a tutti i costi e del disavanzo visto come blasfemia impronunciabile, è possibile invertire il ciclo economico.
Riappropriarsi della finanza di stato, ora posta sotto il ricatto dei mercati, è un presupposto indispensabile per realizzare una politica che riduca la povertà, cresciuta in modo impressionante in Grecia negli ultimi anni, e che riavvii il sistema produttivo.
Prenda esempio, l'Europa, dall'Argentina, paese fallito e devastato dalla sciagurata decisione di agganciare la sua moneta al dollaro. Il recupero della sovranità economica ha permesso ai governi Kirchner di incrementare la ricchezza nazionale, di ridurre la povertà e di rifiutare il pagamento di una parte degli interessi.
Non è certo una via priva di ostacoli, perché equivale una dichiarazione di guerra nei confronti dell'establishment internazionale. Ma è sicuramente preferibile al collasso economico, sociale e politico cui l'intera Europa, complice una sinistra spensierata e utopista, va allegramente incontro.


*Pubblicato anche su Total Free Magazine



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