19 giu 2014

Contro l'asse Berlino-Washington

Il sogno dell'occidentaliz-
zazione del globo, con la caduta del Muro di Berlino divenuta lo slogan del neoliberalismo, che doveva inaugurare un'era di pace e prosperità in tutto il Mondo da ovest a est, si è infranto contro un altro muro ben più invalicabile, quello della storia.
Come tutti gli imperi che crollano, anche l'Unione Sovietica con la sua scomparsa ha comportato una serie di catastrofi sociali, demografiche e politiche. Accadde con la fine dell'Impero Romano, con quella dell'Impero Ottomano, e non di meno con il crollo dell'URSS.
La potenza socialista non è stata sostituita da qualcosa di eticamente e politicamente preferibile. Ha creato soltanto dei popoli sradicati, in balia dei mercati e delle mire espansionistiche occidentali, ma anche in Occidente ha segnato la fine di ciò che rimaneva di un'idea di società alternativa.
Coloro che hanno gioito nel 1989 dovrebbero oggi ricredersi: non è stata garantita una vita migliore a quei popoli dell'ex Unione Sovietica, svegliatisi improvvisamente un giorno senza patria e senza governo; non c'è stato quell'avvenire di pace prospettato dai cultori delle presunti virtù democratiche dell'Impero Occidentale. Al contrario, dal quel 1989 è iniziata una serie infinita di conflitti bellici: 1991, Guerra del Golfo; 1992, guerra in Bosnia; 1996, guerra in Kosovo; 2001, guerra in Afghanistan; 2003, guerra in Iraq, fino ad arrivare alla guerra civile in Ucraina attualmente in corso.
Il crollo della potenza sovietica ha spianato la strada ai piani imperialistici americani oramai senza più alcun freno. Gli Usa hanno cercato, quasi sempre riuscendoci, di portare il conflitto in tutte le aree del pianeta non ancora sotto il loro controllo: nell'Europa dell'est, in Medio Oriente, in Nord Africa, in Estremo Oriente (soprattutto in Cina e in Corea del Nord, in questo caso però con scarsi risultati).
Hanno cercato di farlo per via diplomatica, creando e finanziando quei movimenti che miravano a rovesciare governi poco filo-americani (è il caso delle cosiddette “rivoluzioni colorate”) e, dove questo non era possibile, per via militare.
Ma la “fine della storia” profetizzata da Francis Fukuyama era solo un'utopia. L'egemonia mondiale statunitense durò poco più di una decade. Il ricostituirsi di uno stato russo e l'irrompere della Cina sarebbero state le “dure repliche della storia” alla tesi “post-storicista”.
Il “post-storicismo”, come il post-modernismo in ambito filosofico, proclama il dissolversi della modernità in nome di uno scetticismo totale che in realtà nasconde l'accettazione di una determinata visione del mondo: quella coincidente con l'ordine capitalistico occidentale ultra-liberista. Gli Stati Uniti hanno rappresentato la concretizzazione di questa ideologia sul piano politico-militare, mentre l'Unione Europea lo è stata su quello economico. Gli Usa avrebbero dovuto imporre la loro egemonia per via militare e strategica su tutto il globo; l'Unione Europea, fedele alleata, rappresenta il tentativo di spogliare gli stati dei loro poteri e di sottrarre l'economia al controllo della politica per imporre la concezione neoliberale nel Vecchio Continente, funzionale ovviamente agli interessi americani.
La speranza di chi crede che l'Unione Europea possa possa servire a contrastare l'egemonia americana si è rivelata una pia illusione. Gli Usa sono ben felici dell'unificazione europea, che ha annullato quel po' che rimaneva dell'autonomia delle nazioni europee. Lo scopo della UE è abolire le frontiere nazionali in nome della guerra ai nazionalismi per facilitare la mobilità dei capitali e favorire la penetrazione delle multinazionali americane.
Ma la supremazia statunitense sta volgendo al termine. Essa ha manifestato le prime crepe già alla fine degli anni Novanta, con l'emancipazione di alcune nazioni del Sud America, cioè proprio quel continente considerato il “cortile di casa” di Washington. Venezuela, Bolivia, e potenze emergenti come Argentina e Brasile, stanno portando avanti una politica estera di indipendenza quando non apertamente anti-Usa.
Sul versante orientale le cose non vanno meglio. Il fronte russo-cinese sembra destinato a sancire la fine dell'egemonia del dollaro. Il consolidamento del nuovo stato russo sotto la guida intelligente di Vladimir Putin ha arrestato, o quantomeno rallentato, la penetrazione euro-americana nelle repubbliche ex sovietiche.
Anche l'Unione Europea, la cui esistenza sembrava non discutibile fino a pochi anni fa, oggi si trova a dover fronteggiare una forte opposizione interna.
L'Ucraina rappresentava la frontiera della guerra imperialistica totale degli occidentali; l'obiettivo doveva essere quello di inglobarla nella NATO e renderla una postazione avanzata della scacchiera bellica del Pentagono e di includerla nella zona Euro, rendendola così ostaggio della finanza occidentale, in modo da stringere la Russia in una morsa . Ma Putin si sta opponendo tenacemente a questo tentativo e tutta la popolazione russa dell'Ucraina lo sostiene.
Si sono ricreati due blocchi, l'uno contro l'altro armati, con buona pace dei cantori di un disarmo unilaterale che in realtà rappresenterebbe la subalternità più totale agli Usa. Da una parte vi è l'Euramerica, fondata sull'asse Berlino-Washington, dall'altra l'Eurasia, costruita sull'asse Mosca-Pechino. Il ricostituirsi di un fronte anti-americano è utile ad arginare l'offensiva del capitalismo ultra-liberista. Il blocco euramericano si caratterizza per un'elevata finanziarizzazione del settore privato, antistatalista sul versante interno, mercantilista e imperialista su quello esterno. Quello eurasiatico invece è industrialista, statalista e protezionista. Quest'ultimo, pur presentando un assetto socio-politico criticabile, costituisce un fattore di stabilizzazione rispetto all'esplosione incontrollata dei conflitti dell'ultimo decennio su scala planetaria e di contrasto all'invasione imperialistica.
Le opposizioni europee, tuttavia, non sembrano ancora in grado di cogliere la portata di questa divisione. In particolare in Italia, si assiste a una sinistra, del tutto fagocitata ormai dalla linea euramericana, europeista e atlantista che ha ormai accettato supinamente la permanenza dell'Italia nella UE e nella NATO. Di contro, il Movimento Cinque Stelle, il maggior partito “anti-sistema” dello scenario italiano, si allea con un partito fortemente atlantista e neo-liberista composto da nostalgici della Thatcher. Il progetto dell'UKIP di Nigel Farage è semplicemente quello di costruire un'Europa anti-tedesca ma filoamericana. Come dire: dalla padella alla brace.
Una forza di opposizione consapevole dovrebbe invece non solo rigettare la burocrazia eurounionista, ma anche la NATO e le servitù militari. Dovrebbe promuovere accordi strategici con stati come la Russia o la Cina, ma anche con Brasile e Argentina, potenze emergenti in grado di accelerare il declino dell'egemonia statunitense.
Un partito filo-russo in Occidente, pur in modo critico e indipendente, potrebbe mettere in crisi l'unità dell'asse Berlino-Washington . Ma purtroppo questa forza non è ancora nata: dalla destra thatcheriana dell'UKIP alla sinistra pro-euro di Syriza le opposizioni risultano ancora incapaci di presentare una proposta coerentemente antimperialistica; circostanza spiacevole perché affida all'Europa ancora un ruolo secondario, al massimo coadiuvante, rispetto al conflitto, come accade ormai dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Nessun commento:

Posta un commento