La tentazione del “papa straniero”
sembra essere ben presente nella sinistra “post-ideologica” degli
ultimi tempi.
La liquidazione dell'ideologia e della
tradizione teorica – che rientra nella tendenza post-moderna a
cancellare il passato – la quale ormai sembra essersi consumata
anche nei settori cosiddetti “radicali”, ha prodotto un vuoto
difficilmente colmabile. La mancanza di strutture teoriche e pratiche
adatte a interpretare il presente, sebbene non elaborata
criticamente, si fa sentire a livello più o meno conscio. Far
rivivere il passato (non ovviamente in forma puramente celebrativa
né, all'opposto, fobica , ma in modo critico e dialettico) è
condizione indispensabile per afferrare il presente, soprattutto per
chi ambisce a trasformarlo. La rimozione preclude qualsiasi progetto;
l'elisione del passato porta con sé quella del futuro, condannando
al galleggiamento in un presente fluido e inafferrabile.
Il pensiero critico della sinistra, il
marxismo, e la prassi del movimento socialista e comunista, sono
stati dichiarati anacronistici, anti-storici. E ciò è avvenuto
nello stesso momento in cui, con doppiezza psichica da bipensiero
orwelliano, la narrazione dominante annunciava trionfalmente l'uscita
dell'umanità della storia.
Con la caduta del socialismo reale e il
trionfo (non definitivo) del capitalismo occidentale, le nuove linee
dirigenti del Partito Comunista Italiano, o di ciò che ne rimaneva,
si affannavano a distruggerlo frettolosamente per consegnarsi al
nuovo corso dei vincitori.
Rimosso il passato ingombrante,
rimanevano significanti senza significato e un apparato senza una
direzione e una linea nel marasma di eventi che si susseguivano. Fu
in quel momento, e solo in quel momento, che si presentò a sinistra
la questione del capo o, come si direbbe nel gergo anglofono del
giornalista, della “leadership”. Non si capiva che l'assenza del
“leader”, a sinistra, cioè di una personalità carismatica
capace di aggregare e in grado di dirigere l'azione politica per un
periodo di tempo apprezzabile, era l'effetto, non la causa del
problema. Come potevano nascere capi riconosciuti e autorevoli nel
vuoto culturale che si era creato? I capi della sinistra avevano
abbandonato la tradizione teorica della stessa, di cui avevano
conservato solo una vaga e confusa simbologia, della quale si
servivano per condurre le masse ancora al seguito (ciecamente e per
una sorta di “inerzia”) verso l'accettazione integrale
dell'ideologia delle classe mondiali dominanti. Corollario di questa
accettazione era la “sindrome dell'assediato”, ovvero il
sentimento che portava alla fobia per l'avversario politico (che,
combinazione fortuita, in quel momento era incarnato dalla
personalità esuberante e mediaticamente efficace di Berlusconi)
giudicato come foriero di tutti i mali, e che faceva ritenere anche
il liberismo più estremo preferibile alla sua ascesa al potere. La
sindrome dell'assediato ha portato le masse “fidelizzate” del
PCI-PDS-PD ad acconsentire, sia pur senza entusiasmo, a politiche più
destrorse di quanto Berlusconi e i suoi accoliti avessero mai osato
immaginare.
Ciò di cui i ceti fidelizzati della
“sinistra-destra” non si rendevano conto è che, come nella
poesia brechtiana, “Al
momento di marciare/ molti non sanno/ che alla loro testa marcia il
nemico.// La voce che li comanda/ è la voce del loro nemico.// E chi
parla del nemico/ è lui stesso il nemico”.
L'abbandono
del progetto rivoluzionario e dell'ideologia anticapitalista imposto
dalla nuova egemonia lasciava spazio solo al più cinico disincanto
velato di nostalgia. Ma persino su quest'ultima incombeva la censura
nei discorsi; il passato, quando è impossibile da cancellare, deve
essere aborrito senza esitazione. Il disagio psicologico poteva solo
esprimersi attraverso la fuga in altri paesi e contesti idealizzati e
idolatrati. Così si inaugurava la mania xenofila della sinistra, cui
le linee dirigenti ammiccavano volentieri. Il neonato Partito
Democratico (di cui persino il nome ricalca l'omologo statunitense)
presentò Veltroni, il suo primo segretario, con uno slogan ricopiato
dalla campagna presidenziale di Obama, quel “Yes, we can” che
veniva reso in italiano con la locuzione “Si può fare”.
L'ammirazione per i democratici americani è stata ricorrente tra la
sinistra italiana dagli anni Novanta (un po' affievolita
ultimamente). In fondo gli Stati Uniti, contrariamente all'Europa,
hanno sempre avuto una sinistra non socialista – e questo faceva
comodo alla strategia metamorfica delle linee dirigenti italiane –
ma nello stesso tempo permetteva di lenire il disagio semi-conscio
del militante e del simpatizzante alienati di sinistra, senza che
questi in realtà uscissero dal ristretto recinto nel quale erano
confinati.
Poco
dopo, nella cosiddetta “sinistra radicale”, quella “un po' più
a sinistra del PD”, maturato un analogo disincanto in merito alle
“ideologie” (con cui, nel comune modo di esprimersi, si intendono
tutte le costruzioni teoriche non funzionali al capitalismo) si
presentava il problema del capo. Il successo transitorio di Tsipras
veniva colto da SEL, da Rifondazione Comunista (il cui aggettivo
ingombrante suscita comprensibilmente un certo disagio nella
segreteria, che non vede l'ora di trovare un pretesto per
sbarazzarsene) e da alcuni giornalisti di Repubblica
che fondavano l'ennesima lista della sinistra generica e astratta per
le elezioni europee, addirittura intitolata a un capo di governo
straniero. Tsipras sembrava un modo per scongiurare la crisi di un
area politica ridotta all'estinzione. Poiché in Grecia era vincente,
Syriza doveva essere riprodotta meccanicamente in Italia. Poi è
stata la volta di “Possibile”, la nuova sigla di Civati che
sembra rievocare lo spagnolo Podemos; anche Iglesias, al pari del suo
collega ellenico ha sedotto le fantasie xenofile italiane. L'ultima
moda pare essere quella dell'inglese Jeremy Corbyn, il nuovo
segretario del Partito Laburista ribellatosi al liberismo blairiano.
Tutte passioni transeunte, rapide
a nascere quanto a svanire, pronte ad essere sostituite da nuove mode
politiche. Quel che conta è che permanga l'incoscienza ideologica,
una simbologia vuota e astratta e il consenso semi-consapevole al
sistema capitalistico.
*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
Nessun commento:
Posta un commento