La
crisi delle ideologie e il crollo del socialismo reale hanno
provocato da una parte la confluenza di settori tradizionalmente
antagonisti della società (intellettuali, operai, ecc.) nella
teologia liberale e individualista (che come tutte le teologie
rinnega il proprio carattere ideologico e si “naturalizza”)
ovvero nell’accettazione più o meno consapevole del mercato
globale come unico possibile luogo di espressione dell’individualità
e orizzonte di senso, quindi nel rifiuto di ogni idea di
emancipazione collettiva, dall’altro il vuoto culturale è stato
parzialmente riempito da mode politiche di diverso tipo. Queste mode
mancano di una struttura teorica e sono per lo più istanze
ingenuamente affermate incapaci di cogliere una “totalità” e
quindi di svolgere una critica circostanziata ed efficace alle
“fondamenta” dei rapporti sociali e a quello che Marx chiamava
“modo di produzione capitalistico”. Queste mode molto spesso
hanno finito anch’esse per confluire nella teologia liberale o per
esserne inconsapevolmente usate.
Un
esempio è l’ecologismo,
che ha una diffusione “di massa” negli anni Novanta, nel corso
dei quali si è avuta (soprattutto in paesi come la Germania, ma
anche in Italia) l’affermazione del partito dei Verdi. La moda
ecologista comunemente invalsa (cioè escludendo certe
interpretazioni “di nicchia”) non è una critica della società,
ma un atteggiamento etico esteso dall’uomo all’ambiente.
L’ecologismo di moda non aveva lo scopo di mostrare l’aggressione
capitalistica alla natura, che mercifica non solo l’uomo ma anche
l’ambiente, ma richiedeva ai produttori e ai consumatori di
autoemendarsi sulla base di un’istanza puramente morale (la
preoccupazione per le generazioni future, per gli altri popoli, per
gli altri esseri viventi, e così via a seconda delle diverse
sfumature). Questo ecologismo includeva quindi, implicitamente, un
giudizio assolutorio rispetto ai rapporti di produzione, alla forma
merce e alle classi capitalistiche. L’ecologismo sfocia quindi in
un riformismo politico moderato: la società può essere riformata
con la raccolta differenziata e le energie rinnovabili senza
intaccare i rapporti sociali tra le classi. Ripetiamo che qui si sta
considerando l’ecologismo “popolare”, non fenomeni minoritari
come l’ecologismo anticapitalista, l’ecosocialismo e via dicendo.
Il
concetto di “pulizia” è molto importante per capire le mode
politiche. Nel caso dell’ecologismo si tratta della pulizia
dell’ambiente, attraverso comportamenti virtuosi dei singoli, nel
caso invece del moralismo
politico,
si tratta della pulizia delle istituzioni, dei partiti, della
politica e della società in generale. Anche l’ecologismo contiene
un atteggiamento moralistico fondato sulla dicotomia vizio/virtù, ma
ha una tendenza più pedagogica, mentre il moralismo politico assume
una coloritura giustizialista che lo porta a un nichilismo
sconosciuto all’ecologismo. Nella sua ossessiva ricerca di pulizia
morale il moralismo finisce per identificare l’oggetto “sporco”
con la sporcizia stessa, ed ecco perché in certe manifestazioni
estremistiche (e tuttavia oggi abbastanza diffuse) arriva ad
auspicare la distruzione dei partiti, dei parlamenti e della
politica.
Il
moralismo, come l’ecologismo, si concentra su un oggetto,
l’inquinamento dello Stato, la corruzione delle cariche pubbliche,
ma a differenza del suo parente – il quale propone un intervento
pedagogico, di “conversione” dei peccatori – esso interviene in
modo “chirurgico” per rimuovere la metastasi inquinata (che, come
si è detto, può essere l’individuo ma anche un gruppo, un
partito, ecc.). L’ecologista è un predicatore
(che deve indurre i “malvagi” a pentirsi e a cambiare stile di
vita) mentre il moralista politico è un inquisitore
che cerca di scovare la colpa che solo una condanna potrà espiare.
Una
caratteristica del moralismo politico è quella di inquisire solo
certi settori della società, in particolare le cariche pubbliche, lo
Stato, la politica in generale. Il pubblico per il moralista è il
catalizzatore di sporcizia per eccellenza. È infatti la sede della
mediazione, della dialettica delle parti, del compromesso, ma anche
del conflitto e delle alleanze, quindi della contaminazione e del
contagio. Entrare nel pubblico vuol dire esporsi al contagio,
sporcarsi e contaminarsi. Ecco perché la politica è per sua natura
sporca essendo il luogo della promiscuità. Il mercato invece è
asettico, nel mercato non ci si con-fonde, gli individui rimangono
distinti, ognuno chiuso nei suoi interessi. Lo scambio lascia
immutati i due agenti (ma è naturalmente un’apparenza). Per questa
strada può quindi inserirsi il discorso liberale traducendosi dal
funzionalismo (il pubblico è inefficiente) al moralismo (il pubblico
è corrotto).
Esistono
due tipi di mode politiche: uno incentrato sull’oggetto, ad esempio
l’inquinamento fisico o la distruzione dell’ambiente nel caso
dell’ecologismo, l’inquinamento morale e la corruzione nel caso
del moralismo, e un altro incentrato sul soggetto. A quest’ultimo
tipo appartengono il giovanilismo
e quello che chiamiamo “femminismo
di carriera”.
Si tratta di fenomeni che presentano diverse analogie. Entrambi
preconizzano un miglioramento della società sostituendone gli
individui al comando. Il giovanilismo e il femminismo di carriera
sono uno degli esisti della crisi del soggetto emancipatore (il
proletariato, il partito, ecc.). Tuttavia il soggetto emancipatore
era anche portatore di una diversa idea di società, mentre il
soggetto
innovatore
(quale dovrebbe essere la gioventù o il genere femminile) questa
idea non la possiede. Il soggetto emancipatore era infatti pressoché
omogeneo sociologicamente, politicamente e ideologicamente, mentre il
soggetto innovatore è variegato, differenziato e non costituisce un
gruppo con finalità identiche e univoche.
Il
giovanilismo chiede un rinnovamento della società permettendo ai
giovani di accedere ai vertici della scala sociale e di rimpiazzare
gli anziani. Suo carattere è la retorica del nuovo; ciò che è
nuovo è migliore di ciò che è vecchio, sempre e comunque,
indipendentemente dalle sue qualità intrinseche, o meglio, le sue
qualità intrinseche dipendono dal tempo. Quando qualcosa invecchia
deve essere rapidamente sostituito. Si tratta di una
“ontologizzazione” della logica dell’obsolescenza delle merci
tipica del consumismo. Perché il mercato funzioni le merci devono
essere scambiate e quindi gli oggetti devono invecchiare presto per
essere subito rimpiazzati rendendo quindi possibili altri scambi. Il
giovanilismo è l’applicazione della logica dell’obsolescenza
della società dei consumi alle persone.
Il
femminismo di carriera, diversamente dal giovanilismo, contiene dei
residui del soggetto emancipatore. Si tratta, infatti, di un soggetto
storicamente oppresso ed emarginato a cui è affidata non solo la sua
propria “liberazione” ma anche quella dell’intera società. Ma,
come si è detto, non esiste un progetto comune, un’idea diversa di
società di cui si fa portatore. Secondo il femminismo di carriera
bisogna combattere la discriminazione occupando ruoli decisionali con
individui di sesso femminile, e così facendo ne beneficerebbe
l’intera società, perché le donne si comporterebbero “per
natura” diversamente dagli uomini. Per il femminismo di carriera
una donna in un posto di comando è sempre un fatto positivo, a
prescindere dalle sue caratteristiche personali o dalle sue idee,
poco importa che si chiami Angela Davis o Margaret Thatcher. Questo
femminismo propone di istituire delle “quote rosa” in tutti i
settori della società come strategia sia per contrastare la
discriminazione sia per contribuire al rinnovamento sociale. Le donne
possono trovare la loro “liberazione” solo individualmente,
attraverso la realizzazione professionale, il compito politico è
solo quello di permetter loro una più rapida scalata sociale. Viene
del tutto ignorata la mercificazione del corpo femminile, propria
soprattutto della pubblicità e dello spettacolo, e la dominazione
non più patriarcale ma integralmente capitalistica della donna.
Sia
il giovanilismo che il femminismo di carriera concepiscono una
realizzazione puramente individuale. Inoltre postulano che una
sostituzione meramente fisica degli individui che occupano ruoli
decisionali possa portare di per sé a una diversa conformazione
della società. Una modificazione delle gerarchie può portare a
modificazioni nell’organizzazione sociale solo quando le nuove leve
dirigenti abbiano un progetto comune in merito a questa
organizzazione. Ma i giovani e le donne non sono un gruppo omogeneo,
né potrebbero mai esserlo, il loro connotato biologico non è,
considerato isolatamente, una discriminante politico-sociale di
valore. Di conseguenza il giovanilismo e il femminismo di carriera
sono costretti a puntare tutto sul soggetto, dimenticandosi
dell’oggetto, per la natura stessa di questo soggetto.
La
coppia delle mode incentrate sull’oggetto (che abbiamo qui
individuato nell’ecologismo e nel moralismo politico, ma potrebbero
essercene altre) è opposta a quella delle mode incentrate sul
soggetto. Le prime conducono a un’ideologia della presenza,
le seconde dell’assenza.
Le
ideologie della presenza individuano degli oggetti estranei,
inquinati e inquinanti, da convertire o rimuovere, per impedire che
possano corrompere anche altri oggetti. L’attività da svolgere nei
confronti di questi oggetti è perciò la pulizia.
Si tratta o di ripulirli dall’interno, privandoli dei caratteri
nocivi, oppure di rimuoverli, ripulendo lo spazio che occupano della
loro presenza. La dinamica tipica dell’ideologia della presenza è
quella della sottrazione.
Si individuano elementi che costituiscono una presenza dannosa che va
rimossa per ripulire la società.
La
dinamica che contraddistingue le ideologie dell’assenza, invece, è
quella del riempimento.
Se nelle mode incentrate sull’oggetto c’è un eccesso di
presenza, qui si è di fronte a un vuoto
che deve essere riempito e che può essere riempito solo da quel
particolare soggetto (i giovani o le donne).
Entrambe
queste coppie, però, hanno in comune una concezione
individualistica. Bisogna intervenire sul corpo malato e sporco
rimuovendo o convertendo i singoli individui, oppure bisogna
permettere al soggetto innovatore di riempire i vuoti, ma questo
soggetto non si mobilita collettivamente,è solo un’astrazione che
unisce singoli individui con finalità disparate che agiscono per
proprio conto. In sostanza si tratta di rimuovere tutti gli ostacoli
che permettono agli individui descritti come “sani” (o come
innovatori) di esprimersi singolarmente nel libero gioco del mercato
e delle carriere personali, senza nessuno scopo comune da perseguire.
Risulta quindi chiaro come su queste mode si possa innestare la
teologia liberale.
*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
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