20 set 2014

Dal sistema rappresentativo al sistema autocratico

Già in un precedente articolo (Renzi, ovvero la notte della politica) avevamo formulato la tesi secondo cui la nostra è un'epoca in cui si assiste al passaggio da un sistema di tipo rappresentativo a un sistema di tipo autocratico. Cerchiamo ora di darne una formulazione più compiuta.
Innanzitutto cosa si intende con sistema rappresentativo e con sistema autocratico?
Con la prima espressione si vuol designare un'organizzazione politica, sociale, economica, in cui il gruppo che comanda riceve l'incarico da individui o organismi esterni al gruppo stesso; ovvero in cui il potere si legittima attraverso un'istituzione esterna rispetto al potere stesso. L'esempio che ci balza subito alla mente è quello delle cosiddette democrazie liberali occidentali, in cui i governi sorgono in seguito a (e in ragione di) un'elezione a suffragio universale. Spesso, infatti, nella vulgata politica corrente, si è soliti contrapporre democrazia (ovvero il sistema di governo occidentale) e dittatura (tutti i regimi non liberali e privi di meccanismi elettivi a suffragio universale). Chi scrive non condivide l'assunzione di questa presunta dicotomia. Innanzitutto non è corretto definire il sistema di governo occidentale come democratico. La democrazia, se l'etimologia ha un senso, è il governo del popolo. Mentre i sistemi occidentali sono governi in nome del popolo, ovvero legittimati da forme istituzionalizzate di partecipazione del popolo alla vita pubblica. Le moltitudini, quelle che legittimano il potere in Occidente, non governano. Semplicemente vengono riconosciuti loro determinati diritti politici, come esprimere il proprio voto per eleggere un'assemblea legislativa e farsi promotrici, attraverso vari canali istituzionali, di determinate istanze. Chiamare tutto ciò democrazia ci sembra improprio. La democrazia nel senso pieno del termine in effetti non è sinora mai esistita nella storia, se non in piccole comunità autogestite. Anche nella Atene Antica, considerata la culla di questo sistema, in realtà, alla stragrande maggioranza della popolazione (donne e schiavi) era interdetto qualsiasi diritto politico.
Si tratta, invece, più propriamente, di un sistema rappresentativo tribunizio, quindi più accostabile a quello dell'Antica Roma Repubblicana, ma in cui alle masse popolari è concesso il diritto di eleggere l'assemblea legislativa.
Altra caratteristica del sistema rappresentativo è quella di riconoscere diversi centri di potere, formali (nel caso degli stati rappresentativi occidentali potere esecutivo, legislativo, giudiziario, costituzionale, economico-finanziario come nel caso di banche centrali indipendenti, ecc.) e informali (organizzazioni politiche ed economiche, gruppi di pressione, associazioni corporative e sindacali ecc.). Il processo decisionale non è dato da un indirizzo univoco, ma dall'interazione dei diversi centri in cui la decisione scaturisce dal riconoscimento e dal confronto delle diverse istanze. Ciascun potere cerca nell'altro il proprio riconoscimento attraverso una strategia di conflitti e alleanze, e nello stesso tempo è costretto a riconoscerne questi altri (e le relative istanze). Il compromesso applicativo è la risultante di questa prassi decisionale.
Possiamo quindi definire il sistema rappresentativo come una forma di legittimazione dall'esterno del potere e di equilibrio tra i diversi centri riconosciuti.
Il sistema autocratico, invece, si legittima da sé stesso, ovvero l'elemento egemone non ricerca un potere esterno che lo riconosca, e che a sua volta esso riconosce, ma delegittima qualsiasi autorità che non sia sua propria emanazione, entrando con essa in conflitto fino ad annientarla o a cooptarla. Il meccanismo non funziona tanto sulla divisione dei poteri e la loro interazione strategica, quanto sulla delega delle funzioni (ovvero l'intermediazione tra la precisa e inalterabile volontà del governo e la fedele esecuzione di questa volontà) e sul controllo dell'esecuzione. Tanto più l'esecuzione corrisponde alla decisione e alla volontà del governo, tanto più il sistema è funzionale. Il processo decisionale avviene nella selezione delle migliori tecniche applicative per raffinare l'efficienza del sistema. Una volta stabiliti gli strumenti tecnici della prassi esecutiva il momento decisionale è esaurito.
Se nel sistema rappresentativo, dunque, il fine non è conosciuto prima, ma soltanto dopo, il processo decisionale, nel sistema autocratico esso è già noto in anticipo (e risiede nella volontà di chi governa) e il processo serve solo a stabilire la tecnica più efficiente per la sua realizzazione.
La razionalità che muove il sistema rappresentativo è di tipo poli-strategico, ovvero ogni centro, con proprie finalità, individua autonomamente la propria strategia di conflitto e di alleanze, e la decisione emerge come risultante dell'interazione pratica tra i diversi agenti e le rispettive strategie. Un sistema di questo tipo, dunque, tende a favorire un sapere di tipo dialettico-escatologico, che studia le strategie migliori per il riconoscimento delle proprie istanze e la realizzazione delle proprie finalità. Esempi di discipline fiorenti in questo contesto sono la retorica, la filosofia, la sociologia, la psicanalisi.
La razionalità, invece, dell'autocrazia è mono-funzionale, ovvero presuppone un'unica finalità già implicita e riconosciuta, che deve essere realizzata dalla ricerca degli strumenti pratici più idonei. Le discipline da esso favorite sono quelle tecnico-scientifiche, come la logica, la matematica, la fisica, l'economia.
Un sistema rappresentativo tende a essere instabile per sua natura, perché si basa su un equilibrio tra i diversi agenti di volta in volta ridefinibile e soggetto a oscillazioni. Per questo, esso può ribaltarsi nella sua antitesi, ovvero nell'autocrazia, quando si crea un squilibrio nei rapporti di forza tale per cui un centro prevalga nettamente sugli altri. In questo caso il potere egemone non ha più bisogno di riconoscere gli altri per essere riconosciuto a sua volta. Di conseguenza gli altri centri vengono o cooptati, mutandosi in funzioni e consolati del potere egemone, oppure, se sono in conflitto, combattuti e infine distrutti. Il sistema autocratico così sorto dallo squilibrio di quello rappresentativo, diventa invece stabile, perché non si fonda sulla dialettica tra poteri eterogenei, ma sulla propria autoaffermazione. Se infatti nel sistema rappresentativo ogni agente per affermare le proprie istanze deve, dialetticamente, affermare quelle del proprio concorrente (nemico o alleato) l'autocrazia si afferma nella negazione dell'altro da sé. Al contrario quello autocratico è un meccanismo meno flessibile, e una volta soggetto a squilibri, anche piccoli, come la resistenza prolungata di un oppositore in conflitto, rischia di crollare o di evolversi nuovamente in rappresentativo (oppure in una nuova autocrazia).
Tuttavia, bisogna precisare a scanso di equivoci, un sistema non è mai perfetto, ovvero mai completamente autocratico e mai completamente rappresentativo. Anche in un sistema rappresentativo esistono meccanismi autocratici, come per la nomina del dictator dell'Antica Roma, oppure, senza andare tanto lontano, nel commissariamento di organismi elettivi in casi particolari. In regime rappresentativo, ovviamente, il dispositivo autocratico ha una durata limitata nel tempo e generalmente breve ed è circoscritto a casi eccezionali.
Viceversa, anche nelle autocrazie esistono meccanismi rappresentativi. Anche durante il fascismo Mussolini non poteva fare a meno di una certa rappresentatività informale dovendo tenere in qualche conto la gerarchia fascista o riconoscere la Chiesa, né poteva del tutto ignorare la Monarchia. Un esempio di meccanismo formale invece è l'elezione ad opera dei Cardinali del Pontefice della Chiesa Cattolica, un apparato assolutamente autocratico, e che tuttavia ammette una pratica elettiva. Generalmente, infatti, l'elezione è il meccanismo di investimento di una carica di ogni sistema rappresentativo, mentre la nomina è tipica dell'autocrazia (o di un dispositivo autocratico).
Un'altra precisazione necessaria riguarda la distinzione tra sistema rappresentativo e sistema tribunizio (o democratico come spesso viene impropriamente chiamato). Un sistema rappresentativo non è necessariamente tribunizio. Può escludere una gran parte della popolazione da qualsiasi diritto politico ma questo non lo rende per forza autocratico. Lo Stato Liberale basato sul censo del Secondo Ottocento ne è un tipico esempio. Naturalmente però non è vero il contrario; un sistema tribunizio, con diritto elettivo per tutti i governati, non può non essere rappresentativo.
Ma allora la democrazia (quella autentica, non il tribunato odierno) è rappresentativa? Non esattamente. Se il popolo governa direttamente non ha bisogno di essere rappresentato. Esso governa a nome proprio e non a nome di qualcun altro né lascia governarsi da altri e le sue istanze sono perciò realizzate da esso stesso. In questo, dunque, è autocratica, per quanto egualitaria. Tuttavia, se consideriamo il popolo non come un unico sovrano, ma come un insieme di individui distinti, allora ciascuno si limita a promuovere le proprie istanze cercandone il riconoscimento di altri individui con una strategia di conflitti/alleanze. E in questo senso la democrazia è la forma più compiuta di rappresentatività, perché ciascuno rappresenta direttamente le proprie istanze, senza dover demandare a qualcun altro. Quindi, la democrazia autentica non è un'autocrazia né un sistema rappresentativo, ma la sintesi e il superamento dialettico di entrambi.
La democrazia autentica è la forma più alta di rappresentatività perché ogni singolo individuo della comunità viene riconosciuto dagli altri, e, nello stesso tempo, la massima forma di autocrazia, perché il sovrano (inteso come il popolo nel suo complesso) non ha bisogno di alcun tipo di riconoscimento, né in una fase iniziale (Anche Cesare dovette farsi eleggere dictator perpetuus dal Senato) né durante il suo governo. Anzi, qualunque riconoscimento esterno al monarca popolare è vietato, perché esso assomma su di sé tutti i poteri.
Il sistema rappresentativo occidentale, quale si è formato dal dopoguerra fino al finire degli anni '80, era improntato dal punto di vista formale sull'estensione alle masse dei diritti dello Stato liberale, e dal punto di vista informale sull'interazione di tre settori autonomi, quello economico (formato dai gruppi industriali e finanziari, ma anche associazioni di categoria e sindacati) quello culturale (la stampa, i media, le università, l'intellighenzia) quello politico (i partiti di massa e i movimenti spontanei). In ciascun settore ovviamente vi si trovavano diverse fazioni, e una fazione di un settore si alleava con quella di un altro per combatterne una terza.
In un capitalismo avanzato come quello della seconda metà del Novecento, tuttavia, il settore economico assume una preminenza particolare. Accade così che i centri di potere economici tendono a inglobare quelli degli altri due tipi. Una volta che questo accade si crea un squilibrio per cui sono le fazioni legate ai centri economici più forti (finanziari e industriali) a prevalere. Il risultato di una simile mutazione può essere così riassunto:
  • I centri economici, industriali e finanziari in particolare, tendono ad adottare strategie simili e coincidenti, quelli legati al grande Capitale sopratutto, divengono consapevoli della loro influenza sugli altri settori e tendono ad istituire alleanze tra di loro
  • I centri politici si adeguano presto a questa mutazione, ma avendo perduto autonomia finiscono per replicare le strategie dei primi, finendo per esserne inglobati
  • I centri culturali, in alcuni casi, resistono inizialmente a questa tendenza, conservando in parte, in alcune enclavi, una certa autonomia, ma infine finiscono o per soccombere, oppure per omologarsi ai centri politici e a farsi anch'essi cooptare.
Il risultato di ciò è l'egemonia completa dei grandi centri economici e la fine del sistema rappresentativo. Le istituzioni rappresentative formali rimangono inalterate, ma sul piano informale i centri economici esercitano un governo autocratico sulla società. Successivamente anche sul piano informale si assisterà a una dissoluzione dei meccanismi rappresentativi (leggi e carte costituzionali) e a uno svuotamento progressivo degli organi che assicurano la rappresentatività (parlamenti, governi nazionali e tutte le cariche elettive) in favore di istituzioni formali autocratiche (quelle sovranazionali come il Fondo Monetario, la Banca Centrale Europea e i Trattati commerciali internazionali). La natura tecnico-economica di queste istituzioni autocratiche testimonia del progressivo inglobamento dei centri politici nelle strategie e nei fini di quelli economici.
Se prima i centri economici avevano bisogno di istituire alleanze e conflitti con quelli politici e culturali per ottenere riconoscimento e mirare a estendere la loro egemonia, con la transizione dell'ultimo ventennio questi ultimi sono diventati mere funzioni dei primi. I centri economici hanno così finito di spogliarli di ogni autonomia, e quindi sostanzialmente di annientarne la vera essenza. Questo non poteva portare che ha un declino dei meccanismi rappresentativi formali e all'affermazione di istituzioni sempre più autocratiche.


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